domenica 11 gennaio 2015

“Quid est, quod me quærebátis? Nesciebátis, quia in his, quæ Patris mei sunt, opórtet me esse? (Luc. 2, 49) SANCTÆ FAMILIÆ JESU, MARIÆ, JOSEPH







Tertulliano osserva che la prima e più antica Chiesa è in cielo, dove, nella divina Trinità, noi troviamo le due note essenziali della nostra Chiesa, vale a dire l’unità e la pluralità: l’unità dell’essenza e la trinità delle persone («... ubi tres, id est Pater, et Filius, et Spiritus sanctus, ibi Ecclesia, quæ trium corpus est»: Tertulliano, De Baptismo. Adversus Quintillam, cap. VI, in PL 1, ed. 1844 col. 1206B, ed. 1878 col. 1315A).
Disceso tra noi per la salvezza del genere umano, il Verbo di Dio non volle adottare un genere di vita solitaria che lo mettesse al di fuori della società degli uomini, ma, riproducendo qui sulla terra quello che la Trinità era da tutta l’eternità nei cieli, egli si formò, per mezzo del matrimonio verginale di Maria e di Giuseppe, una società o chiesa domestica, all’interno della quale egli si degnò nascere e trascorrere la maggior parte della sua vita mortale.
I discendenti di Adamo erano solidali del peccato del loro primo padre e ciò era stata la causa della rovina del mondo; conveniva, dunque, che la Redenzione si facesse essa stessa in virtù della solidarietà che unisce i credenti al Redentore e che i fedeli ne sperimentassero i frutti, grazie ad una società nuova e soprannaturale, che è la Chiesa.
Per questa ragione, quando san Paolo tratta del patto coniugale tra i fedeli, egli lo qualifica come un grande mistero o sacramento, che spiega immediatamente dicendone che esso è in rapporto alla prima unione tra il Cristo e la Chiesa, prototipo e modello dell’unione dell’uomo e della donna nella grazia del Nuovo Testamento. Sacramentum hoc magnum est; ego autem dico in Christo et in Ecclesia. Il Cristo e la Chiesa, ecco il mistero o sacramento che si basa e si forma precisamente, come suo punto di partenza, sulla società domestica di Gesù, Maria e Giuseppe, di cui la nostra Chiesa non è che la continuazione.
Dall’antichità, la liturgia romana ha consacrato le prime settimane dopo Natale alla meditazione dei misteri della vita domestica di Gesù. Pure oggi, nella messa domenicale, si presenta la pericope evangelica del ritrovamento di Gesù tra i dottori del Tempio. Tuttavia, il genio della devozione moderna che, nelle vaste sintesi degli antichi, preferisce lo studio particolareggiato di tutti i dettagli della grande tavola della Redenzione, non poteva mancare di creare una solennità distinta in onore della Santa Famiglia di Nazaret.
La festa pareva, d’altronde, più opportuna giacché, dopo un mezzo secolo, per indebolire e sopprimere il cattolicesimo dalle sue basi, tutto il lavoro delle sette e dei governi liberali si era concentrato nella decristianizzazione della famiglia. Per bloccare un così grande male, Leone XIII, dopo la sua splendida enciclica sul matrimonio cristiano, Arcanum divinæ sapientiæ, del 10 febbraio 1880 (Leone XIII, Lytt. enc. Arcanum divinæ sapientiæ, 10 febbraio 1880, in ASS, 12 [1879], pp. 385-402), volle anche offrire alle famiglie cattoliche un modello da imitare ed una celeste protezione a cui esse dovevano affidarsi: istituì, dunque, la festa della santa Famiglia di Nazaret, con un apparato liturgico solenne di inni e di letture e la fissò nella III Domenica dopo l’Epifania.  La festa fu istituita con decreto della Sacra Congregazione dei Riti, De novo officio et Missa s. Familiæ, del 14 giugno 1893 (ivi, 26 [1893-94], pp. 52-53). Si stabilì che, qualora non potesse celebrarsi per il sopraggiungere della settuagesima, era trasferita il primo giorno libero successivo alla domenica impedita, come stabilito dalla stessa Congregazione (Decreto Urbis eiusque districtus; indulgetur clero urbis facultas recolendi festum s. Familiæ Dominica III post Epiphaniam, eumdemque transferendi in primam diem liberam, 21 luglio 1893, ivi, pp. 367-368). Lo stesso papa Pecci compose per la celebrazione l’inno O lux beata cælitum.
Sopraggiunse, quindi, la riforma di san Pio X, che in parte abrogò ed in parte trasferì a date fisse tutte le solennità mobili annesse alle domeniche.
La festa della santa Famiglia fu travolta dalla corrente e non riapparve che una decina di anni più tardi, quando, per ordine di Benedetto XV, essa fu fissata nella domenica nell’Ottava dell’Epifania. Questa volta, si sacrificò il principio direttore della riforma di san Pio X, ma vi era nel passato un precedente che si fece valere: nella domenica dopo la solennità dell’Epifania si trova precisamente nel Messale la stessa lettura evangelica che vi era nella recente messa della Santa Famiglia.
Nel calendario dei Copti, il 6 del mese di Hator (novembre) si trova una festa della fuga della santa Famiglia da Mehsa Koskuam nell’Egitto superiore alla quale corrisponde, il 24 di Pasons (maggio), una solennità dell’arrivo e del soggiorno della santa Famiglia in Egitto.
Questa solennità ha un carattere nettamente storico e si differenzia dunque dal concetto della nostra festa latina: essa sembra presa in prestito dai Greci, che la celebrano il 26 dicembre sotto il titolo di Σύναξις τς Θεοτόκου φευγούσης ες Αγυπτον, Sinassi della Madre di Dio fuggente in Egitto. Nei Menelogi, essa è indicata in questo distico:

