Conformemente a quello
che abbiamo osservato il 18 gennaio, oggi, secondo l’antica tradizione romana,
mantenuta senza alterazione sino al XVI sec., si celebrava la festa della
Cattedra romana di san Pietro, senza che Antiochia avesse nulla a che vedervi.
Non si tratta, in effetti, di onorare le diverse e successive residenze dell’Apostolo
nelle differenti parti del mondo; solo la Cattedra vaticana si eleva come il
simbolo del primato universale che Pietro ed i suoi legittimi successori
esercitano da Roma su tutta la Chiesa; onore senza precedenti e che la Città
eterna rivendica esclusivamente per sé.
L’origine di questa
festa, già menzionata in questo giorno nel Feriale Filocaliano del 336, Natale Petri de Cathedra, è sicuramente
romana. La festa del Natale Petri de Cathedra, fissata nel giorno in cui il mondo romano celebrava il riposo
familiare della Cara cognatio, possiede
una preistoria, ma questa non è di nostra competenza (Cfr. D. Balboni, La Cattedra di san Pietro, Città del Vaticano 1967). Probabilmente
fu fissata in questo giorno per sostituire questa ricorrenza pagana.
Anche la Depositio Martyrum del 354 l’annuncia al 22 febbraio.
A metà del V
sec., la festa era celebrata a San Pietro con veglia notturna dal papa
attorniato da vescovi ex diversis
provinciis congregatis,
come ne testimonia l’imperatore Valentiniano III, che fu accolto nel 450 dal
papa san Leone Magno post venerabilem
noctem diei apostoli (V. la lettera di Valentiniano III,
pubblicata tra le lettere di san Leone Magno, in PL 54, col. 857. La nota che accompagna
l’edizione di questa lettera nella Patrologia
latina del Migne mostra bene
che non poteva non trattarsi che del 22 febbraio). La presenza di vescovi
attorno al papa per la festa del natale
episcopale di san Pietro doveva essere messa in parallelo con l’identico
assembramento che si aveva attorno allo stesso pontefice per la celebrazione
annuale del suo proprio natale. Il
papa inviava un invito personale a ciascun vescovo della provincia come ne
testimonia il Liber diurnus (H. Foerster (a cura di), Liber Diurnus Romanorum Pontificum, Bern 1958, p. 100).
Alla stessa epoca, la solennità aveva
guadagnato verosimilmente l’Africa (il sermone pseudo-agostiniano, in PL 39, col.
2100-2101, che era letto nel Breviario romano il 22 febbraio, era ritenuto
generalmente come un testo africano del V sec. ed è la nostra unica
testimonianza per l’Africa)
ed, a colpo sicuro, la Gallia, in cui è attestata in maniera continua a partire
dal VI sec. (il
Concilio di Tours del 567 condannò il riposo funerario legato alla festivitas cathedræ domni Petri (can. 23).
Cfr. C. de Clercq, Concilia Galliæ (511-695), Turnhoult 1963, p. 191). Essa fu ugualmente ricevuta in Spagna,
in cui i nove calendari pubblicati Dom Férotin sono
unanimi ad attestarla.
Mentre la festa si mantiene senza
eclisse fuori di Roma, non se ne trova alcuna menzione nei libri liturgici
romani del VII e dell’VIII sec., venendo omessa dai sacramentari Gelasiano e Gregoriano,
senza che noi riusciamo a comprenderne la ragione, a meno che ciò non si debba
attribuire al fatto che essa cadeva quasi sempre durante la Quaresima e,
quindi, questa scomparsa potrebbe leggersi in relazione all’instaurazione delle stazioni quadragesimali
nel VI sec., ma non è che una delle ipotesi (cfr. P. Batiffol, Cathedra Petri, Paris 1938, p. 130).
