domenica 4 gennaio 2015

Tra Alessandria e Roma. Brevi considerazioni su “Gli ariani del IV secolo” di J.H. Newman di Andrea Sandri

Il nostro blog, autorizzato, rilancia volentieri questo contributo storico-teologico del dott. Andrea Sandri, con l’auspicio che questo sia solo il primo di una serie di altri suoi interessanti scritti.

Tra Alessandria e Roma.
Brevi considerazioni su “Gli ariani del IV secolo” di J.H. Newman

1 –  Una delle principali opere del Seicento teologico inglese è la Defensio Fidei Nicenae[1] del vicario di Siddington Mary’s e futuro Lord Bishop di St David’s George Bull. Pubblicata nel 1685, laDefensio fu approvata da molti autori cattolici e ottenne anche il consenso di Jacques Bénigne Bossuet che la considerò, nel suo complesso, oggettivamente cattolica.
Il titolo polemico dell’opera di Bull corrisponde principalmente all’effettiva urgenza di difendere il Credo di Nicea dalla risorgente eresia sociniana, antitrinitaria e unitariana, in campo protestante, oltre che, nella specifica prospettiva del teologo anglicano, al posizionamento rispetto all’autorità della “Chiesa di Roma” e alla pretesa di questa sede di definire evolutivamente il deposito della fede. Sarà, in realtà, quest’ultimo il tema che occuperà John Henry Newman fino all’atto di conversione ricevuto dal passionista italiano Domenico Barberi nell’eremo oxoniense di Littlemore nel 1845[2].
In particolare le pagine della Defensio costituiscono una risposta all’eresia, che si andava diffondendo tramite le opere di Daniel Zwicker (1612-1678) e di Christopher Sandius (1644-1680), secondo la quale la dottrina ariana con il suo rifiuto della fede trinitaria fu lo sviluppo estremo, negato dai Padri niceni, delle dottrine autenticamente apostoliche dei primi tre secoli[3]. D’altro canto, non meno pericolosa, e tutto sommato divergente soltanto nel giudizio rispetto alle conclusioni degli unitariani tedeschi, appariva a Bull la posizione del gesuita francese Dénis Petau che nel suo De Trinitate (1644) aveva affermato che realmente i padri anteniceni erano incorsi in gravi errori nell’esporre alcuni punti fondamentali della fede cattolica (la Trinità e l’Incarnazione anzitutto) e che il Concilio – allora quello di Nicea ma poi ogni altro concilio ecumenico fino al Tridentino – ebbe l’autorità di condannare le vecchie formule e di definire, in opposizione a esse, l’autentico credo cattolico.
Agli occhi del vicario di Siddington Mary’s l’argomento fondato sull’intervento dell’autorità dottrinale del Concilio non poteva colmare l’asserita discontinuità della tradizione apostolica lungo tre secoli ed era necessario giustificare proprio i padri anteniceni e dimostrarne l’ortodossia per stabilizzare nel semper eadem della fede della Chiesa il Credo di Nicea e per difendere così quest’ultimo dalle aggressioni dei nuovi antitrinitari protestanti e anche dalla dilatazione dell’autorità definitoria del concilio (e del Papa) sostenuta dallo stesso Petau. In tal modo Bull individuava nella antica geografia della Chiesa dei Padri le coordinate di un luogo – non Roma, non Antiochia, ma Alessandria - in cui dovette pensare di trasferire la sua chiesa e in cui idealmente, tra il 1831 e il 1833, Newman scrisse The Arians of the Fourth Century e, tra il 1844 e il 1845, The Development of the Christian Doctrine.
L’argomento principale con cui Zwicker e Sandius intendevano arruolare nella propria setta gli autori dei primi tre secoli e in base al quale Pétau, insieme all’erudito Pierre-Daniel Huet che aveva attaccato l’alessandrino Origene negli Origeniana (1668), li accusava, si reggeva sulla collazione di passi nei quali gli antichi scrittori e apologeti sembravano affermare la nascita temporale del Verbo divino e anticipare l’affermazione di Ario secondo cui “ci fu un tempo in cui [il Figlio] non esisteva” (ην ποτε οτε ουκ ην). Contro questi autori Bull dimostra che, quando i padri anteniceni affermano la nascita del Verbo, non intendono in realtà negare la sua eterna genesi dal Padre, ma descrivere, in maniera metaforica e figurativa, la condiscensione (o συνκαταβασις) del Figlio ovvero il suo “uscire” dal Padre in operatione tantum al momento di creare e governare il mondo. Non soltanto questo linguaggio non scandalizza autori come Sant’Atanasio, San Basilio e San Gregorio Nazianzeno, ma il luogo della condiscensione, si afferma nella Defensio fidei, è sviluppato dagli stessi Padri postniceni.
Attorno alla difesa di San Barnaba, San Policarpo, San Clemente Romano, Sant’Ignazio d’Antiochia, del Pastore di Erma, di San Giustino, San’Atenagora d’Atene, Sant’Ireneo, Tertulliano, San Teofilo, San Clemente Alessandrino, San Dionigi Alessandrino,  Sant’Ippollito e dello stesso Origene, Bull ricostruisce la teologia cattolica professata nei primi tre secoli e destinata a essere confermata dal Concilio di Nicea e poi dal Costantinopolitano: i Padri anteniceni professavano la coeternità del Figlio che esisteva ancor prima che fossero posti i fondamenti dell’universo per Suo stesso tramite, e la Sua consustanzialità con il Padre, essendo il Verbo, secondo un’espressione già presente in Tertulliano, “luce da luce”. In tal senso professavano che il Figlio, consustanziale al Padre, ha la fonte della propria divinità nel Padre (e non il Padre nel Figlio) ed è mandato dal Padre (e non il Padre dal Figlio). Da quest’ultima verità tenevano per certo che il Figlio governò e avrebbe governato divinamente l’intero ordine dell’amministrazione del mondo e che Egli parlò agli uomini santi dell’Antico Testamento tramite dispensazioni ed economie  fino a redimere, presa la natura umana, la sua Chiesa sull’Altare del Golgota.

