Il nostro blog,
autorizzato, rilancia volentieri questo contributo storico-teologico del dott.
Andrea Sandri, con l’auspicio che questo sia solo il primo di una serie di
altri suoi interessanti scritti.
Tra Alessandria e
Roma.
Brevi
considerazioni su “Gli ariani del IV secolo” di J.H. Newman
1 – Una delle principali
opere del Seicento teologico inglese è la Defensio Fidei Nicenae[1] del
vicario di Siddington Mary’s e futuro Lord Bishop di St
David’s George Bull. Pubblicata nel 1685, laDefensio fu approvata
da molti autori cattolici e ottenne anche il consenso di Jacques Bénigne
Bossuet che la considerò, nel suo complesso, oggettivamente cattolica.
Il titolo polemico
dell’opera di Bull corrisponde principalmente all’effettiva urgenza di
difendere il Credo di Nicea dalla risorgente eresia sociniana, antitrinitaria e
unitariana, in campo protestante, oltre che, nella specifica prospettiva del
teologo anglicano, al posizionamento rispetto all’autorità della “Chiesa di
Roma” e alla pretesa di questa sede di definire evolutivamente il deposito
della fede. Sarà, in realtà, quest’ultimo il tema che occuperà John Henry
Newman fino all’atto di conversione ricevuto dal passionista italiano Domenico
Barberi nell’eremo oxoniense di Littlemore nel 1845[2].
In particolare le
pagine della Defensio costituiscono una risposta all’eresia,
che si andava diffondendo tramite le opere di Daniel Zwicker (1612-1678) e di
Christopher Sandius (1644-1680), secondo la quale la dottrina ariana con il suo
rifiuto della fede trinitaria fu lo sviluppo estremo, negato dai Padri niceni,
delle dottrine autenticamente apostoliche dei primi tre secoli[3]. D’altro
canto, non meno pericolosa, e tutto sommato divergente soltanto nel giudizio
rispetto alle conclusioni degli unitariani tedeschi, appariva a Bull la posizione
del gesuita francese Dénis Petau che nel suo De Trinitate (1644)
aveva affermato che realmente i padri anteniceni erano incorsi in gravi errori
nell’esporre alcuni punti fondamentali della fede cattolica (la Trinità e
l’Incarnazione anzitutto) e che il Concilio – allora quello di Nicea ma poi
ogni altro concilio ecumenico fino al Tridentino – ebbe l’autorità di
condannare le vecchie formule e di definire, in opposizione a esse,
l’autentico credo cattolico.
Agli occhi del vicario di Siddington Mary’s l’argomento
fondato sull’intervento dell’autorità dottrinale del Concilio non poteva
colmare l’asserita discontinuità della tradizione apostolica lungo tre secoli
ed era necessario giustificare proprio i padri anteniceni e dimostrarne
l’ortodossia per stabilizzare nel semper eadem della fede
della Chiesa il Credo di Nicea e per difendere così quest’ultimo dalle
aggressioni dei nuovi antitrinitari protestanti e anche dalla dilatazione
dell’autorità definitoria del concilio (e del Papa) sostenuta dallo stesso
Petau. In tal modo Bull individuava nella antica geografia della Chiesa dei
Padri le coordinate di un luogo – non Roma, non Antiochia, ma Alessandria - in
cui dovette pensare di trasferire la sua chiesa e in cui idealmente, tra il
1831 e il 1833, Newman scrisse The Arians of the Fourth Century e,
tra il 1844 e il 1845, The Development of the Christian Doctrine.
