L’8 febbraio 1587, il giorno
fissato per l’esecuzione, presso il castello di Fotheringhay, Mary Stuart,
italianizzato come Maria Stuarda, riferiscono le fonti, entrò nel salone, in
cui doveva svolgersi la sua esecuzione, con aria tranquilla, indossando un
abito scuro e un lungo velo bianco, simile a quello di una sposa. Quando il
boia le presentò le sue scuse, ella gli disse: «Vi perdono con tutto il mio
cuore, perché spero che ora porrete fine a tutte le mie angustie». Sul patibolo
le sue dame, Elizabeth Curle e Jane Kennedy, l’aiutarono a spogliarsi, rivelando un sottabito rosso cremisi, il colore della
passione dei martiri cattolici, appositamente scelto dalla regina, che davanti
ai protestanti inglesi voleva morire da martire cattolica. Una volta bendata e
posizionata la testa sul ceppo pronunciò le parole: «In manus tuas, Domine,
commendo spiritum meum», cioè «Signore, nelle tue mani affido il mio
spirito».
Il
martirio della regina, stando ai testimoni, fu particolarmente brutale: il
primo colpo di mannaia fracassò parzialmente la nuca, gli astanti dissero che
in quel momento Maria aveva sussurrato le parole: «Dolce Gesù». Il secondo
colpo recise completamente il collo, fatta eccezione per un tendine, che fu
infine tagliato usando la scure come una sega (cfr. Antonia Fraser, Maria Stuart. La tragedia di una regina,
Mondadori, Milano 1998, p. 591). Quando gli esecutori si avvicinarono al corpo
senza vita per prendere gli ultimi ornamenti rimasti, prima che venisse
imbalsamato, la gonna di Maria iniziò a muoversi e dal di sotto uscì il piccolo
cane della regina, che ella era riuscita a nascondere sotto le lunghe vesti. Per quanto si cercasse di
allontanarlo, il cagnolino continuava a rimanere vicino al corpo (Stefan Zweig, Maria Stuarda. La
rivale di Elisabetta I d’Inghilterra, Bompiani, Milano 2013, p. 366). Le
dame della regina, alla fine, riuscirono a farlo desistere e lo lavarono più
volte per far andare via il sangue ma, una settimana più tardi, essendosi
rifiutato di mangiare, morì d’inedia (Fraser,
op. cit., p. 592). Il boia sollevò la testa della regina per mostrarla
ai presenti e in quel momento la folla fu sconvolta da un’inaspettata visione:
i riccioli castani di Maria si staccarono e la testa rotolò a terra; nessuno
avrebbe immaginato che la regina di Scozia indossasse una parrucca. A causa
delle sofferenze patite in prigionia, in effetti, Maria era precocemente
entrata in menopausa e i suoi capelli si erano incanutiti e diradati; per
ovviare a ciò, aveva preso l’abitudine di indossare una parrucca del suo colore
naturale (ibidem, p. 591; Zweig,
op. loc. cit.).La richiesta di Maria di essere sepolta in Francia venne
rifiutata da Elisabetta. Il suo corpo venne imbalsamato e lasciato insepolto in
una bara di piombo fino alla sua sepoltura, avvenuta nella Cattedrale di
Peterborough alla fine del luglio del 1587. Le sue interiora, rimosse come
parte del processo di imbalsamazione, furono sepolte in segreto nel castello di
Fotheringhay. Il suo corpo fu riesumato nel 1612 quando suo figlio, il re
Giacomo I d’Inghilterra, ordinò che venisse sepolta nell’Abbazia di
Westminster, in una cappella di fronte alla tomba di Elisabetta I.
Scipione Vannutelli, Maria Stuarda si avvia al patibolo, 1861, Galleria d'Arte Moderna, Firenze |
La regina di Scozia, regina consacrata da Dio,
moriva all’età di quarantaquattro anni. Il suo dramma ispirerà, nella musica, Donizetti
e Mercadante; nella letteratura l’Alfieri e Schiller.
La
regina martire poteva vantare inoltre una corrispondenza ed amicizia con San
Carlo Borromeo e godeva dell’appoggio di San Pio V.