2 – L’incontro definitivo di Newman con Bull risale al 1831, quando il giovane fellow dell’Oriel College di Oxford, da poco vicario della chiesa dell’università St Mary the Virgin, accettò l’incarico di scrivere una storia dei concili “orientali” (altri volumi sarebbero stati riservati ai concili “occidentali” e al Tridentino) per la biblioteca di storia ecclesiastica diretta da Hugh James Rose[4] e dall’arcidiacono William Lyall. La Defensio Fidei Nicenae lo introdusse al principio dell’antichità – destinato, nello sviluppo di Newman, a divenire parametro per affermare la cattolicità della chiesa d’Inghilterra e, poi, per dubitarne e convertirsi al cattolicesimo romano - e gli fornì orientamenti e materiali di studio. Il libro uscì autonomamente nel 1833 con il titolo The Arians of the Fourth Century per l’editore Revington che, nonostante le obiezioni di Lyall, ne volle la pubblicazione. L’arcidiacono sosteneva, non a torto, che il testo consegnato più che una storia dei concili fosse un saggio sull’eresia ariana, e contestava all’autore di avere fatto prevalere concezioni proprie della Chiesa di Roma[5].

3 – Come s’è visto, i libri della Defensio Fidei Nicenae costituiscono un’apologia puntigliosa e indiscriminata degli scrittori anteniceni - latini e greci, occidentali e orientali -, e tuttavia l’emergenza di alcuni aspetti fondamentali sembra adombrare una tesi complessiva sui primi tre secoli: la lunga, quasi monografica, difesa di Origene di Alessandria[6] (in cui Bull prende le parti di Rufino di Aquileia, traduttore latino di Origene, contro San Gerolamo) e l’individuazione della scaturigine dell’eresia ariana nell’opera dell’antiochieno Paolo di Samosata.
La tesi, che Newman sviluppa nel capitolo I de Gli Ariani del IV secolo e che diviene canone interpretativo dell’“insegnamento della Chiesa pre-nicena in relazione all’eresia ariana” (capitolo II) e dei fatti e delle dottrine dei Concili durante i regni di Costantino, Costanzo, Costante, Giuliano, Gioviano e Valentiniano (capitoli III-V), non può che apparire l’esplicitazione e lo sviluppo degli aspetti fondamentali appena individuati all’interno della Defensio. Newman ribalta, infatti, l’opinione diffusa, secondo cui focolare dell’infezione ariana era stata principalmente la chiesa di Alessandria[7], e indica con sicurezza in Antiochia l’epicentro della crisi.
La chiesa di Antiochia, il cui primo vescovo era stato lo stesso San Pietro, conobbe, dopo il martirio di San Babila, lo “spirito dell’Anticristo” in Paolo di Samosata che, in maniera confusa, negò per primo il concetto di “sostanza” (ουσια), utilizzato già dai padri del III secolo per descrivere la consustanzialità delle persone della Santissima Trinità, e ne ottenne col raggiro la condanna da parte del sinodo cattolico di Antiochia (262). Sullo sfondo di questa negazione Newman scorge una scuola teologica profondamente caratterizzata da un sincretismo cristiano-giudaico incapace di cogliere nell’Antico Testamento “l’anticipazione di promesse e di comandi più grandi realizzatisi nel Vangelo” e incline a un metodo letterale coniugato con la critica razionalistica degli stessi contenuti letterali e con la loro dissoluzione dialettica. Alla scuola di Antiochia si era formato Ario, anche se, al momento di dichiarare al mondo la sua eresia, si trovava ad Alessandria. In Siria, in Palestina e nell’Asia minore si propagò l’eresia antitrinitaria prima che altrove[8].