κοντα πρς σέ, τν πάλαι πλήξαντά σε,
Αγυπτε φρίττε, κα Θεν τοτον φρόνει

Ad te venientem qui te plexit antea,
Ægypte, metuas atque credas hunc Deum.

La lettura evangelica di questa festa, tratta da san Luca (2, 42-53), è quella stessa che il Messale tradizionale assegna alla domenica che segue immediatamente l’Epifania. A dodici anni, nel 6 d.C. circa, Gesù, Yēshūa bar Yôsēf, prima di diventare figlio della Legge (o del comandamento), בר מצווה, bar Miwah, come si disse in seguito presso gli ebrei, con i suoi genitori, si reca per la prima volta al tempio per partecipare alla festa di Pasqua e lì essere esaminato dai maestri della Legge sulle sue conoscenze teologiche e linguistiche (di ebraico) di base. Ciò che avvenne è assai simile all’esperienza autobiografica narratici da Giuseppe Flavio: «Quand’ero ancora poco più di un bambino, all’incirca sui quattordici anni, grazie alla mia passione per lo studio ricevevo gli elogi di tutti, dato che venivo di continuo avvicinato dai sommi sacerdoti e dalle persone più importanti della città che richiedevano il mio parere per interpretazioni particolarmente sottili delle leggi» (Autobiografia, II, 9).
Per dimostrare la trascendenza della sua origine, si sottrae momentaneamente a Maria ed a Giuseppe, che, desolati, lo ritrovano infine, dopo il terzo giorno, mentre si tratteneva sotto i portici del tempio, disputando con i dottori. L’atteggiamento del Fanciullo Gesù era quella che conveniva alla sua età: Egli interrogava ed ascoltava, come per sondare l’intelligenza delle sue creature; ma tuttavia le sue domande e le sue osservazioni erano tali che la Sapienza divina abbagliava quasi questi c.d. legisti, i quali erano stupiti di fronte ad un tale prodigio. Stupebant omnes. La debolezza e la piccolezza delle sue forme corporali arrivava a malapena a nascondere gli splendori della sua divinità invisibile, quando, per completare il mistero, la sua santissima Madre volle mettere in piena luce la sua natura umana con i doveri che ne risultavano. – Figlio mio, gli dice, perché ci hai fatto ciò? Ecco, tuo padre ed io, afflitti, ti cercavamo. L’affermazione dei diritti paterni sul bambino non poteva essere più degna né più esplicita. Sono Giuseppe e Maria, chiamati qui dal testo sacro Padre e Madre di Gesù, che chiedono conto del suo atto al Creatore e soli potevano e dovevano farlo. Gesù è dunque davvero uomo, sottomesso ai suoi genitori e loro obbediente. Riconosce per Madre la Vergine Maria, che l’ha concepito e partorito, e, a causa di lei, riconosce anche per Padre san Giuseppe, non nel senso che egli abbia avuto alcuna parte nel mistero della sua Incarnazione, ma perché, essendo lo sposo vero di sua Madre, teneva il posto del Padre eterno nella santa Famiglia per la volontà divina, ed esercitava nel suo nome la patria potestas sul bambino-Dio, il quale, davanti alle leggi e davanti al mondo, non doveva apparire abbandonato.
È affermato, dunque, e messo in piena luce il dogma dell’umanità santissima di Gesù. Questi, davanti ai suoi stessi Genitori, estasiati perché furono i testimoni del mistero di quest’Epifania della sua natura umana e vi ebbero parte, volle far brillare ora pure i raggi di un’altra Teofania, quella della sua divinità e della sua divina origine. Li calma divinamente con una semplice dichiarazione in cui tuttavia i suoi santissimi Genitori trovarono una tale elevazione di sapienza e di luce, che, come più tardi i tre apostoli sul Tabor, dovettero, per così dire, proteggersi gli occhi con la mano di fronte ai raggi incandescenti di questo Sole di giustizia vivente.
Il santo Vangelo dice che i sinedriti stupiti pendevano dalle labbra di Gesù; afferma, al contrario, che Maria e Giuseppe non arrivarono a penetrare il mistero di quelle sue parole, perché, durante la vita presente, quando la luce della visione intellettuale è troppo forte, gli occhi, al contatto di Dio, si chiudono, e lo spirito non può esprimere in pensieri umani ciò che vede.
La vita della Chiesa cattolica è la continuazione di quella della santa Famiglia di Nazaret, perché Gesù non ha fondato sulla terra due società ma una sola di cui fu il Capo, e Maria e Giuseppe i primi membri.
A lode della liturgia latina, aggiungiamo oggi un bel testo della liturgia bizantina in onore della santa Famiglia di Nazaret. Il compositore è il celebre san Giuseppe l’Innografo (᾿Ιωσήϕ μνογράϕος), vissuto nel IX sec.

