Il nome di
questo celebre patriarca fu pronunciato per la prima volta a Roma da
sant’Atanasio, che, descrivendo le sue virtù ed i suoi miracoli ai lontani
discendenti dei Gracchi e degli Scipioni sull’Aventino, nella casa di Marcello,
ispirò loro l’amore per la vita monastica.
La
celebrazione di «sant’Antonio il Grande, astro del deserto e padre di tutti i
monaci», Άγιος Αντώνιος ο Μέγας , αστέρι της ερήμου και ο πατέρας όλων των
μοναχών, è iscritta in questo giorno nel calendario copto. È ugualmente in
questo giorno che essa è celebrata nei riti siriani occidentale e siriani
orientale e bizantino, come era già a Gerusalemme nel V sec. La sua menzione
apparve in Occidente col martirologio di Beda. Il culto di sant’Antonio è
attestato a San Gallo ed in Inghilterra dal IX sec. Si diffuse modestamente nel
X sec. prima di ricevere un grande sviluppo in Francia ed in Inghilterra
nell’XI sec., sebbene Cluny non l’avesse mai ricevuto. In Italia, la diffusione
non raggiunse altrettanta ampiezza se non allorché si elevarono sotto il suo
nome, in Francia ed in Italia, in occasione della malattia chiamata «fuoco
sacro» o «di sant’Antonio», un gran numero di ospedali e di cappelle. Il nome
di sant’Antonio apparve a Roma nell’XI sec. nella litania pasquale di San Saba,
nel calendario dell’Aventino, nel passionario dei Santi Giovanni e Paolo, nei
martirologi del Vaticano (che è dipendente da Beda) e di San Ciriaco. Tutte le
fonti sono, conviene sottolineare, di origine monastica. Nel XII sec., la festa
di sant’Antonio si trova nel sacramentario di San Trifone prima di apparire
nell’Ordo del Laterano e
nel calendario di San Pietro. Come si vede, la penetrazione e la diffusione del
culto di sant’Antonio a Roma ha seguito lo stesso processo della recezione del
culto di san Paolo Eremita e di san Mauro (cfr. Pierre
Jounel, Le Culte des
Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle,
École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, pp. 214-215).
La festa,
quindi, entrò molto tardi nel calendario romano.
A Roma
molte chiese erano dedicate al santo, presso la mole di Adriano, a Ripetta, al
Foro Romano, ma la più celebre si ergeva sull’Esquilino – l’antica basilica di
Sant’Andrea, di Giunio Basso, dedicato in seguito all’illustre Padre del
monachesimo egiziano – presso Santa Maria Maggiore, e che aveva un ospedale ad
essa annesso, dove, sotto Innocenzo III, trovò un asilo temporaneo persino san
Francesco d’Assisi.
La tomba
del santo abate fu dapprima in un luogo sconosciuto sul monte Kolzin, ai
margini del mar Rosso, poi, nel 561, i suoi resti furono deposti ad
Alessandria. Da lì per secoli furono nella chiesa di Saint-Julien di Arles. Per
la prima volta nella storia, nel gennaio 2006, in occasione del Giubileo
antoniano, le reliquie di sant’Antonio abate hanno lasciato la città di Arles.
Dal 6 al 13 gennaio 2006 sono state ospitate nel Comune di Novoli in provincia
di Lecce, comune che ne conserva la reliquia del braccio. Dal 13 al 17 gennaio
2006 sono state accolte sull’Isola d’Ischia. Il 20 agosto 2006 sono giunte ad
Aci Sant’Antonio.
Nell’iconografia
è rappresentato come eremita, con la croce egiziana a forma di T, con un libro,
il campanello del mendicante ed un porco – simbolo delle tentazioni diaboliche.
Il santo, infatti,
rimasto orfano di entrambi i genitori intorno ai venti anni ed unico erede
maschio dei vasti possedimenti terrieri, vendette tutti quei beni, dando il
ricavato ai poveri, e, sistemata adeguatamente la sorella, si diede a vita
solitaria ed eremitica nel deserto. Lì fu tentato per molti anni dal diavolo,
che gli compariva ora sotto forme umane ora sotto forme mostruose; lo tentava
soprattutto nella lussuria ed una volta, vinta questa tentazione, vide apparire
il diavolo sotto forma di un ragazzo nero, un etiope, che gli si presentò
dinanzi come «spirito dell’impurità» e che gli si prostrò dicendosi vinto dal
Santo (cfr. Sant’Atanasio di Alessandria,
Vita di Antonio, 6.1-3, ora con Introduzione, traduzione e note di Lisa Cremaschi, Paoline, Milano 2007, pp.
90-91). Ma, dopo il diavolo, ebbe la consolazione di vedere Gesù, al quale
chiese la ragione per la quale l’avesse lasciato solo a lottare col demonio. E
Gesù gli rispose che non l’aveva mai lasciato e che era sempre stato al suo
fianco, poiché, diversamente, non sarebbe mai riuscito vincitore del Maligno.
Scoperto il suo rifugio, cominciarono ad accorrere a lui frotte di gente, in
cerca di aiuto e consiglio, interrompendo la sua preghiera. Fu così che decise
di ritirarsi ancor più nel deserto, per non essere disturbato. Ma fu seguito da
tanti, affascinati dalla sua vita. Fu così che il deserto si popolò di uomini,
dediti alla preghiera, al ritiro ed alla penitenza. Ecco perché egli è
considerato Padre della vita anacoretica e del monachesimo.
Joan Reixach, S. Antonio abate, 1450-60, Museo del Prado, Madrid |
Luis Tristán, S. Antonio abate, XVII sec., Museo del Prado, Madrid |
Fray Juan Bautista Maíno, S. Antonio abate in un paesaggio, 1612-14, Museo del Prado, Madrid |
Francisco Rizi, S. Antonio abate, 1665 circa, Museo del Prado, Madrid |
Paolo Veronese, La Vergine col Bambino appaiono ai SS. Antonio abate e Paolo eremita, 1562, Chrysler Museum of Art, Norfolk |
Giuseppe Degregorio, S. Antonio abate,
XX sec.
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