Tertulliano osserva che
la prima e più antica Chiesa è in cielo, dove, nella divina Trinità, noi
troviamo le due note essenziali della nostra Chiesa, vale a dire l’unità e la
pluralità: l’unità dell’essenza e la trinità delle persone («... ubi tres, id est Pater, et Filius, et Spiritus sanctus, ibi Ecclesia, quæ
trium corpus est»:
Tertulliano, De Baptismo. Adversus Quintillam, cap. VI, in PL 1, ed. 1844 col. 1206B, ed. 1878 col. 1315A).
Disceso tra noi per la
salvezza del genere umano, il Verbo di Dio non volle adottare un genere di vita
solitaria che lo mettesse al di fuori della società degli uomini, ma,
riproducendo qui sulla terra quello che la Trinità era da tutta l’eternità nei
cieli, egli si formò, per mezzo del matrimonio verginale di Maria e di
Giuseppe, una società o chiesa domestica, all’interno della quale egli si degnò
nascere e trascorrere la maggior parte della sua vita mortale.
I discendenti di Adamo
erano solidali del peccato del loro primo padre e ciò era stata la causa della
rovina del mondo; conveniva, dunque, che la Redenzione si facesse essa stessa
in virtù della solidarietà che unisce i credenti al Redentore e che i fedeli ne
sperimentassero i frutti, grazie ad una società nuova e soprannaturale, che è
la Chiesa.
Per questa ragione,
quando san Paolo tratta del patto coniugale tra i fedeli, egli lo qualifica
come un grande mistero o sacramento, che spiega immediatamente dicendone che
esso è in rapporto alla prima unione tra il Cristo e la Chiesa, prototipo e
modello dell’unione dell’uomo e della donna nella grazia del Nuovo Testamento. Sacramentum hoc magnum est;
ego autem dico in Christo et in Ecclesia. Il Cristo e la Chiesa, ecco il mistero o sacramento
che si basa e si forma precisamente, come suo punto di partenza, sulla società
domestica di Gesù, Maria e Giuseppe, di cui la nostra Chiesa non è che la
continuazione.
Dall’antichità, la
liturgia romana ha consacrato le prime settimane dopo Natale alla meditazione
dei misteri della vita domestica di Gesù. Pure oggi, nella messa domenicale, si
presenta la pericope evangelica del ritrovamento di Gesù tra i dottori del
Tempio. Tuttavia, il genio della devozione moderna che, nelle vaste sintesi
degli antichi, preferisce lo studio particolareggiato di tutti i dettagli della
grande tavola della Redenzione, non poteva mancare di creare una solennità
distinta in onore della Santa Famiglia di Nazaret.
La festa pareva, d’altronde,
più opportuna giacché, dopo un mezzo secolo, per indebolire e sopprimere il cattolicesimo
dalle sue basi, tutto il lavoro delle sette e dei governi liberali si era
concentrato nella decristianizzazione della famiglia. Per bloccare un così
grande male, Leone XIII, dopo la sua splendida enciclica sul matrimonio
cristiano, Arcanum divinæ sapientiæ, del 10 febbraio 1880 (Leone XIII, Lytt. enc. Arcanum divinæ
sapientiæ, 10 febbraio 1880, in ASS, 12 [1879], pp. 385-402), volle anche
offrire alle famiglie cattoliche un modello da imitare ed una celeste
protezione a cui esse dovevano affidarsi: istituì, dunque, la festa della santa
Famiglia di Nazaret, con un apparato liturgico solenne di inni e di letture e
la fissò nella III Domenica dopo l’Epifania. La festa fu istituita con decreto della Sacra
Congregazione dei Riti, De novo officio et Missa s.
Familiæ, del 14 giugno 1893 (ivi, 26 [1893-94], pp. 52-53). Si stabilì che, qualora non potesse celebrarsi per il
sopraggiungere della settuagesima, era trasferita il primo giorno libero successivo
alla domenica impedita, come stabilito dalla stessa Congregazione (Decreto Urbis
eiusque districtus; indulgetur clero urbis facultas recolendi festum s.
Familiæ Dominica III post Epiphaniam, eumdemque transferendi in primam diem
liberam, 21 luglio 1893, ivi, pp. 367-368). Lo stesso papa Pecci
compose per la celebrazione l’inno O lux beata cælitum.
Sopraggiunse, quindi, la
riforma di san Pio X, che in parte abrogò ed in parte trasferì a date fisse
tutte le solennità mobili annesse alle domeniche.