Proprio nell’idea che l’interpretazione letterale fosse insufficiente, la scuola di Alessandria si allontanava dal sola scriptura di Antiochia; inoltre il concetto di tradizione, che è l’antagonista di ogni letteralismo, conservò la sua chiesa nell’ortodossia seppur attraverso le persecuzioni. La chiesa di Alessandria, fondata da San Marco, era la chiesa polemista e missionaria dell’antichità. La sua scuola catechetica risaliva a Sant’Atenagora, e San Panteno, successore del grande apologeta, era stato inviato missionario tra gli indiani e gli arabi. San Panteno e San Clemente Alessandrino erano stati i maestri di Origene che “denunciò l’eresia ariana sessant’anni prima che Ario la proclamasse”. San Gregorio Taumaturgo e San Dionigi di Alessandria, che avevano studiato sotto Origene, furono tra i primi a denunciare l’eresia di Paolo di Samosata. Sant’Alessandro di Alessandria, maestro di Sant’Atanasio, fu il primo grande oppositore di Ario.
Newman si sofferma a lungo sulla catechesi alessandrina individuando tre momenti intimamente connessi: la disciplina arcani, il metodo allegorico e il metodo economico. Laddove gli antiochieni affermano il primato della lettera delle Scritture, gli alessandrini - seguendo il detto di Clemente, secondo cui la verità è nascosta come “il gheriglio commestibile nel guscio della noce”, e l’ammonizione evangelica di “non gettare perle ai porci”- sostengono che la Chiesa possiede un legato apostolico (un arcanum) costituente lo stesso principio di unità della fede di cui le Scritture non sono che un’ulteriore fonte di prova; di conseguenza tra i testi della Bibbia e il legato apostolico si instaura una tensione interpretativa in base alla quale il testo è sempre allegoria di una verità che la Chiesa possiede in quanto originariamente ricevuta da Cristo e dagli Apostoli; se ladisciplina arcani nasconde, l’economia rivela tanto quanto la concreta disposizione del destinatario a riceverla consente. Il metodo dell’economia, già individuato da Bull, è generalmente una pedagogia cui ricorre il maestro con il bambino, la Chiesa con i catecumeni, i pagani e i giudei, e Dio stesso con l’umanità (le dispensazioni concesse a Noé, a Giacobbe e a Mosé sono altrettante economie); lo stesso Gesù Cristo ogni volta che parlò per parabole utilizzò il metodo economico[9].
L’approfondimento delle concezioni alessandrine mette così in luce il nesso immediato tra latradizione, come fonte della rivelazione distinta dalle Scritture, e la formulazione dei “credo” che sono “redatti secondo le tradizioni apostoliche […] così che, in pratica, la Chiesa non si è mai trovata letteralmente nella necessità di raccogliere il senso della Scrittura”[10]. D’altro canto la prospettiva alessandrina aggiunge un argomento all’apologia dei Padri anteniceni le cui formulazioni, anche quando appaiono incomplete, trovano la propria ortodossia nella tradizione e talvolta si giustificano in base all’esigenza economica di rispondere all’eresia sabelliana o patripassiana (così l’argomento della condiscensione, se ben indagato, è anche comprensibile come una risposta a chi negava ogni distinzione tra il Padre e il Figlio).

