Questa
festa, ugualmente celebrata dai Greci (sebbene i calendari bizantini non menzionino, di per sé, il papa
Gregorio, che risiedé tuttavia a Costantinopoli come apocrisario del suo
predecessore: così ricorda Pierre Jounel, Le Culte des Saints
dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École
Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, pp. 227-228), dapprima e logicamente diffusasi in
Inghilterra (II Concilio di Cloveshoë o Clovesho, nel 747; Calendario di san Willibrordo e Martirologio
di Beda, in cui si legge: Depositio
sancti Gregorii papae, beatae memoriae), poi in tutto l’impero carolingio ivi compreso
il Nord Italia legato al rito ambrosiano (C. Marcora, Il Santorale ambrosiano, coll. Archivio ambrosiano 5, Milano 1953, pp.
35-36), si
trova già nel Sacramentario gregoriano del tempo di Adriano I ed è una delle
rare feste che penetrata dall’antichità nel Calendario romano durante il
periodo quaresimale. Noi sappiamo anche che a Roma, nel IX sec., come ci
informa Giovanni Diacono, ejus anniversaria
solemnitas, cunctis ... pernoctantibus, ... celebratur. In qua pallium ejus, et
phylacteria, sed et balteus ejus consuetudinaliter osculantur (Ioh. diac., Vita P. S. Gregorii, lib. IV, c. 80).
In
Occidente essa si
La
celebrità di san Gregorio (+ 12 marzo 604) e soprattutto il senso simbolico
assunto dalla sua personalità storica, allorché, nel Medioevo, egli incarnò l’ideale
del papato romano nella più sublime espressione del suo primato su tutta la
Chiesa, giustificava quest’eccezione. Si può dire, in effetti, che il Medioevo
tutt’intero visse dello spirito di san Gregorio; la liturgia romana, il canto
sacro, il diritto canonico, l’ascesi monastica, l’apostolato presso gli
infedeli, la vita pastorale, in una parola tutta l’attività ecclesiastica
derivava dal santo Dottore, i cui scritti sembravano essere divenuti come il
codice universale del cattolicesimo. Il gran numero di antiche chiese dedicate
a Roma al santo Pontefice attesta la popolarità del suo culto, il quale, oltre
il suo antico monastero di Sant’Andrea al Clivus
Scauri,
aveva per centro la sua tomba venerabile nella basilica vaticana.
Nel
IX sec., Giovanni Diacono ci attesta la pietà con la quale si conservavano
ancora a Roma tutti i ricordi di Gregorio, i Registri delle sue elemosine, il
suo povero letto, la sua verga, il manoscritto dell’antifonario e la sua
cintura monastica. Il culto di san Gregorio I, grazie soprattutto all’Ordine
benedettino di cui è una delle glorie più brillanti, ed ai nuovi popoli
anglosassoni, che riconobbero nel santo il loro primo apostolo, divenne molto
velocemente mondiale.
In
effetti, all’indomani della sua morte, quello che dettò la sua epigrafe
sepolcrale sotto il portico di San Pietro, non seppe meglio esprimere l’universalità
della sua azione pastorale chiamandolo – lui, il discendente dei Consoli della
Roma eterna – il Console di Dio, Dei Consul factus, laetare
triumphis.
L’espressione non poteva essere più felice, come d’altronde il verso implebat actu quidquid sermone docebat, della stessa
iscrizione.
La
Stazione di questo giorno, sin dai tempi di Giovanni Diacono, era a San Pietro,
presso la tomba del Santo, in cui si celebravano anche in suo onore le vigilie
notturne. Nel XV sec., in segno di festa, non si convocava persino il
concistoro papale in questo giorno.
La
messa prima del 1942, posteriore alla redazione della raccolta gregoriana, trae
i suoi canti da altre messe più antiche.
L’Introito
della messa (anteriore dal ‘42) contiene una delicata allusione all’umiltà di cuore,
opposta da Gregorio all’orgoglio del Digiunatore ecumenico (Giovanni IV Nesteutes di Costantinopoli, il
quale si auto-attribuì il titolo di «patriarca ecumenico»). Per questo, si
invita gli umili a benedire Dio, affinché essi riconoscano tutto quanto hanno
ricevuto di bene.
