Oggi è la festa dell’annuncio della divina
Incarnazione alla Beata Vergine Maria. Tale è il senso dell’antico titolo di
questa solennità nei diversi sacramentari e martirologi del Medioevo, da cui si
può concludere che, originariamente, questa festa era piuttosto considerata
come una festa di Cristo e non di Maria. In effetti, la Chiesa romana, allorché
aveva cominciato a celebrarla, la denominava Annuntiatio Domini, come ne testimonia l’evangeliario del 640 e la
notizia del papa Sergio nel Liber
Pontificalis (L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, Coll. Bibliothèque
des Ecoles Françaises d’Athènes et de Rome, Paris 1886, tomo 1, p. 376). I martirologi restano fedeli all’antico appellativo: Annuntiatio Domini o Annuntiatio dominica. Si trova
ancora quest’ultima formula nel Messale monastico del XIII sec. conservato al
Laterano (E. De
Azevedo, Vetus Missale romanum monasticum lateranense (Archivio lateranense Cod. 65), Romæ 1752, p. 193. Cfr. anche Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du
Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais
Farnèse, 1977, p. 229). Solo dopo il IX sec., i libri del Laterano e del Vaticano intitolano la
festa del 25 marzo: Annuntiatio Mariæ.
La sua fissazione al 25 marzo non è arbitraria, ma
dipende dal Natale, atteso che la precede di nove mesi e, già nel VII sec., questa
data si basava su una tradizione così venerabile ed universale, che il Concilio
del Trullo del 692, il quale proibì le feste dei martiri durante la Quaresima, autorizzò
quella dell’Incarnazione del Signore il 25 marzo. Si sa che, ancora oggi, durante
il digiuno quaresimale, i Greci sospendono la celebrazione quotidiana del
divino Sacrificio, salvo il sabato, la domenica ed il 25 marzo. Nell’antico
rito ispanico, al contrario, per evitare questa concessione liturgica in favore
dell’Incarnazione del Signore, se ne riporta la festa all’equinozio d’inverno, una
settimana prima circa del Natale.
Non si può negare che, in piena Quaresima, quando
il pensiero liturgico è già tutto concentrato nella contemplazione del mistico
Agnello di Dio immolato sul Golgota la vigilia di Pasqua, il fatto di staccarsi
inaspettatamente dalla Croce per riportarsi ai misteri gioiosi della casa di
Nazaret, ha qualcosa di inatteso e di violento. Tuttavia, su tutte queste
considerazioni di carattere in gran parte soggettivo, prevalsero il fatto
solenne e la data storica del 25 marzo che inaugura il Nuovo Testamento; anche
dall’Alto Medioevo, questa fu considerata nelle nazioni cristiane come il vero
inizio dell’anno civile e ciò fu sino alla riforma del calendario di Gregorio XIII.
Sembra che a Costantinopoli questa festa si
celebrasse già dai tempi di Proclo (+ 446); tuttavia essa apparve più tardi in
Occidente, poiché essa era assente dal Messale gallicano e si trova soltanto
nei sacramentari gelasiano e gregoriano del primo periodo carolingio. A Roma
manca ogni indicazione a questo riguardo nelle liste dei Vangeli di Würzburg; il
Liber Pontificalis ci fa sapere soltanto
che fu Sergio I che ordinò di celebrare solennemente questa festa, vale a dire
con una grande processione stazionale che andava dalla diaconia di Sant’Adriano
sino a Santa Maria Maggiore. Quest’usanza si mantenne per molto tempo e gli Ordini Romani del XII sec. descrivono
lungamente la maestosa cerimonia che si svolgeva in questo giorno in maniera
simile a quella di cui noi abbiamo parlato per la festa del 2 febbraio, in
occasione dell’Hypapante dei Bizantini.
La Capitale del mondo cattolico aveva dedicata a
questo consolante mistero dell’annuncio della nostra Redenzione alcune chiese
importanti per la loro venerabile antichità. Oltre all’oratorio dell’Annunciazione
a Tor de’ Specchi, - anticamente Sancta Maria de Curte (Mariano
Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX,
Tipografia Vaticana, Roma 18912, pp. 554-555; Ch. Huelsen, Le
Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, p. 329) - noi menzioneremo le
quattro chiese ugualmente distrutte di S. Maria Annunziata in Camilliano (Mariano Armellini,
op. cit., pp.
480-481), che,
troppo angusta per ospitare gli studenti gesuiti del Collegio romano, sorgeva
sul luogo oggi occupato dalla chiesa di S. Ignazio costruita nel 1626; S. Maria
Annunziata sull’Esquilino (ibidem, p. 818), S. Maria Annunziata alle
Quattro Fontane (ibidem, p. 190); S. Maria Annunziata presso Ponte Elio (Ælius)
o Ponte Sant’Angelo. Oggi esiste ancora, sulla via Ardeatina, il santuario
mariano chiamato dai Romani l’Annunziatella,
sotto la quale si trova un antico ipogeo cristiano (Mariano Armellini,
Le chiese di Roma dal
secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, pp. 913-914;
Ch. Huelsen, op.
cit., p. 309).