La festa della santa
Famiglia fu travolta dalla corrente e non riapparve che una decina di anni più
tardi, quando, per ordine di Benedetto XV, essa fu fissata nella domenica nell’Ottava
dell’Epifania. Questa volta, si sacrificò il principio direttore della riforma
di san Pio X, ma vi era nel passato un precedente che si fece valere: nella
domenica dopo la solennità dell’Epifania si trova precisamente nel Messale la
stessa lettura evangelica che vi era nella recente messa della Santa Famiglia.
Nel calendario dei
Copti, il 6 del mese di Hator
(novembre) si trova una festa della fuga della santa Famiglia da Mehsa
Koskuam nell’Egitto superiore alla quale corrisponde, il 24 di Pasons (maggio), una solennità dell’arrivo
e del soggiorno della santa Famiglia in Egitto.
Questa solennità ha un
carattere nettamente storico e si differenzia dunque dal concetto della nostra
festa latina: essa sembra presa in prestito dai Greci, che la celebrano il 26 dicembre
sotto il titolo di Σύναξις τῆς Θεοτόκου φευγούσης
εἰς Αἴγυπτον, Sinassi
della Madre di Dio fuggente in Egitto. Nei Menelogi, essa è indicata in
questo distico:
Ἥκοντα πρὸς σέ, τὸν πάλαι πλήξαντά σε,
Αἴγυπτε φρίττε, καὶ Θεὸν τοῦτον φρόνει
Ad te venientem qui te
plexit antea,
Ægypte, metuas atque
credas hunc Deum.
La lettura evangelica di questa festa, tratta
da san Luca (2, 42-53), è quella stessa che il Messale tradizionale assegna alla
domenica che segue immediatamente l’Epifania. A dodici anni, nel 6 d.C. circa,
Gesù, Yēshūa bar Yôsēf, prima di
diventare figlio della Legge (o del comandamento), בר מצווה, bar Miẓwah, come si disse in seguito presso gli ebrei,
con i suoi genitori, si reca per la prima volta al tempio per partecipare alla
festa di Pasqua e lì essere esaminato dai maestri della Legge sulle sue
conoscenze teologiche e linguistiche (di ebraico) di base. Ciò che avvenne è assai
simile all’esperienza autobiografica narratici da Giuseppe Flavio: «Quand’ero
ancora poco più di un bambino, all’incirca sui quattordici anni, grazie alla
mia passione per lo studio ricevevo gli elogi di tutti, dato che venivo di
continuo avvicinato dai sommi sacerdoti e dalle persone più importanti della città
che richiedevano il mio parere per interpretazioni particolarmente sottili
delle leggi» (Autobiografia, II, 9).
Per dimostrare la trascendenza della sua
origine, si sottrae momentaneamente a Maria ed a Giuseppe, che, desolati, lo
ritrovano infine, dopo il terzo giorno, mentre si tratteneva sotto i portici
del tempio, disputando con i dottori. L’atteggiamento del Fanciullo Gesù era
quella che conveniva alla sua età: Egli interrogava ed ascoltava, come per
sondare l’intelligenza delle sue creature; ma tuttavia le sue domande e le sue
osservazioni erano tali che la Sapienza divina abbagliava quasi questi c.d.
legisti, i quali erano stupiti di fronte ad un tale prodigio. Stupebant
omnes. La debolezza e la piccolezza delle sue forme corporali arrivava a
malapena a nascondere gli splendori della sua divinità invisibile, quando, per
completare il mistero, la sua santissima Madre volle mettere in piena luce la
sua natura umana con i doveri che ne risultavano. – Figlio mio, gli dice,
perché ci hai fatto ciò? Ecco, tuo padre ed io, afflitti, ti cercavamo. L’affermazione
dei diritti paterni sul bambino non poteva essere più degna né più esplicita.
Sono Giuseppe e Maria, chiamati qui dal testo sacro Padre e Madre di Gesù, che
chiedono conto del suo atto al Creatore e soli potevano e dovevano farlo. Gesù
è dunque davvero uomo, sottomesso ai suoi genitori e loro obbediente. Riconosce
per Madre la Vergine Maria, che l’ha concepito e partorito, e, a causa di lei,
riconosce anche per Padre san Giuseppe, non nel senso che egli abbia avuto alcuna
parte nel mistero della sua Incarnazione, ma perché, essendo lo sposo vero di
sua Madre, teneva il posto del Padre eterno nella santa Famiglia per la volontà
divina, ed esercitava nel suo nome la patria potestas sul bambino-Dio,
il quale, davanti alle leggi e davanti al mondo, non doveva apparire abbandonato.