L’argomento
principale con cui Zwicker e Sandius intendevano arruolare nella propria setta
gli autori dei primi tre secoli e in base al quale Pétau, insieme all’erudito
Pierre-Daniel Huet che aveva attaccato l’alessandrino Origene negli Origeniana (1668),
li accusava, si reggeva sulla collazione di passi nei quali gli antichi
scrittori e apologeti sembravano affermare la nascita temporale del Verbo
divino e anticipare l’affermazione di Ario secondo cui “ci fu un tempo in cui
[il Figlio] non esisteva” (ην ποτε οτε ουκ ην). Contro questi autori Bull
dimostra che, quando i padri anteniceni affermano la nascita del Verbo, non
intendono in realtà negare la sua eterna genesi dal Padre, ma descrivere, in
maniera metaforica e figurativa, la condiscensione (o
συνκαταβασις) del Figlio ovvero il suo “uscire” dal Padre in operatione
tantum al momento di creare e governare il mondo. Non soltanto questo
linguaggio non scandalizza autori come Sant’Atanasio, San Basilio e San
Gregorio Nazianzeno, ma il luogo della condiscensione, si afferma nella Defensio
fidei, è sviluppato dagli stessi Padri postniceni.
Attorno alla difesa
di San Barnaba, San Policarpo, San Clemente Romano, Sant’Ignazio d’Antiochia,
del Pastore di Erma, di San Giustino, San’Atenagora d’Atene, Sant’Ireneo,
Tertulliano, San Teofilo, San Clemente Alessandrino, San Dionigi Alessandrino,
Sant’Ippollito e dello stesso Origene, Bull ricostruisce la teologia
cattolica professata nei primi tre secoli e destinata a essere confermata dal
Concilio di Nicea e poi dal Costantinopolitano: i Padri anteniceni professavano
la coeternità del Figlio che esisteva ancor prima che fossero posti i
fondamenti dell’universo per Suo stesso tramite, e la Sua consustanzialità con
il Padre, essendo il Verbo, secondo un’espressione già presente in Tertulliano,
“luce da luce”. In tal senso professavano che il Figlio, consustanziale al
Padre, ha la fonte della propria divinità nel Padre (e non il Padre nel Figlio)
ed è mandato dal Padre (e non il Padre dal Figlio). Da
quest’ultima verità tenevano per certo che il Figlio governò e avrebbe
governato divinamente l’intero ordine dell’amministrazione del mondo e che Egli
parlò agli uomini santi dell’Antico Testamento tramite dispensazioni ed economie fino
a redimere, presa la natura umana, la sua Chiesa sull’Altare del Golgota.
2 – L’incontro definitivo di
Newman con Bull risale al 1831, quando il giovane fellow dell’Oriel
College di Oxford, da poco vicario della chiesa dell’università St
Mary the Virgin, accettò l’incarico di scrivere una storia dei concili
“orientali” (altri volumi sarebbero stati riservati ai concili “occidentali” e
al Tridentino) per la biblioteca di storia ecclesiastica diretta da Hugh James
Rose[4] e dall’arcidiacono William Lyall. La Defensio Fidei Nicenae lo
introdusse al principio dell’antichità – destinato, nello sviluppo di Newman, a
divenire parametro per affermare la cattolicità della chiesa d’Inghilterra e,
poi, per dubitarne e convertirsi al cattolicesimo romano - e gli fornì
orientamenti e materiali di studio. Il libro uscì autonomamente nel 1833 con il
titolo The Arians of the Fourth Century per l’editore
Revington che, nonostante le obiezioni di Lyall, ne volle la pubblicazione.
L’arcidiacono sosteneva, non a torto, che il testo consegnato più che una
storia dei concili fosse un saggio sull’eresia ariana, e contestava all’autore
di avere fatto prevalere concezioni proprie della Chiesa di Roma[5].
3 – Come s’è visto, i libri
della Defensio Fidei Nicenae costituiscono un’apologia
puntigliosa e indiscriminata degli scrittori anteniceni - latini e greci,
occidentali e orientali -, e tuttavia l’emergenza di alcuni aspetti
fondamentali sembra adombrare una tesi complessiva sui primi tre secoli: la
lunga, quasi monografica, difesa di Origene di Alessandria[6] (in cui Bull
prende le parti di Rufino di Aquileia, traduttore latino di Origene, contro San
Gerolamo) e l’individuazione della scaturigine dell’eresia ariana nell’opera
dell’antiochieno Paolo di Samosata.
