martedì 3 febbraio 2015

“Quo in loco multos ægrótos sanávit, qui ad Blásium, ejus fama sanctitátis addúcti, deferebántur” (Lect. III – II Noct.) - SANCTI BLASII EPISCOPI ET MARTYRIS





«Cognosce miser, quod Christi servus sum, et non adoro daemones iniquos» (Prima Acta ex vetustissimis MSS., Cap. IV, § 14, in Bollandisti, De Sanctis Martyris Sebastenis, Blasio ep. II Pueris. VII Mulieribus, in Acta Sanctorum, Februarii, vol. IV, Dies III, Paris 1863, p. 343); «Sappi, o miserabile, che io sono il servo di Nostro Signore Gesù Cristo e che non adoro i demoni!». Con queste parole – ben lungi da uno spirito … ecumenista –, rivolte al Prefetto Agricolao, secondo la versione più antica degli Atti del martire Biagio, il nostro Santo, provocando l’ira del suo interlocutore, affermò la sua ferma fede in Cristo.
Questo santo vescovo, che aveva fama di taumaturgo, fu martirizzato a Sebaste di Cappadocia, nell’attuale Armenia, sotto l’imperatore Licinio ed il prefetto Agricolao. Dopo una lunga flagellazione, fu legato ad una colonna e lacerato il corpo con pettini di ferro; quindi fu rinchiuso in un’orribile prigione. Gettato in un lago ed uscitone sano e salvo, fu, per ordine dello stesso giudice, decapitato. Con lui condivisero la stessa sorte e subirono il martirio due fanciulli cristiani. In precedenza, sette donne, che avevano raccolto con devozione le gocce del suo sangue che cadevano dal suo corpo durante la tortura, e per questo riconosciute come cristiane, dopo aver subito crudeli tormenti, furono messe a morte mediante spada.
La più antica menzione del culto di san Biagio a Roma è fornita da una bolla di papa Agapito II nel 955 (Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo. Cataloghi ed appunti, Firenze 1927, p. 221 (S. Blasii de Penna). Si tratta della bolla Conventi apostolico del 25 marzo 955. Cfr. Ph. Jaffé, Regesta Pontificum romanorum, Leipzig 1885, tomo 1, p. 463). Fu allora che una prima chiesa vi fu eretta in suo onore.
Si deve attribuire all’XI sec. l’affresco che lo rappresenta a San Clemente. L’introduzione della sua festa nel calendario a Roma data alla stessa epoca, ma essa si produsse con una certa lentezza, sebbene nella Città eterna si elevarono in suo onore almeno trentacinque chiese.
Se il nome di san Biagio fu iscritto, nell’XI sec., nel calendario dell’Aventino, se egli entrò nei martirologi di San Pietro e di San Ciriaco, se la sua Passio era letta ai Santi Giovanni e Paolo, il sacramentario di San Trifone fu il solo a menzionarlo nel secolo seguente con i libri del Laterano e del Vaticano.  
La più celebre era quella ad caput seccutae, nel rione Ponte, presso l’attuale via Giulia, oggi detta chiesa di San Biagio degli Armeni o della Pagnotta, e che, ricostruita nel 1072 dall’abate Domenico, raggiunse una tale rinomanza che essa fu messa nel numero delle ventiquattro abbazie privilegiate di Roma, ed era particolarmente legata al Vaticano, tanto che quando questa sparì (forse nel XIV sec.), essa fu affidata al Capitolo Vaticano (cfr. O. Marucchi, Eléments d’Archéologie chrétienne, III, Basiliques et églises de Rome, 2° ed., Bruges-Paris, 1909, p. 506; Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, p. 223).
Oggi quell’antico monastero, un tempo annesso alla chiesa, è stato trasformato in hotel.
La chiesa fu affidata nel 1836 agli Armeni, che ne fecero la loro chiesa nazionale.
La Passione latina di san Biagio dà, come data del suo martirio, il 3 febbraio (cfr. Bibliographia Hagiographica Latina, 1370. H. Quentin rileva tuttavia che «questa data pare essere stata oggetto a delle variazioni»: H. Quentin (a cura di), Martyrologe d’Adon, in Les Martyrologes historiques du moyen âge, Paris 1908, p. 495). Questa è la data nella quale il suo nome appare nel IX sec. nel calendario di Napoli, mentre Adone ed Usuardo lo menzionano il 15 febbraio ed i bizantini lo festeggiano l’11 dello stesso mese. La Chiesa armena celebra la festa di questo famoso vescovo di Sebaste con Onesimo, il discepolo di san Paolo, il decimo giorno libero dopo l’Ottavo dell’Epifania (Nel rito armeno non si celebrano feste di santi la domenica, il mercoledì ed il venerdì, così come durante tutto il periodo pasquale. Per questo, esse non possono essere legate ad un calendario fisso.).
Si dice che si conservi, nella basilica vaticana, tra le sante reliquie, la gola del Martire, lì trasportata sotto Eugenio IV dall’abbazia ad caput seccutae, dove si conservava in precedenza. In un’altra chiesa della regione Arenula, S. Blasius arcariorum, si conservava nel Medioevo – almeno all’epoca così si credeva – l’anello episcopale del santo, oggi custodito nella chiesa di San Carlo a’ Catinari, che le successe poco dopo nello stesso luogo.
