«Cognosce miser, quod
Christi servus sum, et non adoro daemones iniquos» (Prima
Acta ex vetustissimis MSS., Cap. IV, § 14, in Bollandisti, De
Sanctis Martyris Sebastenis, Blasio ep. II Pueris. VII Mulieribus, in Acta Sanctorum, Februarii, vol. IV, Dies III, Paris 1863, p. 343); «Sappi, o miserabile, che io sono
il servo di Nostro Signore Gesù Cristo e che non adoro i demoni!». Con
queste parole – ben lungi da uno spirito … ecumenista –, rivolte al Prefetto
Agricolao, secondo la versione più antica degli Atti del martire Biagio, il
nostro Santo, provocando l’ira del suo interlocutore, affermò la sua ferma fede
in Cristo.
Questo santo vescovo, che aveva fama di
taumaturgo, fu martirizzato a Sebaste di Cappadocia, nell’attuale Armenia,
sotto l’imperatore Licinio ed il prefetto Agricolao. Dopo una lunga
flagellazione, fu legato ad una colonna e lacerato il corpo con pettini di
ferro; quindi fu rinchiuso in un’orribile prigione. Gettato in un lago ed
uscitone sano e salvo, fu, per ordine dello stesso giudice, decapitato. Con lui
condivisero la stessa sorte e subirono il martirio due fanciulli cristiani. In
precedenza, sette donne, che avevano raccolto con devozione le gocce del suo
sangue che cadevano dal suo corpo durante la tortura, e per questo riconosciute
come cristiane, dopo aver subito crudeli tormenti, furono messe a morte
mediante spada.
La più antica
menzione del culto di san Biagio a Roma è fornita da una bolla di papa Agapito
II nel 955 (Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio
evo. Cataloghi ed appunti, Firenze 1927, p. 221 (S. Blasii de Penna). Si tratta della bolla Conventi apostolico del 25 marzo 955. Cfr. Ph.
Jaffé, Regesta Pontificum
romanorum, Leipzig 1885, tomo 1, p. 463). Fu allora che una prima chiesa vi fu
eretta in suo onore.
Si deve attribuire all’XI sec. l’affresco che lo rappresenta a San
Clemente. L’introduzione della sua festa nel calendario a Roma data alla stessa
epoca, ma essa si produsse con una certa lentezza, sebbene nella Città eterna si elevarono
in suo onore almeno trentacinque chiese.
Se il nome di san Biagio fu iscritto, nell’XI sec., nel calendario
dell’Aventino, se egli entrò nei martirologi di San Pietro e di San Ciriaco, se
la sua Passio era letta ai Santi Giovanni e Paolo, il sacramentario di San
Trifone fu il solo a menzionarlo nel secolo seguente con i libri del Laterano e
del Vaticano.
La più celebre era quella ad caput seccutae,
nel rione Ponte, presso l’attuale via Giulia, oggi detta chiesa di San
Biagio degli Armeni o della Pagnotta, e che, ricostruita nel 1072
dall’abate Domenico, raggiunse una tale rinomanza che essa fu messa nel numero
delle ventiquattro abbazie privilegiate di Roma, ed era particolarmente legata
al Vaticano, tanto che quando questa sparì (forse nel XIV sec.), essa fu affidata al Capitolo Vaticano (cfr. O. Marucchi, Eléments d’Archéologie chrétienne, III, Basiliques et églises de Rome, 2° ed.,
Bruges-Paris, 1909, p. 506; Pierre Jounel, Le Culte des Saints
dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École
Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, p. 223).
Oggi quell’antico monastero, un tempo annesso
alla chiesa, è stato trasformato in hotel.
La chiesa fu affidata nel 1836 agli Armeni, che
ne fecero la loro chiesa nazionale.
La Passione
latina di san Biagio dà, come data del suo martirio, il 3 febbraio (cfr. Bibliographia Hagiographica
Latina, 1370. H. Quentin rileva tuttavia che «questa
data pare essere stata oggetto a delle variazioni»: H. Quentin (a cura di), Martyrologe
d’Adon, in Les Martyrologes
historiques du moyen âge, Paris 1908, p. 495). Questa è la data nella quale il suo nome
appare nel IX sec. nel calendario di Napoli, mentre Adone ed Usuardo lo
menzionano il 15 febbraio ed i bizantini lo festeggiano l’11 dello stesso mese.
La Chiesa armena celebra la
festa di questo famoso vescovo di Sebaste con Onesimo, il discepolo di san Paolo, il decimo giorno libero dopo
l’Ottavo dell’Epifania (Nel
rito armeno non si celebrano feste di santi la domenica, il mercoledì ed il
venerdì, così come durante tutto il periodo pasquale. Per questo, esse non
possono essere legate ad un calendario fisso.).
