Nella
memoria liturgica di S. Ignazio d’Antiochia, il Teoforo, vescovo e martire, e della
domenica di Settuagesima, che apre il ciclo liturgico pre-quaresimale, rilancio quest’articolo, che giustamente in
luce i dubbi e le perplessità di alcuni soggetti e sulle rispettive iniziative
politiche.
François Guy , SS. Ignazio di Antiochia e Policarpo di Smirne, detto il Teoforo, portanti l’Eucaristia e gli strumenti del loro martirio, 1614, Musée Crozatier, Le Puy-en-Velay |
La
proposta di legge di “Si alla Famiglia” un passo avanti verso il “matrimonio”
omosessuale
di Claudio Vitelli
Il
Comitato Sì alla famiglia, presieduto da Massimo Introvigne, ha lanciato a Roma
il 16 gennaio, in una riunione con parlamentari di diversi partiti una proposta
di legge dal titolo Testo unico sui diritti dei conviventi. In questa sede non
entreremo nel dettaglio delle singole disposizioni, cosa che riserviamo ad un
successivo analitico intervento, ma cercheremo di tratteggiare il vulnus alla
famiglia naturale costituito dallo stesso testo unico considerato nel suo
complesso.
Il
testo, secondo i promotori, «rende maneggevoli e coordina disposizioni che
l’ordinamento italiano già prevede, esplicitamente o implicitamente, per le
persone impegnate in convivenze. Tra questi l’assistenza del partner in
ospedale e in carcere e la successione nei contratti di locazione. Il testo
ribadisce che il partner di fatto ha titolo, a determinate condizioni, al
risarcimento del danno subito dall’altro partner e all’indennizzo che spetta al
partner vittima di delitti di mafia o di terrorismo. Tutto questo per le
convivenze tra persone sia di sesso diverso, sia dello stesso sesso».
Non
è esattamente così perché il Testo Unico costituisce un passo decisivo nel
cammino della teoria del gender. Sollecitiamo infatti l’attenzione del lettore
sul passo precedente perché il principio ispiratore del DDL si ritrova appunto
in quell’IMPLICITAMENTE. Orbene, se una cosa è esplicita infatti nulla
quaestio, ma se è implicita, perché acquisti vita, è necessario un processo di
interpretazione per il quale sono necessari dei canoni ermeneutici. Ma il
canone ermeneutico adoperato dai promotori del disegno non è forse quello dei
fautori dell’omosessualismo? Cosa è infatti riconoscere – senza opporvisi –
tutti i diritti oggi solo potenzialmente esistenti nel nostro ordinamento per le
convivenze?
In
realtà, come hanno giustamente osservato su “Riscossa Cristiana” Elisabetta
Frezza e Patrizia Fermani «con quella che si pretenderebbe di far passare come
una mera raccolta di provvedimenti di varia natura dettata da motivi di ordine
pratico, e che viene chiamata in modo suggestivo “testo unico”, si propone un
sistema chiuso di norme». (cfr. qui):
Orbene
un sistema di tal fatta non è da considerarsi un insieme di disposizioni
ciascuna con la sua ratio, ma come un unicum con una propria ratio, che si
ricava da una lettura complessiva di tutte le norme, ed è pertanto destinato ad
influenzare anche la successiva produzione normativa. Se è vero che molte delle
disposizioni de quo sono dettate da decisioni della magistratura italiana e
comunitaria che spinge verso l’equiparazione delle unioni di fatto, etero ed
omosessuali alle legittime unioni familiari, non si comprende perché una legge
promossa da parlamentari sedicenti cattolici dovrebbe sancire tali abnormi
decisioni.
Lo
scopo del progetto di legge sarebbe, secondo i promotori, quello di
«distinguere con estrema chiarezza il cosiddetto “matrimonio” omosessuale, con
la conseguente possibilità di adottare figli, cui siamo assolutamente contrari
anche qualora lo si nasconda pudicamente sotto il nome di “unioni civili”». Per
questo, non è prevista, affermano i promotori «né l’adozione né la riserva di
legittima per la successione né la reversibilità delle pensioni, che sono cose
tipiche dei matrimoni o almeno di simil-matrimoni».
Il
risultato è però totalmente contrario alle intenzioni dichiarate, in quanto
riconosce e sancisce le unioni di fatto, come un categoria giuridica foriera di
diritti in quanto tale, anche se, come è apertamente dichiarato: dispone che
«…..ai conviventi, dello stesso sesso o di sessi diversi, sono riconosciuti i
diritti e i doveri relativi alla sanità, alle carceri, alla locazione, ai
risarcimenti, ma vuole chiudere la porta al “matrimonio” e alle adozioni, ora
ha un testo su cui convergere». Questa affermazione non è però condivisibile in
quanto, a parte tutta una serie di nuove norme, anche relativamente alla
procreazione assistita, “implicitamente” tratte da norme esistenti (il che
significa che al momento non esistono), è evidente che il testo del DDL
conferisce una organicità prima inesistente e consolida proprio quelle
decisioni della magistratura che vengono criticate. In sostanza l’interprete
dovrà analizzare ogni norma alla luce di tutte le altre del testo unico, il che
nella migliore delle ipotesi, ne fa una “base” stabile ed organica per un
ulteriore salto in avanti costituito appunto da quel matrimonio omosessuale
che i promotori si propongono di scongiurare.
Il
DDL aggancia il rapporto di convivenza al regolamento anagrafico riconoscendo
giuridicamente «l’unione fra due persone legate da stabili vincoli affettivi,
coabitanti e aventi dimora abituale nel medesimo comune, insieme con i
familiari di entrambi che condividano la dimora» (art. 3 del testo). La
proposta di legge crea dunque uno status giustificato dal mero vincolo
affettivo che lega i conviventi. E che conduce inevitabilmente al “matrimonio”
tra persone dello stesso sesso.
Di
fatto, Si alla Famiglia riesuma il disegno di legge DICO (DIritti e doveri
delle persone stabilmente COnviventi), presentato dal governo Prodi nel
febbraio 2007 finalizzato al riconoscimento nell’ordinamento giuridico italiano
di taluni diritti e doveri discendenti dai rapporti di “convivenza” registrati
all’anagrafe. Non è ancora lo pseudo-matrimonio omosessuale, ma si situa in un
processo di distruzione dell’istituto familiare che inizia con il divorzio
(1972-1974) e il nuovo diritto di famiglia (1975) e arriva oggi alle sue
coerenti conclusioni. Non stupisce che i fautori della nuova etica postmoderna
promuovano quest’itinerario di dissoluzione. Ma non è paradossale che a
sostenerlo siano dei cattolici e in nome del sì alla famiglia?
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