3.1 – La lettura di Bull e di Newman introduce vieppiù in una rappresentazione in cui la tradizione apostolica, lungi dall’eclissarsi durante quasi tre secoli per ricomparire in forma autoritativa nel Credo niceno, è costantemente conservata e comunicata da alcuni Padri sparsi in tutto l’orbe cristiano; una rappresentazione in cui tuttavia, già nella prima parte del III secolo e poi fino almeno al Concilio costantinopolitano, la chiesa di Alessandria si appalesa come il luogo ideale e fisico della continuità dottrinale conforme al legato apostolico in contrapposizione con il protestantesimo antiochieno (ché davvero l’Antiochia antica dovette essere per il giovane vicario di St Mary, già prossimo alla fondazione del movimento trattariano e influenzato dall’amicizia di Richard Hurrel Froude, la metafora del continente calvinista e luterano). Rimaneva da definire all’interno di questa geografia antica (e attuale) la posizione di Alessandria rispetto all’altra grande chiesa apostolica – alla Chiesa di Roma.
In realtà a Newman non sfugge il pericolo insito nel metodo della scuola alessandrina e non può evitare di notare che, se il metodo letterale trascura la natura economica di ogni testo rinunciando alla verità cui esso ulteriormente allude, il metodo allegorico è continuamente tentato a lasciare dietro di sé il “senso principale e primario” delle dispensazioni bibliche ed evangeliche ovvero a dissolverlo in un labirinto di immagini ardite. A tale tentazione non si erano sottratti il Clemente degli Στρωματείς e, soprattutto, Origene che della scuola alessandrina era pur stato il massimo maestro. Petau e Huet avevano accusato Origene seguendo San Gerolamo, Bull aveva difeso Origene appellandosi a San Panfilo e a Rufino di Aquileia (si sostenne che Origene era stato o frainteso o letto in testi manipolati dagli eretici suoi nemici), Newman chiama in causa soprattutto Sant’Atanasio già difensore di Origene[11] e vede confluire e quasi purificarsi nella vita e nella figura del grande vescovo di Alessandria, nell’eroe dell’ortodossia cattolica durante il IV secolo, la missione della Chiesa che era stata egualmente di San Marco, del santo missionario Panteno, di San Clemente, dei santi patriarchi Dionigi e Alessandro e dello stesso Origene. Atanasio è per Newman colui “che, dopo gli Apostoli è stato lo strumento principale con cui le sacre verità del Cristianesimo sono state palesate e preservate per il mondo”[12]. 
La seconda parte di The Arians of the Fourth Century - la parte storica dell’opera che tratta “il Concilio ecumenico di Nicea durante il regno di Costantino”, i “concili durante il regno di Costanzo” e i “concili dopo il regno di Costanzo” – descrive il giovane Atanasio a Nicea al seguito del suo vescovo Alessandro cui succedette, il lungo esilio di Atanasio in Occidente dopo essere stato accusato dai seguaci del perfido Eusebio di Nicomedia e condannato dai sinodi ariani di Cesarea e di Tiro, i rapporti di amicizia con Eusebio di Vercelli e con Lucifero di Cagliari, l’assoluzione da parte del sinodo di Roma, la sua presenza al Concilio di Sardica (promosso da Papa Giulio e presieduto da Osio di Cordova), la condanna nel 355 al Concilio eusebiano di Milano, Papa Liberio che lo difese e quindi lo abbandonò “per amore della pace ancora più forte del suo desiderio di martirio”, il finale trionfo e la morte di Atanasio nel “possesso pacifico delle chiese per le quali aveva sofferto”.