La tesi, che Newman
sviluppa nel capitolo I de Gli Ariani del IV secolo e che
diviene canone interpretativo dell’“insegnamento della Chiesa pre-nicena in
relazione all’eresia ariana” (capitolo II) e dei fatti e delle dottrine dei
Concili durante i regni di Costantino, Costanzo, Costante, Giuliano, Gioviano e
Valentiniano (capitoli III-V), non può che apparire l’esplicitazione e lo sviluppo
degli aspetti fondamentali appena individuati all’interno della Defensio.
Newman ribalta, infatti, l’opinione diffusa, secondo cui focolare
dell’infezione ariana era stata principalmente la chiesa di Alessandria[7], e
indica con sicurezza in Antiochia l’epicentro della crisi.
La chiesa di
Antiochia, il cui primo vescovo era stato lo stesso San Pietro, conobbe, dopo
il martirio di San Babila, lo “spirito dell’Anticristo” in Paolo di Samosata
che, in maniera confusa, negò per primo il concetto di “sostanza” (ουσια),
utilizzato già dai padri del III secolo per descrivere la consustanzialità
delle persone della Santissima Trinità, e ne ottenne col raggiro la condanna da
parte del sinodo cattolico di Antiochia (262). Sullo sfondo di questa negazione
Newman scorge una scuola teologica profondamente caratterizzata da un
sincretismo cristiano-giudaico incapace di cogliere nell’Antico Testamento
“l’anticipazione di promesse e di comandi più grandi realizzatisi nel Vangelo”
e incline a un metodo letterale coniugato con la critica
razionalistica degli stessi contenuti letterali e con la loro dissoluzione
dialettica. Alla scuola di Antiochia si era formato Ario, anche se, al
momento di dichiarare al mondo la sua eresia, si trovava ad Alessandria. In
Siria, in Palestina e nell’Asia minore si propagò l’eresia antitrinitaria prima
che altrove[8].
Proprio nell’idea che
l’interpretazione letterale fosse insufficiente, la scuola di Alessandria si
allontanava dal sola scriptura di Antiochia; inoltre il
concetto di tradizione, che è l’antagonista di ogni letteralismo,
conservò la sua chiesa nell’ortodossia seppur attraverso le persecuzioni. La
chiesa di Alessandria, fondata da San Marco, era la chiesa polemista e
missionaria dell’antichità. La sua scuola catechetica risaliva a Sant’Atenagora,
e San Panteno, successore del grande apologeta, era stato inviato missionario
tra gli indiani e gli arabi. San Panteno e San Clemente Alessandrino erano
stati i maestri di Origene che “denunciò l’eresia ariana sessant’anni prima che
Ario la proclamasse”. San Gregorio Taumaturgo e San Dionigi di Alessandria, che
avevano studiato sotto Origene, furono tra i primi a denunciare l’eresia di
Paolo di Samosata. Sant’Alessandro di Alessandria, maestro di Sant’Atanasio, fu
il primo grande oppositore di Ario.
Newman si sofferma a
lungo sulla catechesi alessandrina individuando tre momenti intimamente
connessi: la disciplina arcani, il metodo allegorico e
il metodo economico. Laddove gli antiochieni affermano il primato
della lettera delle Scritture, gli alessandrini - seguendo il detto di
Clemente, secondo cui la verità è nascosta come “il gheriglio commestibile nel
guscio della noce”, e l’ammonizione evangelica di “non gettare perle ai porci”-
sostengono che la Chiesa possiede un legato apostolico (un arcanum)
costituente lo stesso principio di unità della fede di cui le Scritture non
sono che un’ulteriore fonte di prova; di conseguenza tra i testi della Bibbia e
il legato apostolico si instaura una tensione interpretativa in base alla quale
il testo è sempre allegoria di una verità che la Chiesa
possiede in quanto originariamente ricevuta da Cristo e dagli Apostoli; se ladisciplina
arcani nasconde, l’economia rivela tanto quanto la
concreta disposizione del destinatario a riceverla consente. Il metodo
dell’economia, già individuato da Bull, è generalmente una pedagogia cui
ricorre il maestro con il bambino, la Chiesa con i catecumeni, i pagani e i
giudei, e Dio stesso con l’umanità (le dispensazioni concesse
a Noé, a Giacobbe e a Mosé sono altrettante economie); lo stesso Gesù Cristo
ogni volta che parlò per parabole utilizzò il metodo economico[9].