Secondo ogni probabilità, è lì che fu sepolta, dopo il suo martirio, santa Felicula.
I Libri indulgentiarum del basso Medioevo
menziona quest’oratorio campestre tra le IX ecclesiæ che i pellegrini avevano costume di visitare, sebbene
la via che vi conduceva è chiamata semplicemente, in un breve di Urbano V, via Orataria. Ancor oggi, specialmente
la prima domenica di maggio, la gente comune accorre gioiosa al santuario
mariano della via Ardeatina (Mariano
Armellini, op. cit., p. 914).
Esiste ancora la chiesa di Santa Maria
Annunziata in Borgo, popolarmente
chiamata Annunziatina, che sorge nel rione Borgo, sul lungotevere
Vaticano. Questa chiesetta fu costruita in borgo Santo Spirito tra il 1742 e il
1745 dall’architetto Pietro Passalacqua come oratorio dell’Arciconfraternita
dell’Ospedale di Santo Spirito in Sassia (Mariano Armellini,
op. cit., p. 773). Nel 1940, in
concomitanza con l’apertura di Via della Conciliazione, l’oratorio fu smontato
e ricostruito dieci anni più tardi nella posizione attuale lungo il Tevere.
Oggi sconsacrata è la chiesa di Santa Maria
Annunziata delle Turchine, costruita nel 1675, nel rione Monti, in via
Francesco Sforza. Odiernamente è sede della sezione provinciale romana dell’Associazione
nazionale dei paracadutisti d’Italia.
Numerose sono le parrocchie dedicate a Roma e
nel suburbio al mistero dell’Annunciazione.
Anche se si è in piena Quaresima, la messa ha un
sapore simile a quello dell’Avvento. Ma questo bianco fiore d’inverno che evoca
il ricordo delle nevi del Natale ha pure un suo profondo significato e ricorda
il vello di Gedeone – grazioso simbolo della verginità senza macchia della
Madre di Dio – trovato dal Profeta tutto umido di fresca rugiada primaverile, nel
mazzo dei campi bruciati dal sole della Palestina.
Nella colletta, l’istanza inserisce il breve
inciso «Noi la crediamo vera Madre di Dio», rivelando il periodo che seguì le
polemiche di Nestorio e la sua condanna nelle prime sessioni del Concilio di
Efeso.
La lettura evangelica è quella del mercoledì
delle Quattro Tempora di Avvento (Lc 1, 26-38), che, nel Medioevo, era recitato
con una solennità speciale nei Capitoli e nei Monasteri, come per dare alle
comunità religiose l’annuncio del prossimo Natale.
San Bernardo aveva costume, secondo l’uso
monastico sempre in vigore, di farne un lungo commento davanti ai suoi monaci
di Chiaravalle riuniti in capitolo, ed è così che noi abbiamo la sua splendida
raccolta di Omelie Super Missus est, di cui i più bei
passaggi sono stati riuniti nel Breviario romano.
In questa santa solennità, non sapremmo
astenerci dal menzionare un altro elogio mariano contenuto nei versi che, una
volta si leggevano a Santa Maria Maggiore, sotto i mosaici di Sisto III
rappresentanti la vita della Beata Vergine:
Virgo Maria, tibi
Xystus nova tecta dicavi
Digna salutifero
munera ventre tuo.
Te Genitrix, ignara
viri, te denique foeta
Visceribus salvis,
edita nostra salus.
In occasione della festa dell’Annunciazione, bisogna
menzionare qui una delle più insigni composizioni della liturgia bizantina, l’inno
Akathistos, che celebra molto
lungamente questo mistero. Sergio I di Costantinopoli, il padre del monofisismo,
sembra essere stato l’autore; quest’inno fu composta come canto di azione di
grazie alla beata Vergine che, nel 626, aveva liberato la città imperiale dalle
orde degli Avari. Si chiama Akathistos
perché, a differenza degli altri cathismáta, essa è cantata all’inizio del
sabato della V settimana di Quaresima, dal clero e dal popolo, che vegliava
così tutta la notte. Ecco le strofe sul saluto di Gabriele:
Al suo
incorporeo saluto vedendoti in lei fatto uomo, Signore, in estasi stette,
acclamando
la Madre così:
Ave, per
te la gioia risplende;
Ave, per
te il dolore s’estingue.
Ave, salvezza
di Adamo caduto;
Ave, riscatto
del pianto di Eva.
Ave, tu
vetta sublime a umano intelletto;
Ave, tu
abisso profondo agli occhi degli angeli.
Ave, in te
fu elevato il trono del Re;
Ave, tu
porti colui che il tutto sostiene.
Ave, o
stella che il sole precorri;
Ave, o
grembo del Dio che s’incarna.
Ave, per
te si rinnova il creato;
Ave, per
te il Creatore è Bambino.