4 - In realtà per il vicario di St Mary la debolezza e la caduta di Papa Liberio, che nel mezzo della confusione accettò di sottoscrivere un credo semiariano, sono meno importanti del rapporto tra Alessandria e Roma che si realizzò durante l’esilio di Sant’Atanasio e che avrebbe impresso un provvidenziale orientamento alla Chiesa fino al Concilio di Costantinopoli. La chiesa di Alessandria era riuscita a conservare la fede grazie a un metodo teologico che non solo non escludeva il deposito apostolico ma lo presupponeva come necessaria profondità di ogni dottrina ortodossa, e tuttavia proprio la crisi ariana mostrò l’insufficienza di quel metodo nell’assenza di un’autorità universale che ne confermasse le indagini o ponesse limiti all’eccessiva esuberanza che lo avrebbe indebolito (il caso di Origene era eloquente). In tal senso l’incontro tra Papa Giulio I, e poi Papa Liberio, e Atanasio coronava gli sforzi secolari della scuola di Alessandria ed esibiva l’armonia della Chiesa universale. 
La ricerca sugli ariani del IV secolo dovette così rivelare a Newman ciò che Bull non aveva potuto affermare fino in fondo (altrimenti avrebbe corrisposto all’invito di Bossuet e di altri a unirsi alla Sede di Roma) e che Petau aveva sostenuto in maniera difettosa – che l’autorità definitoria della Chiesa senza il vincolo oggettivo della tradizione del deposito apostolico si risolve in una specie di volontarismo sovrano non estraneo al soggettivismo liberale e modernista (contra Petau) e che la tradizione del deposito apostolico senza l’autorità definitoria della Chiesa si espone al pericolo di un metodo necessariamente incerto, quand’anche corretto (contra Bull)[13]. Che, infine, Alessandria, come luogo storico in cui la tradizione è difesa e conservata, può avere ragione per molto tempo nonostante Roma e persino contro Roma, ma, senza la Chiesa di Roma, dopo dieci lustri si ritrova monofisita. 

Andrea Sandri

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1. Si fa qui riferimento alla versione inglese di Edward Burton: G. BULL, Defensio Fidei Nicenae. A Defence of the Nicene Creed out of the Extant Writings of the Catholick Doctors, who flourished during the three first Centuries of the Christian Church, Oxford [1827] 1851-52.

2. Per gli aspetti biografici si rinvia, tra gli altri, a C. SICCARDI, Nello Specchio del cardinale J.H. Newman, Verona 2010, passim.

3. L’occasione è descritta dall’autore della Defensio nel testo To the Reader con il quale si apre il primo volume: “For they [learned friends] gave me to understand that the writings of Christopher Ch. Sandius were every where in the hands of our students of theology and others, a writer who openly and unblushingly maintains the blasphemy of Arius as the truly catholic doctrine, and as supported by the voices of all the ancients who preceded the council of Nice” (pp. VII-VIII) (c.m.).

4. Lo stesso che in The State of the the Protestant Religion in Germany denunciò nel 1825 il razionalismo della nuova esegesi biblica in terra tedesca.

5. Si veda a tal riguardo J.H. NEWMAN, Apologia pro vita sua, Milano 1992, pp. 52 ss.; I. KER, John Henry Newman. A Biography, Oxford 2010, pp. 42-48; J. MORALES MARÍN, John Henry Newman. La vita, Milano 1995, pp. 91-92.

