giovedì 12 marzo 2015

“Ecclésiam ornávit sanctíssimis institútis et légibus. … Multos libros confécit; quos cum dictáret, testátus est Petrus diáconus, se Spíritum Sanctum colúmbæ spécie in ejus cápite sæpe vidísse. Admirabília sunt quæ dixit, fecit, scripsit, decrévit, præsértim infírma semper et ægra valetúdine” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTI GREGORII I (MAGNI), PAPÆ, CONFESSORIS ET ECCLESIÆ DOCTORIS




Questa festa, ugualmente celebrata dai Greci (sebbene i calendari bizantini non menzionino, di per sé, il papa Gregorio, che risiedé tuttavia a Costantinopoli come apocrisario del suo predecessore: così ricorda Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, pp. 227-228), dapprima e logicamente diffusasi in Inghilterra (II Concilio di Cloveshoë o Clovesho, nel 747; Calendario di san Willibrordo e Martirologio di Beda, in cui si legge: Depositio sancti Gregorii papae, beatae memoriae), poi in tutto l’impero carolingio ivi compreso il Nord Italia legato al rito ambrosiano (C. Marcora, Il Santorale ambrosiano, coll. Archivio ambrosiano 5, Milano 1953, pp. 35-36), si trova già nel Sacramentario gregoriano del tempo di Adriano I ed è una delle rare feste che penetrata dall’antichità nel Calendario romano durante il periodo quaresimale. Noi sappiamo anche che a Roma, nel IX sec., come ci informa Giovanni Diacono, ejus anniversaria solemnitas, cunctis ... pernoctantibus, ... celebratur. In qua pallium ejus, et phylacteria, sed et balteus ejus consuetudinaliter osculantur (Ioh. diac., Vita P. S. Gregorii, lib. IV, c. 80).
In Occidente essa si
La celebrità di san Gregorio (+ 12 marzo 604) e soprattutto il senso simbolico assunto dalla sua personalità storica, allorché, nel Medioevo, egli incarnò l’ideale del papato romano nella più sublime espressione del suo primato su tutta la Chiesa, giustificava quest’eccezione. Si può dire, in effetti, che il Medioevo tutt’intero visse dello spirito di san Gregorio; la liturgia romana, il canto sacro, il diritto canonico, l’ascesi monastica, l’apostolato presso gli infedeli, la vita pastorale, in una parola tutta l’attività ecclesiastica derivava dal santo Dottore, i cui scritti sembravano essere divenuti come il codice universale del cattolicesimo. Il gran numero di antiche chiese dedicate a Roma al santo Pontefice attesta la popolarità del suo culto, il quale, oltre il suo antico monastero di Sant’Andrea al Clivus Scauri, aveva per centro la sua tomba venerabile nella basilica vaticana.
Nel IX sec., Giovanni Diacono ci attesta la pietà con la quale si conservavano ancora a Roma tutti i ricordi di Gregorio, i Registri delle sue elemosine, il suo povero letto, la sua verga, il manoscritto dell’antifonario e la sua cintura monastica. Il culto di san Gregorio I, grazie soprattutto all’Ordine benedettino di cui è una delle glorie più brillanti, ed ai nuovi popoli anglosassoni, che riconobbero nel santo il loro primo apostolo, divenne molto velocemente mondiale.
In effetti, all’indomani della sua morte, quello che dettò la sua epigrafe sepolcrale sotto il portico di San Pietro, non seppe meglio esprimere l’universalità della sua azione pastorale chiamandolo – lui, il discendente dei Consoli della Roma eterna – il Console di Dio, Dei Consul factus, laetare triumphis. L’espressione non poteva essere più felice, come d’altronde il verso implebat actu quidquid sermone docebat, della stessa iscrizione.
La Stazione di questo giorno, sin dai tempi di Giovanni Diacono, era a San Pietro, presso la tomba del Santo, in cui si celebravano anche in suo onore le vigilie notturne. Nel XV sec., in segno di festa, non si convocava persino il concistoro papale in questo giorno.
La messa prima del 1942, posteriore alla redazione della raccolta gregoriana, trae i suoi canti da altre messe più antiche.
L’Introito della messa (anteriore dal ‘42) contiene una delicata allusione all’umiltà di cuore, opposta da Gregorio all’orgoglio del Digiunatore ecumenico (Giovanni IV Nesteutes di Costantinopoli, il quale si auto-attribuì il titolo di «patriarca ecumenico»). Per questo, si invita gli umili a benedire Dio, affinché essi riconoscano tutto quanto hanno ricevuto di bene.