Nella preghiera
di colletta si affermava «qui ánimæ fámuli tui
Gregórii
....»,
cioè «... che all’anima del Tuo servo Gregorio ....»: non si
sarebbe potuto dire meglio, poiché il carattere distintivo della spiritualità
di san Gregorio, spiritualità che lo fece riconoscere subito come un monaco
della scuola del patriarca san Benedetto, è espresso interamente nel titolo che
impiegò per primo: Gregorio, servo dei servi di Dio. Ancora oggi, i
papi, nei loro atti più solenni, ad imitazione del nostro Santo, prendono il
titolo di Servus servorum Dei, che significava tuttavia originariamente per Gregorio, monaco a
Sant’Andrea, servitore dei servi di Dio, cioè dei monaci (Servus
Dei),
ovvero, in una parola, l’ultimo del monastero. La tradizione ascetica
benedettina sulla virtù dell’umiltà si è conservata sempre viva presso i grandi
Dottori formati nel chiostro di san Benedetto. Troviamo, per es., san Pier
Damiani, che firmava abitualmente: Ego
Petrus peccator, episcopus hostiensis; ed Ildebrando, che, prima di divenire Gregorio VII, firmava
anch’egli così: Ego Hildebrandus qualiscumque, S. R. E. archidiaconus.
Un artificio
abituale del demonio è di suggerirci un ideale ed una forma di perfezione che,
in ragione delle circostanze, non può realizzarsi. È così che un gran numero di
anime, in luogo di cambiare i loro piani e di santificarsi nello stato di vita
nel quale li ha posti la Provvidenza, rimangono inattivi, piangendo la loro
sorte e sospirando sempre verso il tipo irrealizzabile della loro santità.
Avviene che esse perdano in tal modo un tempo assai prezioso, inaridiscano il
loro cuore, nuocciano alla loro salvezza e non siano utili né a se stesse né
agli altri. Non occorre che la perfezione si riduca puramente ad un’astrazione
metafisica, ma che penetri, come l’aria, tutte le opere della nostra vita.
Importa poco che siamo ricchi o poveri, dotti
o ignoranti, prestanti o invalidi. Bisogna servire il Signore nelle condizioni
dove Egli ci ha posti, e non in quelle in cui vorremmo essere.
Un bell’esempio di questo senso pratico nella
via della santità c’è offerto da san Gregorio. Il suo carattere meditativo lo
spingeva allo studio tranquillo della filosofia nella pace del chiostro. Dio lo
volle al contrario diplomatico, papa, amministratore di un immenso patrimonio
immobiliare, e pure stratega per dirigere le opere di difesa delle città
italiane assediate dai Longobardi; vero console di Dio, estendendo la sua
attività ed il suo potere al mondo intero. Gregorio, molto spesso trattenuto
dalla gotta a letto e dai mali di stomaco, senza lasciarsi sfuggire un lamento,
si adattò meravigliosamente a tutte quelle funzioni ed, allo scopo di servire
unicamente il Signore, vi si consacrò con un’ammirevole padronanza e perfezione
che riempì del suo spirito tutto il Medioevo, e lasciò delle tracce profonde
del suo genio nella vita ulteriore del Pontificato romano.
I
bizantini celebrano anch’essi la santità di Gregorio, al quale danno il titolo
di dialogista, a causa dei suoi quattro Libri dei Dialoghi tradotti in greco dal papa Zaccaria.
Esiste una sequenza
molto antica, che senza essere stata in origine composta per san Gregorio
Magno, gli si adatta però ammirabilmente e fu in effetti cantata all’epoca
della solenne Messa pontificale che nel 1904 Pio X celebrò a San Pietro in
occasione del XIII centenario della morte del grande Dottore.
Il coro dei cantori
comprendeva per questa circostanza più di un migliaio di voci, ed il Pontefice
fu talmente impressionato dall’effetto grandioso prodotto da questa melodia,
che, appena terminò il sacrificio, ordinò di ripetere il canto della magnifica
sequenza. Consacrata dall’approvazione di Pio X in questa occasione solenne,
essa ha, per così dire, il diritto di essere considerata come appartenente alla
liturgia romana.
Ecco il testo di questa
importante composizione medievale, semplicemente ritmata senza rime, formata,
come le sequenze primitive, sul melisma alleluiatico della messa.
1) Alma cohors una
Laudum sonora
Nunc prome praeconia.
2) Quibus en insignis rutilat
Gregorius ut luna,
Solque sidera.
2a) Meritorum est mirifica
Radians idem sacra
Praerogativa.