L’approfondimento
delle concezioni alessandrine mette così in luce il nesso immediato tra latradizione,
come fonte della rivelazione distinta dalle Scritture, e la formulazione dei
“credo” che sono “redatti secondo le tradizioni apostoliche […] così che, in
pratica, la Chiesa non si è mai trovata letteralmente nella necessità di raccogliere
il senso della Scrittura”[10]. D’altro canto la prospettiva alessandrina
aggiunge un argomento all’apologia dei Padri anteniceni le cui formulazioni,
anche quando appaiono incomplete, trovano la propria ortodossia nella
tradizione e talvolta si giustificano in base all’esigenza economica di
rispondere all’eresia sabelliana o patripassiana (così l’argomento della condiscensione,
se ben indagato, è anche comprensibile come una risposta a chi negava ogni
distinzione tra il Padre e il Figlio).
3.1 – La lettura di Bull e di Newman
introduce vieppiù in una rappresentazione in cui la tradizione apostolica,
lungi dall’eclissarsi durante quasi tre secoli per ricomparire in forma
autoritativa nel Credo niceno, è costantemente conservata e comunicata da alcuni
Padri sparsi in tutto l’orbe cristiano; una rappresentazione in cui tuttavia,
già nella prima parte del III secolo e poi fino almeno al Concilio costantinopolitano,
la chiesa di Alessandria si appalesa come il luogo ideale e
fisico della continuità dottrinale conforme al legato apostolico in
contrapposizione con il protestantesimo antiochieno (ché davvero l’Antiochia
antica dovette essere per il giovane vicario di St Mary, già prossimo alla
fondazione del movimento trattariano e influenzato dall’amicizia di Richard
Hurrel Froude, la metafora del continente calvinista e luterano). Rimaneva da
definire all’interno di questa geografia antica (e attuale) la posizione di
Alessandria rispetto all’altra grande chiesa apostolica – alla Chiesa
di Roma.
In realtà a Newman
non sfugge il pericolo insito nel metodo della scuola alessandrina e non può
evitare di notare che, se il metodo letterale trascura la natura economica di
ogni testo rinunciando alla verità cui esso ulteriormente allude, il metodo
allegorico è continuamente tentato a lasciare dietro di sé il “senso principale
e primario” delle dispensazioni bibliche ed evangeliche ovvero
a dissolverlo in un labirinto di immagini ardite. A tale tentazione non si
erano sottratti il Clemente degli Στρωματείς e, soprattutto, Origene che della
scuola alessandrina era pur stato il massimo maestro. Petau e Huet avevano
accusato Origene seguendo San Gerolamo, Bull aveva difeso Origene appellandosi
a San Panfilo e a Rufino di Aquileia (si sostenne che Origene era stato o frainteso
o letto in testi manipolati dagli eretici suoi nemici), Newman chiama in causa
soprattutto Sant’Atanasio già difensore di Origene[11] e vede confluire e quasi
purificarsi nella vita e nella figura del grande vescovo di Alessandria,
nell’eroe dell’ortodossia cattolica durante il IV secolo, la missione della
Chiesa che era stata egualmente di San Marco, del santo missionario Panteno, di
San Clemente, dei santi patriarchi Dionigi e Alessandro e dello stesso Origene.
Atanasio è per Newman colui “che, dopo gli Apostoli è stato lo strumento
principale con cui le sacre verità del Cristianesimo sono state palesate e
preservate per il mondo”[12].