La maggior parte delle sue reliquie si conservano, tuttavia, a Maratea, di cui è patrono. Vi giunsero nell’VIII sec. (732), insieme a quelle di san Macario, in un’urna marmorea, su una nave che si era arenata dopo una tempesta. Gli abitanti del vicino castello, accorsi per soccorrere il naviglio, saliti sulla nave, videro l’urna dei due santi, che fu portata quindi su un vicino monte, dove fu eretta una chiesa.
A Maratea, il santo vescovo è celebrato a maggio, nella II domenica, nella ricorrenza dell’arrivo delle sue reliquie. Il santuario è famoso per il miracolo della manna, ovvero di in liquido di colore giallognolo, che trasuda da una sua statua e dalle pareti della cappella dove sono custodite le sue reliquie. Il papa Pio IV, all’epoca vescovo di Cassano allo Ionio, nel 1562, riconobbe come miracoloso quel liquido, che viene raccolto ed offerto ai fedeli.
Nel maggio 1941 avvenne una ricognizione canonica delle reliquie, che accertarono la presenza di parte del cranio, del torace, di un braccio e del femore del santo armeno.
Il nostro santo fu reputato, per i suoi doni, un taumaturgo già in vita. Numerosi, in effetti, furono i miracoli attribuiti al santo durante la sua vita e dopo la morte. Biagio, per sfuggire alla persecuzione di Licinio, si rifugiò in una foresta, ma il notevole afflusso di fedeli, che si recavano da lui per ricevere un aiuto e per consiglio, lo fecero scoprire, tanto che fu denunciato da due cacciatori.
Famosi furono due suoi miracoli: una donna, che aveva un maialino quale sua unica compagnia, vide l’animale rapito da un lupo. La poveretta si rivolse al santo, il quale la rassicurò che avrebbe riavuto l’animale. La donna, tornata a casa, ritrovò il suo maialino sano e salvo.
L’altro miracolo famoso fu compiuto mentre era in carcere (infatti, pure in carcere, non cessò l’afflusso di fedeli che andavano a trovarlo): una donna vi portò il suo bambino, prossimo alla morte, per una spina di pesce che gli si era conficcata in gola. San Biagio fatto il segno della Croce sul bambino e, rivolta al Signore una breve preghiera, lo liberò dalla spina che lo soffocava (Autore anonimo, II Acta ex MS Ecclesiae S. Martini Ultrajecti, Cap. I, § 7, in Bollandisti, op. cit., p. 344). La leggenda del Santo aggiungeva: Ipse oravit ad Dominum, ut quicumque per infirmitatem gutturis ejus patrocinia postularet, exaudiretur (cfr. A. Pazzini, Santi nella storia della medicina, Roma 1937, pp. 208-214). La donna per gratitudine gli donò un cero per illuminare il buio della sua cella. Per questo, san Biagio è invocato come patrono della gola e viene rappresentato con le insegne episcopali e con due ceri.
Per questa ragione, è invocato per guarire i mal di gola. Proprio grazie a quest’ultimo miracolo, a partire dal X e dall’XI sec., il culto di san Biagio conobbe attraverso tutto l’Occidente un’eccezionale diffusione.
Il rituale romano prevede il 3 febbraio una benedizione speciale con due ceri in suo onore, ceri che il sacerdote impone poi sulla gola dei fedeli che lo desiderano e che vengono perciò ad inginocchiarsi dopo la messa davanti all’altare. È costume che i due ceri crociati sulla gola dei fedeli siano legati da un nastro rosso. Normalmente, i ceri sono accesi, ma ci si può astenere dall’accenderli. In Europa centrale, esistono in certi luoghi degli speciali supporti a forma di croce che permettono di tenere i ceri accesi raccogliendone la cera che cade. Una seconda benedizione degli alimenti per curare i mali della gola, tradizionale in Europa centrale, è stata introdotta nel Rituale romano nel 1883.

S. Biagio, Basilica di S. Maria in Trastevere, Roma



Gaspar de Crayer, Martirio di S. Biagio, XVII sec., chiesa St Martin, Zaventem

Seguace di Gaspar de Crayer, Martirio di S. Biagio, XVII sec., collezione privata

Giovanni Francesco De Rosa detto Pacecco De Rosa, Benedizione di S. Biagio o Miracolo di S. Biagio, XVII sec.



Giovanni Francesco De Rosa detto Pacecco De Rosa, Martirio di S. Biagio, XVII sec.

Giovanni Domenico Cerrini (Il Cavalier Perugino), Miracolo di S. Biagio che salva un fanciullo da una spina di pesce, XVII sec.

Andrea Casella, Martirio di S. Biagio, 1662, chiesa di S. Rocco, Lugano

Luigi Morgari, Martirio di S. Biagio, 1924, Fossano

Luigi Fontana, S. Biagio, XX sec., Monte San Pietrangeli

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