Nella preghiera di colletta si affermava «qui ánimæ fámuli tui Gregórii ....», cioè «... che all’anima del Tuo servo Gregorio ....»: non si sarebbe potuto dire meglio, poiché il carattere distintivo della spiritualità di san Gregorio, spiritualità che lo fece riconoscere subito come un monaco della scuola del patriarca san Benedetto, è espresso interamente nel titolo che impiegò per primo: Gregorio, servo dei servi di Dio. Ancora oggi, i papi, nei loro atti più solenni, ad imitazione del nostro Santo, prendono il titolo di Servus servorum Dei, che significava tuttavia originariamente per Gregorio, monaco a Sant’Andrea, servitore dei servi di Dio, cioè dei monaci (Servus Dei), ovvero, in una parola, l’ultimo del monastero. La tradizione ascetica benedettina sulla virtù dell’umiltà si è conservata sempre viva presso i grandi Dottori formati nel chiostro di san Benedetto. Troviamo, per es., san Pier Damiani, che firmava abitualmente: Ego Petrus peccator, episcopus hostiensis; ed Ildebrando, che, prima di divenire Gregorio VII, firmava anch’egli così: Ego Hildebrandus qualiscumque, S. R. E. archidiaconus.
Un artificio abituale del demonio è di suggerirci un ideale ed una forma di perfezione che, in ragione delle circostanze, non può realizzarsi. È così che un gran numero di anime, in luogo di cambiare i loro piani e di santificarsi nello stato di vita nel quale li ha posti la Provvidenza, rimangono inattivi, piangendo la loro sorte e sospirando sempre verso il tipo irrealizzabile della loro santità. Avviene che esse perdano in tal modo un tempo assai prezioso, inaridiscano il loro cuore, nuocciano alla loro salvezza e non siano utili né a se stesse né agli altri. Non occorre che la perfezione si riduca puramente ad un’astrazione metafisica, ma che penetri, come l’aria, tutte le opere della nostra vita.
Importa poco che siamo ricchi o poveri, dotti o ignoranti, prestanti o invalidi. Bisogna servire il Signore nelle condizioni dove Egli ci ha posti, e non in quelle in cui vorremmo essere.
Un bell’esempio di questo senso pratico nella via della santità c’è offerto da san Gregorio. Il suo carattere meditativo lo spingeva allo studio tranquillo della filosofia nella pace del chiostro. Dio lo volle al contrario diplomatico, papa, amministratore di un immenso patrimonio immobiliare, e pure stratega per dirigere le opere di difesa delle città italiane assediate dai Longobardi; vero console di Dio, estendendo la sua attività ed il suo potere al mondo intero. Gregorio, molto spesso trattenuto dalla gotta a letto e dai mali di stomaco, senza lasciarsi sfuggire un lamento, si adattò meravigliosamente a tutte quelle funzioni ed, allo scopo di servire unicamente il Signore, vi si consacrò con un’ammirevole padronanza e perfezione che riempì del suo spirito tutto il Medioevo, e lasciò delle tracce profonde del suo genio nella vita ulteriore del Pontificato romano.
I bizantini celebrano anch’essi la santità di Gregorio, al quale danno il titolo di dialogista, a causa dei suoi quattro Libri dei Dialoghi tradotti in greco dal papa Zaccaria.
Esiste una sequenza molto antica, che senza essere stata in origine composta per san Gregorio Magno, gli si adatta però ammirabilmente e fu in effetti cantata all’epoca della solenne Messa pontificale che nel 1904 Pio X celebrò a San Pietro in occasione del XIII centenario della morte del grande Dottore.
Il coro dei cantori comprendeva per questa circostanza più di un migliaio di voci, ed il Pontefice fu talmente impressionato dall’effetto grandioso prodotto da questa melodia, che, appena terminò il sacrificio, ordinò di ripetere il canto della magnifica sequenza. Consacrata dall’approvazione di Pio X in questa occasione solenne, essa ha, per così dire, il diritto di essere considerata come appartenente alla liturgia romana.
Ecco il testo di questa importante composizione medievale, semplicemente ritmata senza rime, formata, come le sequenze primitive, sul melisma alleluiatico della messa.