Si dice che si conservi,
nella basilica vaticana, tra le sante reliquie, la gola del Martire, lì
trasportata sotto Eugenio IV dall’abbazia ad
caput seccutae,
dove si conservava in precedenza. In un’altra chiesa della regione Arenula, S. Blasius arcariorum, si conservava nel Medioevo – almeno all’epoca così si
credeva – l’anello episcopale del santo, oggi custodito nella chiesa di San
Carlo a’ Catinari, che le successe poco dopo nello stesso luogo.
La maggior parte delle
sue reliquie si conservano, tuttavia, a Maratea, di cui è patrono. Vi giunsero
nell’VIII sec. (732), insieme a quelle di san Macario, in un’urna marmorea, su
una nave che si era arenata dopo una tempesta. Gli abitanti del vicino
castello, accorsi per soccorrere il naviglio, saliti sulla nave, videro l’urna
dei due santi, che fu portata quindi su un vicino monte, dove fu eretta una
chiesa.
A Maratea, il santo
vescovo è celebrato a maggio, nella II domenica, nella ricorrenza dell’arrivo
delle sue reliquie. Il santuario è famoso per il miracolo della manna, ovvero
di in liquido di colore giallognolo, che trasuda da una sua statua e dalle
pareti della cappella dove sono custodite le sue reliquie. Il papa Pio IV, all’epoca
vescovo di Cassano allo Ionio, nel 1562, riconobbe come miracoloso quel
liquido, che viene raccolto ed offerto ai fedeli.
Nel maggio 1941 avvenne
una ricognizione canonica delle reliquie, che accertarono la presenza di parte
del cranio, del torace, di un braccio e del femore del santo armeno.
Il nostro
santo fu reputato, per i suoi doni, un taumaturgo già in vita. Numerosi, in effetti, furono
i miracoli attribuiti al santo durante la sua vita e dopo la morte. Biagio, per
sfuggire alla persecuzione di Licinio, si rifugiò in una foresta, ma il
notevole afflusso di fedeli, che si recavano da lui per ricevere un aiuto e per
consiglio, lo fecero scoprire, tanto che fu denunciato da due cacciatori.
Famosi
furono due suoi miracoli: una donna, che aveva un maialino quale sua unica
compagnia, vide l’animale rapito da un lupo. La poveretta si rivolse al santo,
il quale la rassicurò che avrebbe riavuto l’animale. La donna, tornata a casa,
ritrovò il suo maialino sano e salvo.
L’altro
miracolo famoso fu compiuto mentre era in carcere (infatti, pure in carcere,
non cessò l’afflusso di fedeli che andavano a trovarlo): una donna vi portò il
suo bambino, prossimo alla morte, per una spina di pesce che gli si era conficcata
in gola. San Biagio fatto il segno della Croce sul
bambino e, rivolta al Signore una breve preghiera, lo liberò dalla spina che lo
soffocava (Autore anonimo, II Acta ex MS Ecclesiae S. Martini Ultrajecti,
Cap. I, § 7, in Bollandisti,
op. cit., p. 344). La
leggenda del Santo aggiungeva: Ipse oravit ad
Dominum, ut quicumque per infirmitatem gutturis ejus patrocinia postularet,
exaudiretur (cfr. A. Pazzini, Santi nella storia della medicina, Roma
1937, pp. 208-214). La donna per gratitudine gli donò un cero per illuminare
il buio della sua cella. Per questo, san Biagio è invocato come patrono della
gola e viene rappresentato con le insegne episcopali e con due ceri.
Per questa ragione, è invocato per guarire i mal di gola. Proprio
grazie a quest’ultimo miracolo, a partire dal X e dall’XI sec., il culto di san Biagio conobbe
attraverso tutto l’Occidente un’eccezionale diffusione.
Il
rituale romano prevede il 3 febbraio una benedizione speciale con due ceri in
suo onore, ceri che il sacerdote impone poi sulla gola dei fedeli che lo
desiderano e che vengono perciò ad inginocchiarsi dopo la messa davanti all’altare.
È costume che i due ceri crociati sulla gola dei fedeli siano legati da un
nastro rosso. Normalmente, i ceri sono accesi, ma ci si può astenere dall’accenderli.
In Europa centrale, esistono in certi luoghi degli speciali supporti a forma di
croce che permettono di tenere i ceri accesi raccogliendone la cera che cade.
Una seconda benedizione degli alimenti per curare i mali della gola,
tradizionale in Europa centrale, è stata introdotta nel Rituale romano nel 1883.
S. Biagio, Basilica di S. Maria in Trastevere, Roma |
Giovanni Francesco De Rosa detto Pacecco De Rosa, Benedizione di S. Biagio o Miracolo di S. Biagio, XVII sec. |
Giovanni Francesco De Rosa detto Pacecco De Rosa, Martirio di S. Biagio, XVII sec. |
Giovanni Domenico Cerrini (Il Cavalier Perugino), Miracolo di S. Biagio che salva un fanciullo da una spina di pesce, XVII sec. |
Andrea Casella, Martirio di S. Biagio, 1662, chiesa di S. Rocco, Lugano |
Luigi Fontana, S. Biagio, XX sec., Monte San Pietrangeli |
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