È affermato, dunque, e messo in piena luce il
dogma dell’umanità santissima di Gesù. Questi, davanti ai suoi stessi Genitori,
estasiati perché furono i testimoni del mistero di quest’Epifania della sua
natura umana e vi ebbero parte, volle far brillare ora pure i raggi di un’altra
Teofania, quella della sua divinità e della sua divina origine. Li calma divinamente
con una semplice dichiarazione in cui tuttavia i suoi santissimi Genitori trovarono
una tale elevazione di sapienza e di luce, che, come più tardi i tre apostoli
sul Tabor, dovettero, per così dire, proteggersi gli occhi con la mano di
fronte ai raggi incandescenti di questo Sole di giustizia vivente.
Il santo Vangelo dice che i sinedriti stupiti
pendevano dalle labbra di Gesù; afferma, al contrario, che Maria e Giuseppe non
arrivarono a penetrare il mistero di quelle sue parole, perché, durante la vita
presente, quando la luce della visione intellettuale è troppo forte, gli occhi,
al contatto di Dio, si chiudono, e lo spirito non può esprimere in pensieri
umani ciò che vede.
La vita della Chiesa cattolica è la
continuazione di quella della santa Famiglia di Nazaret, perché Gesù non ha fondato
sulla terra due società ma una sola di cui fu il Capo, e Maria e Giuseppe i
primi membri.
A lode della liturgia latina, aggiungiamo oggi
un bel testo della liturgia bizantina in onore della santa Famiglia di Nazaret.
Il compositore è il celebre san Giuseppe l’Innografo (᾿Ιωσήϕ ὁ ὑμνογράϕος), vissuto nel IX sec.
Φυλάττουσαν, τὴν παρθενίαν ἀκήρατον, τὴν Ἁγνὴν ἐφύλαξας,
Λόγος ἐξ ἦς Θεὸς ἐσαρκώθη,
φυλάξας Παρθένον αὐτήν, μετὰ
γέννησιν ἀπόρρητον, μεθ’ ἦς θεοφορε, Ἰωσὴφ ἡμῶν μνημόνευε.
Custodisti, o Deifere
Joseph, Virginem, quæ virginitatem incorruptam conservavit;
ex qua Deus Verbum
incarnatus est, conservans illam Virginem post partum ineffabilem.
Tu, o Joseph, una cum
illa, memor esto nostri.
Tu, o Giuseppe teoforo (portatore di Dio),
fosti il custode della Vergine pura, che conservò intatta la sua verginità.
Da Lei prese carne il Verbo divino,
conservandola Vergine anche dopo l’ineffabile parto.
Tu, o Giuseppe, con Maria, ricordati di noi.
Alessandro Allori, Sacra Famiglia con il card. Ferdinando de' Medici, 1584, Museo del Prado, Madrid |
Francisco Camilo, Sacra Famiglia o Trinità in terra, XVII sec., Museo del Prado, Madrid |
Carlo Dolci, Sacra Famiglia con Dio Padre e lo Spirito Santo, 1630 circa, collezione privata |
Jerónimo Jacinto de Espinosa, Sacra Famiglia nella Bottega di S. Giuseppe, 1640-60, Museo de Bellas Artes, Valencia |
Sir John Everett Millais, Cristo nella casa dei suoi genitori, ovvero la Bottega del Carpentiere, 1849-50, Tate Gallery, Londra |
Rafael Flores, Sacra Famiglia, 1857, Museo Nacional de Arte, Città del Messico |
Franz Ittenbach, Sacra Famiglia, 1868 |
Johann David Passavant, Sacra Famiglia con i SS. Giovannino ed Elisabetta, XIX sec., Städelsche Kunstinstitut und Städtische Galerie, Frankfurt am Main |
József Dragan, Riposo durante la fuga in Egitto o Famiglia idilliaca, 1918 |
Pedro Muñoz de Alvarado, Sacra Famiglia, cattedrale, Cappella della Sacra Famiglia, Lima |
Juan de Valdés Leal, Gesù disputa con i dottori nel Tempio, 1686, Museo del Prado, Madrid |
Giovanni Paolo Panini, Gesù tra i dottori, 1725 circa, Museo del Prado, Madrid |
Orazio Borgianni, Gesù tra i dottori, 1609 circa, collezione privata |
Heinrich Hofmann, Gesù tra i dottori, XIX sec. |
William Holman Hunt, Il ritrovamento del Salvatore nel Tempio, 1862, Birmingham Museum and Art Gallery, Birmingham |
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Gesù tra i dottori, 1862, Musee Ingres, Montauban |
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