3) Hunc nam Sophiae mystica
Ornarunt mire dogmata
Qua fulsit nitida
luculenter per ampla orbis climata.
3a) Verbi necnon fructifera
Saevit divini semina
Mentium per arva,
pellendo quoque cuncta noctis nubila.
4) Hic famina fundens diva,
Utpote caelestia
Ferens in se Numina,
4a) Sublimavit catholica
Vehementer culmina
Sancta per eloquia.
5) Is nempe celsa
Compos gloria,
Nunc exultat
Inter laetabunda
Coelicolarum ovans contubernia.
5a) Sublimis extat
Sede superna,
Fruens vita
Semper inexhausta,
Sat per celeberrima
Christi pascua.
6) O dignum cuncta
laude, praeexcelsa
Praesulem tanta
Nactus gaudia,
Virtutum propter mérita,
Quibus viguit, ardens
Velui lampada.
6a) Nos voce clara
Hunc et iucunda
Dantes oremus
Preces et vota,
Qui nobis ferat commoda,
Impetret et aeterna
Poscens praemia.
7) Quod petit praesens caterva,
Praesulum gemma,
Devota rependens munia
Mente sincera,
Favens da
Sibi precum instantia,
Scilicet ut polorum
Intret lumina.
7a) Quo iam intra palatia
Stantem suprema,
Laeti gratulemur adeptii
Polorum régna,
Qui tua Praesul, sistentes hoc aula,
Iubilemus ingenti
Cum laetitia.
8) Recinentes dulcia
Nunc celsaque. alléluia.
L’uso
delle sequenze durante la messa fu accettato da Roma alla fine soltanto del
Medioevo; perciò, la tradizione franca medievale non può dirsi davvero
universale. Vi era tuttavia un altro canto in onore di san Gregorio, intitolato Gregorius Praesul, meritis et nomine dignus: esso serviva come
preludio all’antifonario romano e si eseguiva in molti paesi la prima domenica
d’Avvento, prima di intonare l’Introito. Il testo primitivo risale forse ad
Adriano I, ma è stato spesso rimaneggiato.
Tutta
la Città eterna, di cui Gregorio fu il vigilantissimo pastore, le sue chiese
stazionali, i cimiteri dei martiri, ricordano lo zelo attivo dell’incomparabile
pontefice. Tuttavia alcuni santuari romano rivendicano oggi l’onore di una
festa speciale. Questi sono, oltre alla basilica che custodisce il suo corpo,
quella di Sant’Andrea al Clivus Scauri
in cui Gregorio fu dapprima monaco e poi Abate. Questa basilica romana, in effetti, era stata dedicata
all’apostolo sant’Andrea dallo stesso Santo Pontefice nella sua stessa casa familiare
al Celio ed oggi porta il suo nome dall’inizio dell’XI sec. (C. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze
1927, p. 256). Persino il
lezionario di San Gregorio al Clivus
Scauri annuncia con qualche solennità Incipit vita beatissimi Gregorii, papae urbis Romae, mens(e) martio die XII.
Sono legate al nostro
Santo anche altre Basiliche come quella di San Paolo, che Gregorio fece
abbellire ed in cui era la tomba della sua famiglia, ed il Laterano, in cui
egli visse i quattordici ultimi anni del suo supremo pontificato.
Nel Medioevo, le
quattordici regioni urbane rivaleggiavano per onorare Gregorio e per dedicare
in suo nome dei templi e delle cappelle; e così noi abbiamo le chiese S. Gregorii ad Clivum Scauri, S. Gregorii de Cortina, S. Gregorii
de Gradellis, S. Gregorii dei
Muratori, S. Gregorii in Campo Martio,
S. Gregorii de ponte Iudaeorum, senza
parlare dei numerosissimi oratori elevati sotto il suo nome. Una bolla di
Gregorio III, conservata nella basilica di San Paolo, menziona una messa
quotidiana, da quel tempo, che si celebrava in questo insigne santuario
apostolico sull’altare di S. Gregorii ad
ianuas; precisamente come a San Pietro, dove la tomba del Santo si trovava
nel portico esterno, prope secretarium.
L’epigrafe di Gregorio
III a San Paolo rappresenta senza dubbio uno dei più antichi monumenti relativi
al culto liturgico di san Gregorio Magno.