Φυλάττουσαν, τν παρθενίαν κήρατον, τν γνν φύλαξας,
Λόγος ξ ς Θες σαρκώθη, φυλάξας Παρθένον ατήν, μετ
γέννησιν πόρρητον, μεθς θεοφορε, ωσφ μν μνημόνευε.

Custodisti, o Deifere Joseph, Virginem, quæ virginitatem incorruptam conservavit;
ex qua Deus Verbum incarnatus est, conservans illam Virginem post partum ineffabilem.
Tu, o Joseph, una cum illa, memor esto nostri.

Tu, o Giuseppe teoforo (portatore di Dio), fosti il custode della Vergine pura, che conservò intatta la sua verginità.
Da Lei prese carne il Verbo divino, conservandola Vergine anche dopo l’ineffabile parto.
Tu, o Giuseppe, con Maria, ricordati di noi.





Alessandro Allori, Sacra Famiglia con il card. Ferdinando de' Medici, 1584, Museo del Prado, Madrid

Francisco Camilo, Sacra Famiglia o Trinità in terra, XVII sec., Museo del Prado, Madrid


Carlo Dolci, Sacra Famiglia con Dio Padre e lo Spirito Santo, 1630 circa, collezione privata


Jerónimo Jacinto de Espinosa, Sacra Famiglia nella Bottega di S. Giuseppe, 1640-60, Museo de Bellas Artes, Valencia

Bartolomé Esteban Murillo, Sacra Famiglia dell'uccellino, 1650 circa, Museo del Prado, Madrid

Sir John Everett Millais, Cristo nella casa dei suoi genitori, ovvero la Bottega del Carpentiere, 1849-50, Tate Gallery, Londra
  
Rafael Flores, Sacra Famiglia, 1857, Museo Nacional de Arte, Città del Messico


Franz Ittenbach, Sacra Famiglia, 1868


Johann David Passavant, Sacra Famiglia con i SS. Giovannino ed Elisabetta, XIX sec., Städelsche Kunstinstitut und Städtische Galerie, Frankfurt am Main

József Dragan, Riposo durante la fuga in Egitto o Famiglia idilliaca, 1918


Pedro Muñoz de Alvarado, Sacra Famiglia, cattedrale, Cappella della Sacra Famiglia, Lima





François Lafon, Il figlio del carpentiere, 1896, Chiesa di S. Giuseppe, Nazaret



Sacra Famiglia, Chiesa di S. Giuseppe, Nazaret

Paolo Veronese, Disputa con i dottori nel Tempio, 1560 circa, Museo del Prado, Madrid

Juan de Valdés Leal, Gesù disputa con i dottori nel Tempio, 1686, Museo del Prado, Madrid

Giovanni Paolo Panini, Gesù tra i dottori, 1725 circa, Museo del Prado, Madrid

Orazio Borgianni, Gesù tra i dottori, 1609 circa, collezione privata


Heinrich Hofmann, Gesù tra i dottori, XIX sec.



William Holman Hunt, Il ritrovamento del Salvatore nel Tempio, 1862, Birmingham Museum and Art Gallery, Birmingham

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Gesù tra i dottori, 1862, Musee Ingres, Montauban

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