Il fatto stesso che la sedes ubi prius sedit
sanctus Petrus,
conservata nel cimitero Maggiore, trovò verso il V sec. una seria concorrenza
nella Cattedra di legno del Vaticano, il che contribuì a diminuire l’importanza
dell’antica Sedes della via Nomentana. Verso il VII sec., in ragione di cause
che ci sfuggono, determinarono inoltre l’autorità ecclesiastica a limitare ed
anche impedire il culto che, con l’offerta di lampade ed incenso, il popolo
rendeva alla cattedra di tufo esistente nel cimitero Maggiore. Fu probabilmente
sotto l’impressione di simili disordini che la Chiesa romana tentò di
cancellare dai sacramentari la festa del 22 febbraio.
La tradizione fu
tuttavia più forte che ogni editto di proscrizione, poiché nell’Antifonario di
San Pietro troviamo la festa della Cattedra celebrata nel Vaticano alla sua
data primitiva e tradizionale, il 22 febbraio.
I formulari romani della messa in Cathedra sancti Pétri apparvero per la prima volta nei sacramentari
gelasiano-franchi della fine dell’VIII sec. (le tre
orazioni del 22 febbraio, contenute in questo sacramentario, provengono dall’antico
Gelasiano, dalla messa In natale sancti
Pétri propriæ che questo sacramentario inserisce in sovrannumero il 29
giugno, tra la messa della vigilia degli Apostoli e quella della loro festa. La
prima orazione, Deus, qui beato apostolo tuo Petro, è data nel sacramentario gregoriano in testa alle orazioni per i
Vespri del 29 giugno, ma con la soppressione della parola animas nell’espressione animas ligandi atque solvendi del Gelasiano. La messa in sovrannumero del Gelasiano non sarebbe
essere l’antica messa romana della Cathedra
sancti Pétri, che i Gelasiani dell’VIII sec. avrebbero restaurato al suo
posto d’origine?).
Se la festa è
assente dall’Hadrianum, il suo prefazio riappare nel
Supplemento di Aniane (Questo
prefazio non è evidentemente di origine romana. Esso appartiene all’apporto
originale dei Gelasiani dell’VIII sec.) e, a partire dalla metà del IX sec., la Cattedra di san Pietro
conobbe una diffusione parallela alla Conversione di san Paolo. Si trovano, infatti,
l’una e l’altra negli stessi manoscritti. Fu così che nel X – XI sec., le due feste
furono ricevute a Roma.
Ma mentre la
Conversione di san Paolo vi era celebrata per la prima volta, la Cattedra di
san Pietro ritrovò il suo spazio dopo quattro o cinque secoli di assenza.
Ecco come la
festa della Cathedra sancti Pétri era celebrata a San Pietro alla fine del XII
sec.: secondo il canonico Benedetto, in cathedra sancti
Pétri legitur sicut in die natalis ejus, tamen ad vesperum et ad matutinas laudes canitur. Ecce
sacerdos magnus, che corrisponde pressappoco alle indicazioni che sono date
dall’Antifonario. Poi aggiunge: Domnus papa débet
sedere in kathedra ad missam. Benedetto fa, molto verosimilmente, allusione alla cattedra carolingia,
che dové essere considerata ulteriormente come quella dell’Apostolo. Nessuna
delle nostre due fonti conteggiano la Cattedra di san Pietro tra le feste in quibus papa debet coronari (così ricorda Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du
Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais
Farnèse, 1977, p. 400).
Al di là di ciò, qui ci preme evidenziare che l’Ufficio riprendeva una parte dei suoi testi dal Comune dei Pontefici e l’altra dalla festa del 29 giugno.
Al di là di ciò, qui ci preme evidenziare che l’Ufficio riprendeva una parte dei suoi testi dal Comune dei Pontefici e l’altra dalla festa del 29 giugno.
Nel Laterano si
attingeva dal Comune di un Pontefice e da quello degli Apostoli (cfr., in generale,
ibidem,
pp. 225-226).
La messa tradizionale è la stessa del 18 gennaio, ma si omette la memoria di santa Prisca.
La messa tradizionale è la stessa del 18 gennaio, ma si omette la memoria di santa Prisca.
Vincenzo Catena, Cristo dà le chiavi a Pietro, 1520 circa, Museo del Prado, Madrid |
Jean Auguste Dominique Ingres, Cristo consegna le chiavi a Pietro, 1820, Musee Ingres, Montauban |
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