Tradizionalmente, quando il Papa celebrava
solennemente il divino Sacrificio a San Pietro nel giorno della sua incoronazione,
egli prendeva i paramenti sacri all’altare che ricopre la tomba di san
Gregorio. Questo fatto rivestiva il significato di una speciale venerazione
verso il Santo che ha, per così dire, incarnato in lui tutto il più sublime
ideale contenuto nel concetto cattolico del pontificato romano. Ciò derivava
anche dal fatto, inoltre, che, in origine, il sepolcro del grande Dottore, nell’atrium della basilica vaticana, era vicino
al Secretarium o sacrestia, dove i
sacri ministri si rivestivano (e si rivestono tuttora) dei paramenti liturgici.
Sulla sua tomba fu posto l’epitaffio che riassumeva mirabilmente la
vita di colui che esso chiamava il Console
di Dio: Suscipe terra tuo
corpus de corpore sumptum, / Reddere quod valeas vivificante Deo [...] / Esuriem dapibus superavit, frigora veste, / Atque animas monitis texit ab hoste sacris. / Implebatque actu quicquid sermone docebat, / Esset ut exemplum mistica verba loquens [...] / Hisque Dei consul factus laetare triumphis, / Nam mercedem operum iam sine fine tenes. (testo riprodotto da Pietro di Mallio, Descriptio basilicae
vaticanae, pubblicato a cura di R. Valentini
- G. Zucchetti, Codice Topografico
della Città di Roma, Coll. Fonti per
la Storia d’Italia, vol. 3, Roma 1946, p. 402. Cfr. anche L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, tomo I, Paris 1886, p. 312. V. anche M. Andrieu, La chapelle de Saint-Grégoire dans l’ancienne basilique vaticane,
in Rivista di Archeologia cristiana, 13 (1936), pp. 61-99).
Nell’erezione della
nuova basilica di San Pietro, si badò a conservare a san Gregorio questo posto
tradizionale, accanto alla sacrestia ed è così che si conserva ugualmente l’abitudine
di rivestire solennemente il Papa dei paramenti sacri all’altare del Santo. I
Greci sono anch’essi penetrati da una grande devozione per san Gregorio. Nel loro
Ufficio lo invocano così: Sacratissime Pastor, factus
es successor in zelo et sede Coryphaei, populos purificans et ad Deum adducens.
Successor in sede Principis Chori Discipulorum, unde verba, veluti fulgores, o
Gregori, proferens, face illuminas fideles. Ecdesiarum Prima, cum Te ad pectus
complexa esset, irrigat omnem terram quae sub sole est, piae doctrinae divinis
fluentis.
Tale è la fede antica
della Chiesa d’Oriente relativamente al primato pontificale sulla Chiesa
universale.
Il papa Gregorio IV (827-840) fece
erigere un oratorio all’interno della basilica, all’entrata della navata sud, chiamata
il portico dei Pontefici, dove vi trasferirà il corpo di Gregorio I, che egli
depose in concha aegyptiaca. In quest’oratorio
si trovavano anche gli altari dei santi Sebastiano, Gorgonio e Tiburzio, che
contenevano loro reliquie (così ricorda Pierre Jounel, Le Culte des Saints
dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École
Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, pp. 394-395).
Juan de Nalda, S. Gregorio Magno, 1500 circa, Museo del Prado, Madrid |
Pedro Berruguete, SS. Gregorio Magno e Girolamo, 1495-1500 circa, Museo del Prado, Madrid |
Maestro di Meßkirch, S. Gregorio Magno, 1535-40,Yale University Art Gallery, Yale |
Carlo Saraceni, S. Gregorio Magno, 1610 circa, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Roma |
Guercino, SS. Ignazio di Loyola, Gregorio Magno e Francesco Saverio, 1625-26, National Gallery, Londra |
Matthias Stomer, S. Gregorio Magno, 1630-40, Museo diocesano, Cuneo |
Fra Juan Andrés Ricci (o Rizi) de Guevara, S. Gregorio Magno, 1645-55, Museo del Prado, Madrid |
Vicente Carducho, S. Gregorio Magno, XVII sec., museo del Prado, Madrid |
Vicente Carducho, S. Gregorio Magno, XVII sec., museo del Prado, Madrid |
Joseph Marie Vien, S. Gregorio Magno, Musée Fabre, Montpellier |
SS. Gregorio Magno ed Agostino di Canterbury |
Cattedra di S. Gregorio Magno, Basilica di S. Gregorio al Celio, Roma |
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