La seconda parte di The
Arians of the Fourth Century - la parte storica dell’opera che tratta
“il Concilio ecumenico di Nicea durante il regno di Costantino”, i “concili
durante il regno di Costanzo” e i “concili dopo il regno di Costanzo” –
descrive il giovane Atanasio a Nicea al seguito del suo vescovo Alessandro cui
succedette, il lungo esilio di Atanasio in Occidente dopo essere stato accusato
dai seguaci del perfido Eusebio di Nicomedia e condannato dai sinodi ariani di
Cesarea e di Tiro, i rapporti di amicizia con Eusebio di Vercelli e con
Lucifero di Cagliari, l’assoluzione da parte del sinodo di Roma, la sua presenza
al Concilio di Sardica (promosso da Papa Giulio e presieduto da Osio di
Cordova), la condanna nel 355 al Concilio eusebiano di Milano, Papa Liberio che
lo difese e quindi lo abbandonò “per amore della pace ancora più forte del suo
desiderio di martirio”, il finale trionfo e la morte di Atanasio nel “possesso
pacifico delle chiese per le quali aveva sofferto”.
4 - In realtà per il vicario di St
Mary la debolezza e la caduta di Papa Liberio, che nel mezzo della confusione
accettò di sottoscrivere un credo semiariano, sono meno importanti del rapporto
tra Alessandria e Roma che si realizzò durante l’esilio di Sant’Atanasio e che
avrebbe impresso un provvidenziale orientamento alla Chiesa fino al Concilio di
Costantinopoli. La chiesa di Alessandria era riuscita a conservare la fede
grazie a un metodo teologico che non solo non escludeva il deposito apostolico
ma lo presupponeva come necessaria profondità di ogni dottrina ortodossa, e
tuttavia proprio la crisi ariana mostrò l’insufficienza di quel metodo nell’assenza
di un’autorità universale che ne confermasse le indagini o ponesse limiti
all’eccessiva esuberanza che lo avrebbe indebolito (il caso di Origene era
eloquente). In tal senso l’incontro tra Papa Giulio I, e poi Papa Liberio, e Atanasio
coronava gli sforzi secolari della scuola di Alessandria ed esibiva l’armonia
della Chiesa universale.
La ricerca sugli
ariani del IV secolo dovette così rivelare a Newman ciò che Bull non aveva
potuto affermare fino in fondo (altrimenti avrebbe corrisposto all’invito di
Bossuet e di altri a unirsi alla Sede di Roma) e che Petau aveva sostenuto in
maniera difettosa – che l’autorità definitoria della Chiesa senza
il vincolo oggettivo della tradizione del deposito apostolico si risolve in una
specie di volontarismo sovrano non estraneo al soggettivismo liberale e
modernista (contra Petau) e che la tradizione del deposito
apostolico senza l’autorità definitoria della Chiesa si espone al pericolo di
un metodo necessariamente incerto, quand’anche corretto (contra Bull)[13].
Che, infine, Alessandria, come luogo storico in cui la tradizione è difesa e
conservata, può avere ragione per molto tempo nonostante Roma e persino contro
Roma, ma, senza la Chiesa di Roma, dopo dieci lustri si ritrova
monofisita.
Andrea Sandri
______________________________
1. Si fa qui
riferimento alla versione inglese di Edward Burton: G. BULL, Defensio
Fidei Nicenae. A Defence of the Nicene Creed out
of the Extant Writings of the Catholick Doctors, who flourished during the
three first Centuries of the Christian Church, Oxford
[1827] 1851-52.
2. Per gli aspetti
biografici si rinvia, tra gli altri, a C. SICCARDI, Nello Specchio del
cardinale J.H. Newman, Verona 2010, passim.
3. L’occasione è
descritta dall’autore della Defensio nel testo To the
Reader con il quale si apre il primo volume: “For they [learned
friends] gave me to understand that the writings of Christopher Ch. Sandius
were every where in the hands of our students of theology and others, a writer
who openly and unblushingly maintains the blasphemy of Arius as the
truly catholic doctrine, and as supported by the voices of all the ancients who
preceded the council of Nice” (pp. VII-VIII) (c.m.).
4. Lo stesso che in The
State of the the Protestant Religion in Germany denunciò nel 1825 il
razionalismo della nuova esegesi biblica in terra tedesca.
5. Si veda a tal
riguardo J.H. NEWMAN, Apologia pro vita sua, Milano 1992, pp. 52
ss.; I. KER, John Henry Newman. A Biography, Oxford 2010, pp.
42-48; J. MORALES MARÍN, John Henry Newman. La vita, Milano 1995, pp. 91-92.
