Oggi è una santa romana, una figlia spirituale
di san Benedetto, un’oblata dell’abbazia di Santa Maria Nova, la quale,
nel corso del XVII sec., per ordine di Innocenzo X, entrò nel calendario della
Chiesa universale in qualità di modello e di celeste patrona della vedovanza,
come santa Monica e santa Giovanna de Chantal.
La messa è quella del Comune, Cognovi,
ma la colletta è propria e fa allusione al favore accordato alla santa (+
1440), che, in molti anni, poté contemplare visibilmente a suo fianco il suo
angelo custode, con il quale si intratteneva familiarmente.
Celebrata nelle grandi basiliche romane, questa
festa acquista una grazia ed un fascino particolari. In effetti, lì, il ricordo
di Francesca Busa (o Bussa) è così vivo che ci sembra di vederla inginocchiata
presso le tombe dei martiri, rapita in estasi o assorta in preghiera. Con la
mente la possiamo vedere in vesti dimesse – lei, la nobile sposa di Ponziani –
con un carico di legna sulle spalle mentre da Porta Portese o dalla via di
Ostia si reca alla casa delle Oblate fondata da lei ai piedi del Campidoglio,
ovvero, più ammirabile ancora, confusa nella folla dei poveri che domandano l’elemosina
sotto il portico della basilica di San Paolo, in occasione della messa
stazionale della domenica di Sessagesima.
Ma tra tutti i santuari romani, che possono
vantare ricordi di santa Francesca, due soprattutto conservano ancora come il
profumo, per così dire, della sua presenza: queste sono la basilica di Santa
Maria Nova, oggi nota anche come Basilica di Santa Francesca Romana,
dove ella si offrì come oblata dell’Ordine di san Benedetto e dove riposa il
suo corpo (Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX,
Tipografia Vaticana, Roma 18912, pp. 150-152; Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze
1927, p.
352), e l’antica dimora Turris Speculorum
ai piedi del Campidoglio, nel rione Campitelli, ove ella visse con le nobili
oblate che aveva raccolto intorno a sé. Un terzo santuario ricorda anche le sue
virtù: è il palazzo trasteverino, a Ponte Rotto, a poca distanza dalla basilica
di Santa Cecilia, della famiglia dei Ponziani, convertito oggi in casa di
esercizi spirituali per preparare i bambini alla Prima Comunione e di
accoglienza dei pellegrini: qui la santa visse col suo sposo, Renzo (Lorenzo)
Ponziani, che aveva sposato nel 1396, santificando la sua famiglia. Là, infine,
venendo da Tor de’ Specchi, per assistere uno dei suoi figli malati, fu colpita
pur’ella da una grave malattia, restandovi per ordine del suo confessore e
rendendo lì la sua anima a Dio il 9 marzo 1440.
Un’altra chiesa esiste nel quartiere Ardeatino,
Santa Francesca Romana all’Ardeatino, edificata nel 1936.
Santa Francesca è la celeste patrona degli
Oblati benedettini e modello di donna cristiana, sposa e vedova. In effetti, secondo
il sentimento dell’Apostolo, le vedove sono chiamate ad una santità
particolare, poiché il fascino della prima giovinezza è sfiorito e l’anima,
convinta ormai della caducità delle cose umane, non trova che un solido
appiglio che nel Signore. Le virtù proprie di questo stato, in cui, nell’età apostolica,
si reclutavano le diaconesse, sono la fiducia in Dio, la preghiera assidua, la
mortificazione dei sensi e le opere di carità verso il prossimo.
La nostra santa fu privilegiata, come detto, dal
poter intrattenere delle relazioni familiari con il suo angelo custode. Quando
si legge la vita di santa Francesca, si ha l’impressione che ella visse bene
più nel mondo spirituale che in quello terrestre. Furono soprattutto le sue
relazioni con il mondo beato degli angeli che donarono alla sua vita un
carattere particolare. Nelle diverse tappe della sua esistenza, si osservano
tre angeli di ordine differente accanto a lei. Questi angeli sono destinati
sempre a proteggerla contro gli attacchi infernali ed a condurre gradualmente
la sua anima a perfezione.
Giorno e notte, la santa
vedeva il suo angelo occupato in lavori misteriorsi. Con tre bastoni d’oro,
egli filava senza sosta dei fili d’oro che passava intorno al suo collo ed
avvolgeva rapidamente in gomitoli. Sei mesi prima della morte di Francesca,
egli cambiò lavoro. In luogo di continuare a filare i fili d’oro, egli tesseva,
con quelli che aveva, tre tappeti di differenti grandezze. Questi tappeti erano
senza dubbio il simbolo delle opere della santa, come giovane donna, madre di
famiglia e fondatrice di un Ordine. Poco prima della sua morte, Francesca
osservò che l’angelo affrettava il suo lavoro e mostrava un’aria gioiosa e
contenta. Nel momento in cui il terzo tappeto raggiunse le misure fissate, l’anima
della santa salì verso le gioie eterne (Cfr. Paola
Giovetti, Angeli. Esseri di luce, messaggeri celesti, custodi dell’uomo4,
Roma 2005, p. 47. In generale, sui rapporti tra la nostra Santa e gli spiriti
celesti, cfr. Massimo Stanzione – Carmine
Alvino, Santa Francesca Romana e gli angeli, Tavagnacco 2012, passim).
Orazio Gentileschi, Visione di S. Francesco Romana, 1615-19, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino |
Francesco Naselli, S. Francesca Romana e l'angelo, 1620 circa, Museo diocesano, Ferrara |
Nicholas Poussin, Visione di S. Francesca Romana annunciante la fine della peste, 1657 circa, Musée du Louvre, Parigi |
Carlo Maratta, Visione di Santa Francesca Romana, 1654 |
Giovanni Battista Caliari, S. Francesca Romana, XIX sec., museo diocesano, Verona |
Cristofano Robetta, Beata Francesca Romana, 1495-1500, British Museum, Londra |
Francesco Rosaspina, S. Francesca Romana, 1836, Pinacoteca civica, Cento |
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