1) Alma cohors una
Laudum sonora
Nunc prome praeconia.

2) Quibus en insignis rutilat
Gregorius ut luna,
Solque sidera.

2a) Meritorum est mirifica
Radians idem sacra
Praerogativa.

3) Hunc nam Sophiae mystica
Ornarunt mire dogmata
Qua fulsit nitida
luculenter per ampla orbis climata.

3a) Verbi necnon fructifera
Saevit divini semina
Mentium per arva,
pellendo quoque cuncta noctis nubila.

4) Hic famina fundens diva,
Utpote caelestia
Ferens in se Numina,

4a) Sublimavit catholica
Vehementer culmina
Sancta per eloquia.

5) Is nempe celsa
Compos gloria,
Nunc exultat
Inter laetabunda
Coelicolarum ovans contubernia.

5a) Sublimis extat
Sede superna,
Fruens vita
Semper inexhausta,
Sat per celeberrima
Christi pascua.

6) O dignum cuncta
laude, praeexcelsa
Praesulem tanta
Nactus gaudia,
Virtutum propter mérita,
Quibus viguit, ardens
Velui lampada.

6a) Nos voce clara
Hunc et iucunda
Dantes oremus
Preces et vota,
Qui nobis ferat commoda,
Impetret et aeterna
Poscens praemia.

7) Quod petit praesens caterva,
Praesulum gemma,
Devota rependens munia
Mente sincera,
Favens da
Sibi precum instantia,
Scilicet ut polorum
Intret lumina.

7a) Quo iam intra palatia
Stantem suprema,
Laeti gratulemur adeptii
Polorum régna,
Qui tua Praesul, sistentes hoc aula,
Iubilemus ingenti
Cum laetitia.

8) Recinentes dulcia
Nunc celsaque. alléluia.