Elisabetta,
sua cugina, morirà nubile, non ebbe figli ed il figlio di Maria, Giacomo Stuart
di religione protestante (e che aveva tradito per il trono la fede cattolica della
madre), divenne re d’Inghilterra, designato da Elisabetta sul letto di morte.
Dell’empia
Elisabetta, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Dottore della Chiesa, ne parla nel
suo libro “Apparecchio alla morte”. Di lei scrive che questa, in maniera
stolta, arrivò a dire: «Dio, dammi quarant’anni di regno e io rinuncio al
paradiso!». Quella «misera», come la chiama il Santo Dottore, ebbe
effettivamente un regno di quarant’anni (per l’esattezza 45 anni), ma dopo la
morte fu vista di notte sulle sponde del Tamigi, mentre, circondata da fiamme,
gridava: «Quarant’anni di regno e un’eternità di dolore!...» (Apparecchio
alla morte, Considerazione XXVIII - Rimorsi del dannato, punto III, ora
in Opere Ascetiche, Vol. IX, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1965,
pp. 274-275).
Anonimo, Ritratto allegorico di Elisabetta anziana, 1610-20 Il Tempo la scruta, la Morte ghigna alle sue spalle e due cherubini sostengono la corona ormai troppo pesante. |
San
Luigi Guanella scriveva: «Nella terra inglese una regina Elisabetta con otto
mariti e che poneva a morte chi diceva i figli naturali non esser legittimi
eredi del trono, questa si faceva chiamare regina vergine e voleva che alla sua
presenza i cortigiani stessero genuflessi. In Iscozia era la cugina Maria
Stuarda, santissima donna che, lasciata con immenso cordoglio la Francia,
veniva per ricevere la corona di Scozia, ben prevedendo che questa le avrebbe
circondato le tempie come una corona di spine. Fu vero perché Elisabetta, la
regina vergine di otto mariti, fu altresì agnello mite come una tigre
sanguinaria. Il suo diletto era spogliar chiese e abbat[t]er monasteri, non
solo, ma tagliar teste di duchi, di principi, di vescovi, di sacerdoti, che si
opponevano alle sue scelleratezze. Sancì la pena di morte contro qualsiasi
sacerdote o religioso che venisse da fuori; la pena di morte fissò contro un
candidato che si fosse osato ordinarlo sacerdote. Allora il coraggioso Allen
Guglielmo istituiva seminari allo esterno dello Stato. Filippo II, che avrebbe
voluto discendere a punire la sanguinaria, perdette l’armata detta Invincibile,
la flotta di mare più poderosa che s’aveva. Intanto Elisabetta ordinava
segretamente società perché e nella Inghilterra e nella Scozia chiedessero la
morte di Maria Stuarda. Ordì tal trama per cui fosse giudicata rea della morte
del proprio marito. Era il giorno 8 febbraio 1587. Le campane da 24 ore
suonavano a festa in Inghilterra e nella Scozia. Ad ore otto di quel mattino Maria
Stuarda con cuore di una vera martire del Signore sclamò: “Muoio innocente!
Perdono a tutti! Godo in spargere il sangue per la fede!” In questo istante la
vittima offerta fu sacrificata. Elisabetta in udire finse [di] desolarsene e
per coprire la sua ignominia, fece impiccare i principali che avevano cooperato
alla morte di lei. Infame Elisabetta! Avevala tenuta prigione 19 anni e Maria
Stuarda, giammai sospettando che Elisabetta fosse una lupa, veniva a lei come
agnello a lambirle le mani» (Da Adamo a Pio IX. Quadro delle lotte e dei
trionfi della Chiesa Universale distribuito in cento conferenze e dedicato al
clero e al popolo, vol. III, cap. LXXXIX, Virtù della Chiesa di Gesù Cristo, Centro Studi Guanelliani, Nuove Frontiere Editrice, Roma 1999, pp.
794-795).
Abel de Pujol, La dama di compagnia Jane o Janet Kennedy benda la regina Mary Stuart, XIX sec., musée des Beaux-Arts, Valenciennes |
Autore anonimo, Ritratto commemorativo di Maria Stuart, regina degli scozzesi, 1603 circa, collezione reale |
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