6. È interessante osservare che il capitolo IX del Libro II della Defensio (vol. I, pp. 217-284) fu inserito dall’Abbé J.P. MIGNE nell’appendice volume XVII del celebre Patrologiae cursus completus, series graeca, Parigi 1857, tra gli scripta ad Originem spectantia come Excerptum ex Georgii Bullii presbiteri anglicani Defensionae Fidei Nicenae dopo la Apologia S. Pamphilii pro Origene, il Rufini liber de adulteratione librorum Origenis e il P. Danielis Huetii Origeniana (Huet!).

7. Così J. H. NEWMAN, Gli ariani del IV secolo, Milano 1981: “Ho mirato, in modo particolare, seguendo le orme dei nostri grandi teologi, a liberare i Padri alessandrini dalle calunnie che, per avversione verso di essi o verso la causa ortodossa, sono state gettate così liberamente e senza paura contro di essi”.

8. Vedi in merito alla scuola di Antiochia ibidem, pp. 3-20.

9. Vedi in merito alla scuola di Alessandria ibidem, pp. 31-72.

10. Ibidem, p. 113. Newman dovette riconoscere nel sistema alessandrino della disciplina arcani e delle economie il concetto sostanzialmente cattolico di tradizione appreso tra il 1822 e il 1825 da Edward Hawkins, suo predecessore a St Mary e futuro rettore di Oriel. Così infatti si legge in Apologia pro vita sua, cit., p. 29-30: “Dal dottor Hawkins presi un altro principio, che ha più diretta attinenza col cattolicesimo di tutti quelli che ho finora elencati: la dottrina della tradizione. […] Egli enuncia una proposizione che è di per sé evidente […], cioè che il testo sacro non ebbe mai lo scopo di insegnare una dottrina, ma solo di convalidarla, e che se noi vogliamo imparare una dottrina dobbiamo rivolgerci ai formulari della Chiesa: per esempio il catechismo e i simboli della fede”.

11. Newman ricorda che già Sant’Atanasio difese e giustificò Origene. E’ questo il giudizio sulla complessiva ortodossia del maestro alessandrino che infatti si legge in ATANASIO, Il credo di Nicea [De decretis Nicenae Synodis], Roma 2001, p. 112: “Che il Logos sussista eternamente e che non si [da] un’altra sostanza o ipostasi, ma [progenie] propria di quella del Padre, come dissero quelli nel concilio, lo potrete anche sentire dall’infaticabile Origene. Le cose che egli ha scritto per la ricerca e l’esercitazione, non vanno prese come pensiero suo proprio, bensì di quelli che, nel corso della ricerca, entrano in lizza nella discussione. Quelle cose invece che egli esprime in maniera definitoria, queste rappresentano il pensiero proprio dell’infaticabile [maestro]”.

12. J.H.NEWMAN, Gli ariani del IV secolo, cit., p. 287.

13. Tale è l’approdo che sarà approfondito in J.H. NEWMAN, Lo sviluppo della dottrina cristiana, Milano 2003, dove tra l’altro si legge: “Quindi, la risposta più ovvia a chi ci chiede perché mai ci assoggettiamo all’autorità della Chiesa nelle questioni e negli sviluppi concernenti la fede è questa: ci deve essere una qualche autorità, se ci è stata data una rivelazione, e non vi è altra autorità tranne la sua” (p. 117), e significativamente più sotto: “In verità, il principio del dogmatismo diede origine, nel corso del tempo, ai Concili. Ma esso operava, anzi dominava sin dal principio in ogni parte della cristianità. […] I Concili e i Papi sono i custodi e gli strumenti del principio dogmatico.Essi non sono questo principio, ma lo suppongono” (p. 347) (c.m.).

Fonte: Chiesa e postconcilio, 4.1.2015. Il saggio è anche in Vigiliae Alexandrinae, 5.1.2015.

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