L’uso delle sequenze durante la messa fu accettato da Roma alla fine soltanto del Medioevo; perciò, la tradizione franca medievale non può dirsi davvero universale. Vi era tuttavia un altro canto in onore di san Gregorio, intitolato Gregorius Praesul, meritis et nomine dignus: esso serviva come preludio all’antifonario romano e si eseguiva in molti paesi la prima domenica d’Avvento, prima di intonare l’Introito. Il testo primitivo risale forse ad Adriano I, ma è stato spesso rimaneggiato.
Tutta la Città eterna, di cui Gregorio fu il vigilantissimo pastore, le sue chiese stazionali, i cimiteri dei martiri, ricordano lo zelo attivo dell’incomparabile pontefice. Tuttavia alcuni santuari romano rivendicano oggi l’onore di una festa speciale. Questi sono, oltre alla basilica che custodisce il suo corpo, quella di Sant’Andrea al Clivus Scauri in cui Gregorio fu dapprima monaco e poi Abate. Questa basilica romana, in effetti, era stata dedicata all’apostolo sant’Andrea dallo stesso Santo Pontefice nella sua stessa casa familiare al Celio ed oggi porta il suo nome dall’inizio dell’XI sec. (C. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, p. 256). Persino il lezionario di San Gregorio al Clivus Scauri annuncia con qualche solennità Incipit vita beatissimi Gregorii, papae urbis Romae, mens(e) martio die XII.
Sono legate al nostro Santo anche altre Basiliche come quella di San Paolo, che Gregorio fece abbellire ed in cui era la tomba della sua famiglia, ed il Laterano, in cui egli visse i quattordici ultimi anni del suo supremo pontificato.
Nel Medioevo, le quattordici regioni urbane rivaleggiavano per onorare Gregorio e per dedicare in suo nome dei templi e delle cappelle; e così noi abbiamo le chiese S. Gregorii ad Clivum Scauri, S. Gregorii de Cortina, S. Gregorii de Gradellis, S. Gregorii dei Muratori, S. Gregorii in Campo Martio, S. Gregorii de ponte Iudaeorum, senza parlare dei numerosissimi oratori elevati sotto il suo nome. Una bolla di Gregorio III, conservata nella basilica di San Paolo, menziona una messa quotidiana, da quel tempo, che si celebrava in questo insigne santuario apostolico sull’altare di S. Gregorii ad ianuas; precisamente come a San Pietro, dove la tomba del Santo si trovava nel portico esterno, prope secretarium.
L’epigrafe di Gregorio III a San Paolo rappresenta senza dubbio uno dei più antichi monumenti relativi al culto liturgico di san Gregorio Magno.
Tradizionalmente, quando il Papa celebrava solennemente il divino Sacrificio a San Pietro nel giorno della sua incoronazione, egli prendeva i paramenti sacri all’altare che ricopre la tomba di san Gregorio. Questo fatto rivestiva il significato di una speciale venerazione verso il Santo che ha, per così dire, incarnato in lui tutto il più sublime ideale contenuto nel concetto cattolico del pontificato romano. Ciò derivava anche dal fatto, inoltre, che, in origine, il sepolcro del grande Dottore, nell’atrium della basilica vaticana, era vicino al Secretarium o sacrestia, dove i sacri ministri si rivestivano (e si rivestono tuttora) dei paramenti liturgici.
Sulla sua tomba fu posto l’epitaffio che riassumeva mirabilmente la vita di colui che esso chiamava il Console di Dio: Suscipe terra tuo corpus de corpore sumptum, / Reddere quod valeas vivificante Deo [...] / Esuriem dapibus superavit, frigora veste, / Atque animas monitis texit ab hoste sacris. / Implebatque actu quicquid sermone docebat, / Esset ut exemplum mistica verba loquens [...] / Hisque Dei consul factus laetare triumphis, / Nam mercedem operum iam sine fine tenes. (testo riprodotto da Pietro di Mallio, Descriptio basilicae vaticanae, pubblicato a cura di R. Valentini - G. Zucchetti, Codice Topografico della Città di Roma, Coll. Fonti per la Storia d’Italia, vol. 3, Roma 1946, p. 402. Cfr. anche L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, tomo I, Paris 1886, p. 312. V. anche M. Andrieu, La chapelle de Saint-Grégoire dans l’ancienne basilique vaticane, in Rivista di Archeologia cristiana, 13 (1936), pp. 61-99).
Nell’erezione della nuova basilica di San Pietro, si badò a conservare a san Gregorio questo posto tradizionale, accanto alla sacrestia ed è così che si conserva ugualmente l’abitudine di rivestire solennemente il Papa dei paramenti sacri all’altare del Santo. I Greci sono anch’essi penetrati da una grande devozione per san Gregorio. Nel loro Ufficio lo invocano così: Sacratissime Pastor, factus es successor in zelo et sede Coryphaei, populos purificans et ad Deum adducens. Successor in sede Principis Chori Discipulorum, unde verba, veluti fulgores, o Gregori, proferens, face illuminas fideles. Ecdesiarum Prima, cum Te ad pectus complexa esset, irrigat omnem terram quae sub sole est, piae doctrinae divinis fluentis.
Tale è la fede antica della Chiesa d’Oriente relativamente al primato pontificale sulla Chiesa universale.
Il papa Gregorio IV (827-840) fece erigere un oratorio all’interno della basilica, all’entrata della navata sud, chiamata il portico dei Pontefici, dove vi trasferirà il corpo di Gregorio I, che egli depose in concha aegyptiaca. In quest’oratorio si trovavano anche gli altari dei santi Sebastiano, Gorgonio e Tiburzio, che contenevano loro reliquie (così ricorda Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, pp. 394-395).

Juan de Nalda, S. Gregorio Magno, 1500 circa, Museo del Prado, Madrid

Pedro Berruguete, SS. Gregorio Magno e Girolamo, 1495-1500 circa, Museo del Prado, Madrid

Maestro di Meßkirch, S. Gregorio Magno, 1535-40,Yale University Art Gallery, Yale

Carlo Saraceni, S. Gregorio Magno, 1610 circa, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Roma

Guercino, SS. Ignazio di Loyola, Gregorio Magno e Francesco Saverio, 1625-26, National Gallery, Londra

Matthias Stomer, S. Gregorio Magno, 1630-40, Museo diocesano, Cuneo


Fra Juan Andrés Ricci (o Rizi) de Guevara, S. Gregorio Magno, 1645-55, Museo del Prado, Madrid


Vicente Carducho, S. Gregorio Magno, XVII sec., museo del Prado, Madrid


Vicente Carducho, S. Gregorio Magno, XVII sec., museo del Prado, Madrid

Joseph Marie Vien, S. Gregorio Magno, Musée Fabre, Montpellier

SS. Gregorio Magno ed Agostino di Canterbury


Cattedra di S. Gregorio Magno, Basilica di S. Gregorio al Celio, Roma

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