Delle innumerevoli vittime cristiane
del sedicente califfato, i cui prodromi sono nelle sedicenti primavere arabe
come ricordato di recente anche dal vescovo emerito di Aleppo (v. qui), abbiamo avuto
modo di parlarne nuovamente alcuni giorni fa (v. in questo blog qui). Una vicenda – quella dei 21 cristiani copti, rapiti ed uccisi (qui il video integrale della loro uccisione: le immagini sono molto forti!) –
che riecheggia il martirio dei primi secoli della fede cristiana (v. qui) e che non ha
lasciati sgomenti i parenti delle vittime, ma che, come ha dichiarato anche il
fratello di due degli uccisi, ha rafforzato la loro fede.
Ecco ora un interessante contributo di
Alfredo Mantovano, il quale ci ricorda il martirio – simile – dei cristiani
idruntini (su questo martirio v. in questo blog qui), ma che rammenta come quanto sta accadendo obbliga le nazioni a
reagire – pure militarmente – come del resto stanno facendo molte milizie
cristiane di quelle terre (v. qui e qui), difendendo concretamente quelle popolazioni inermi uccise perché cristiane (v. qui) e che portano con coraggio la croce (v. qui). L'Occidente, invece, è perso nel nichilismo dei "diritti".
I martiri cristiani, i boia jihadisti
e noi che abbiamo dimenticato la lezione di Otranto
Alfredo Mantovano
Oggi come allora la
comunità internazionale deve decidere se, come insegna la dottrina sociale
della Chiesa e come ha ricordato papa Francesco, non sia urgente esercitare il
diritto e il dovere di «fermare l’aggressore ingiusto»
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La storia non è mai
uguale a sé stessa. Riesce a essere maestra, se si decide di prenderne gli
insegnamenti e di cogliere le analogie con quanto accaduto in altre epoche. Nel
1480 Otranto, città italiana all’epoca fra le più importanti, è distrutta, i
suoi abitanti sono uccisi in combattimento e i sopravvissuti martirizzati uno
per uno, tagliando loro la testa, esattamente come fanno oggi i boia dello
Stato islamico, dall’esercito ottomano di Maometto II. La distruzione di
Otranto non avviene per caso: segue di 27 anni la presa di Costantinopoli ed è
l’esito della ritrosia dei governanti dell’Occidente a unire le forze contro la
minaccia proveniente da Oriente. Vi è chi giunge all’intelligenza col nemico:
in un conflitto che vede schierati da una parte il Papato e Napoli e dall’altra
Firenze, Milano, Venezia e la Francia, costellato da omicidi e congiure,
Lorenzo de’ Medici e la Serenissima spingono i Turchi ad aggredire le sponde
adriatiche del Regno partenopeo.
Novant’anni dopo, nel
1571, la ruota gira diversamente: una flotta di Stati cristiani ferma la
minaccia turco-islamica nel Mediterraneo al largo di Lepanto. Lo scenario
europeo non è migliorato rispetto al 1480: la Francia fa lega con i principati
protestanti per contrapporsi agli Asburgo e si compiace della pressione che i
turchi esercitano contro l’Impero nel Mediterraneo; Parigi e Venezia non
muovono un dito per difendere i Cavalieri di Malta nell’assedio condotto contro
di loro da Solimano il Magnifico.
La vittoria di Lepanto
non è quindi il frutto della convergenza di interessi politici; al contrario, è
un inaspettato trionfo che si realizza nonostante le divergenze: per una volta
principi, politici e comandanti militari sanno accantonare le divisioni e
unirsi per difendere l’Europa, grazie a un residuo di visione del mondo
sostanzialmente comune, fondata sul rispetto del cristianesimo e del diritto
naturale.
L’indifferenza è una
resa
Oggi la minaccia terroristica e la persecuzione delle comunità cristiane non
risparmia nessuna zona del globo. Recarsi a Messa la domenica in
Pakistan o in Nigeria è andare incontro al martirio;
lo stesso accade se non si fugge dai luoghi dove si parla ancora l’aramaico, l’antica
lingua di Gesù. Le stragi e le decapitazioni dei fedeli di Cristo in
diretta tv sono pianificate e puntano, come si voleva fare a Otranto nel 1480 o
come sarebbe accaduto all’Italia e alla Spagna se non ci fosse stata Lepanto, a
eliminare la Croce come segno di speranza e di salvezza. Oggi come allora ogni
comunità cristiana è chiamata alla preghiera perché la fede dei martiri resti
salda, ma la comunità internazionale deve decidere se, come insegna la dottrina sociale della
Chiesa e come ha ricordato papa Francesco,
non sia urgente esercitare il diritto e il dovere di «fermare l’aggressore
ingiusto».
Certo, lo stesso
Pontefice aggiunge che la soluzione non sta nella sola opzione militare, che
«una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto», che
la difesa deve essere multilaterale, possibilmente sotto l’egida di
organizzazioni internazionali. Ma la scelta è fra Otranto e Lepanto, fra l’indifferenza
che concorre ai massacri e il sentire come una lesione a sé stessi l’uccisione
di migliaia di fedeli mentre assistono alla Messa. Non scegliere significa aver
deciso che i boia vadano avanti.
Fonte: Tempi, 22.3.2015
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