Ave, Vergine
e Sposa!
Ben sapeva
Maria d’esser Vergine sacra e così a Gabriele diceva:
“Il tuo
singolare messaggio all’anima mia incomprensibile appare:
da grembo
di vergine un parto predici, esclamando: Alleluia!”.
Desiava la
Vergine di capire il mistero e al nunzio divino chiedeva:
“Potrà il
verginale mio seno mai dare alla luce un bambino? Dimmelo!”.
E quei
riverente acclamandola disse così:
Ave, tu
guida al superno consiglio;
Ave, tu
prova d’arcano mistero.
Ave, tu il
primo prodigio di Cristo;
Ave, compendio
di sue verità.
Ave, o
scala celeste che scese l’Eterno;
Ave, o
ponte che porti gli uomini al cielo.
Ave, dai
cori degli angeli cantato portento;
Ave, dall’orde
dei demoni esecrato flagello.
Ave, la
luce ineffabile hai dato;
Ave, tu il
«modo» a nessuno hai svelato.
Ave, la
scienza dei dotti trascendi;
Ave, al
cuor dei credenti risplendi.
Ave, Vergine
e Sposa!
Il 25 marzo per la Chiesa di Roma segna un’altra
data significativa: la Consecratio altaris sancti Petri. Il 25 marzo 1123, infatti, il papa Callisto II consacrò l’altare della
Confessione di San Pietro in presenza di trecento vescovi riuniti per il primo
Concilio generale del Laterano. La menzione di quest’anniversario nel
calendario di San Pietro (il
Liber Anniversariorum Basilicæ
Vaticanæ menziona al 25
marzo: Consecratio altaris
maioris basilicæ beati Pétri facta a Callisto pp. II cum universo concilio anno
eius V ind. I. Citato in T. Alpharani, De basilicæ vaticanæ antiquissimi et nova structura, a cura di M. Cerrati, Coll. Studi e
Testi 26, Roma 1914, p. 28) non è puramente commemorativa. Pietro di Mallio
include questa festa tra le principali dell’anno nella sua Descriptio basilicæ vaticanæ (Pietro di Mallio, Descriptio basilicæ vaticanæ, pubblicato a cura di R. Valentini
- G. Zucchetti, Codice Topografico
della Città di Roma, Coll. Fonti per
la Storia d’Italia, vol. 3, Roma 1946, p. 432). L’ufficio della
dedicazione aveva la prevalenza su quello dell’Annunciazione. L’antifonario
offre, in effetti, le precisazioni seguenti: In Annuntiatione beatæ Mariæ est Consecratio
maioris Altaris beati Pétri, de qua Consecratione Vesperas et Matutinum
facimus. Tertium vero Nocturnum de beata Maria facimus. Le lodi
sono ugualmente della Dedicazione (Pierre Jounel, op. cit., p. 230).
L’altare consacrato dal papa Callisto II avvolgeva
quello di san Gregorio Magno e doveva rimanere in uso sino all’erezione di
quello di Clemente VIII nel 1594. Si costruì quest’ultimo, l’attuale altare
della Confessione, ad un livello superiore, che permise di non distruggere l’altare
di Callisto II. Così gli archeologi incaricati degli scavi sotto la Confessione
apostolica hanno potuto mettere in luce negli anni ‘40 del ‘900 (si troverà il piano dell’insieme
in E. Kirschbaum, Les Fouilles de Saint-Pierre de Rome, trad. dal tedesco, Paris 1961,
p. 43) (così ricorda Pierre Jounel, op. cit., p. 192).
Icona dell'Annunciazione, XIV sec., Chiesa di San Clemente, Ohrid |
Andrea della Robbia, Annunciazione, 1475, Santuario de La Verna |
Cima da Conegliano, Annunciazione, 1495, Hermitage, San Pietroburgo |
Lorenzo Lotto, Annunciazione
c.d. di Recanati, 1534 circa, Museo civico Villa Colloredo Mels,
Recanati.
Il gatto - che nel Medioevo simboleggerebbe del diavolo - fugge dinanzi all'irrompere
dell'Angelo. Per altre chiavi di lettura del gatto, v. qui.
|
Guido Reni, Annunciazione, 1627, Musée du Louvre, Parigi |
Giovanni Battista Salvi, detto il Sassoferrato, Madonna annunciata, XVII sec., collezione privata |
Philippe de Champaigne, Annunciazione, 1644, Metropolitan Museum of Art, New York |
Vladimir Borovikovsky, Annunciazione, 1820 circa |
Yakov Fedorovich Kapkov, Annunciazione, 1852 |
Pierre-Auguste Pichon, Annunciazione, 1859 |
Carl Heinrich Bloch, Annunciazione, 1890 circa, Cappella, Palazzo Frederiksborg, Copenhagen |
William Bouguereau, Annunciazione, 1888, Southeby’s, USA |
George Lawrence Bulleid, Annunciazione, 1903 |
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