6. È interessante
osservare che il capitolo IX del Libro II della Defensio (vol.
I, pp. 217-284) fu inserito dall’Abbé J.P. MIGNE nell’appendice volume XVII del
celebre Patrologiae cursus completus, series graeca, Parigi 1857, tra gli
scripta ad Originem spectantia come Excerptum ex Georgii Bullii presbiteri
anglicani Defensionae Fidei Nicenae dopo la Apologia S. Pamphilii pro Origene,
il Rufini liber de adulteratione librorum Origenis e il P.
Danielis Huetii Origeniana (Huet!).
7. Così J. H. NEWMAN, Gli
ariani del IV secolo, Milano 1981: “Ho mirato, in modo particolare,
seguendo le orme dei nostri grandi teologi, a liberare i Padri alessandrini
dalle calunnie che, per avversione verso di essi o verso la causa ortodossa,
sono state gettate così liberamente e senza paura contro di essi”.
8. Vedi in merito
alla scuola di Antiochia ibidem, pp. 3-20.
9. Vedi in merito alla scuola di Alessandria ibidem, pp. 31-72.
10. Ibidem, p. 113.
Newman dovette riconoscere nel sistema alessandrino della disciplina arcani e
delle economie il concetto sostanzialmente cattolico di tradizione appreso tra
il 1822 e il 1825 da Edward Hawkins, suo predecessore a St Mary e futuro rettore
di Oriel. Così infatti si legge in Apologia pro vita sua, cit., p. 29-30: “Dal
dottor Hawkins presi un altro principio, che ha più diretta attinenza col
cattolicesimo di tutti quelli che ho finora elencati: la dottrina della tradizione.
[…] Egli enuncia una proposizione che è di per sé evidente […], cioè che il
testo sacro non ebbe mai lo scopo di insegnare una dottrina, ma solo di
convalidarla, e che se noi vogliamo imparare una dottrina dobbiamo rivolgerci
ai formulari della Chiesa: per esempio il catechismo e i simboli della fede”.
11. Newman ricorda
che già Sant’Atanasio difese e giustificò Origene. E’ questo il giudizio sulla
complessiva ortodossia del maestro alessandrino che infatti si legge in
ATANASIO, Il credo di Nicea [De decretis Nicenae Synodis], Roma 2001, p. 112:
“Che il Logos sussista eternamente e che non si [da] un’altra sostanza o
ipostasi, ma [progenie] propria di quella del Padre, come dissero quelli nel
concilio, lo potrete anche sentire dall’infaticabile Origene. Le cose che egli
ha scritto per la ricerca e l’esercitazione, non vanno prese come pensiero suo
proprio, bensì di quelli che, nel corso della ricerca, entrano in lizza nella
discussione. Quelle cose invece che egli esprime in maniera definitoria, queste
rappresentano il pensiero proprio dell’infaticabile [maestro]”.
12. J.H.NEWMAN, Gli
ariani del IV secolo, cit., p. 287.
13. Tale è l’approdo
che sarà approfondito in J.H. NEWMAN, Lo sviluppo della dottrina cristiana,
Milano 2003, dove tra l’altro si legge: “Quindi, la risposta più ovvia a chi ci
chiede perché mai ci assoggettiamo all’autorità della Chiesa nelle questioni e
negli sviluppi concernenti la fede è questa: ci deve essere una qualche
autorità, se ci è stata data una rivelazione, e non vi è altra autorità tranne
la sua” (p. 117), e significativamente più sotto: “In verità, il principio del
dogmatismo diede origine, nel corso del tempo, ai Concili. Ma esso operava,
anzi dominava sin dal principio in ogni parte della cristianità. […] I Concili
e i Papi sono i custodi e gli strumenti del principio dogmatico.Essi non
sono questo principio, ma lo suppongono” (p. 347) (c.m.).
Fonte: Chiesa e postconcilio, 4.1.2015. Il saggio è anche in Vigiliae Alexandrinae, 5.1.2015.
Fonte: Chiesa e postconcilio, 4.1.2015. Il saggio è anche in Vigiliae Alexandrinae, 5.1.2015.
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