Don Nicola
Bux ha voluto rilasciare al blog Scuola
Ecclesia Mater la seguente
breve intervista – in via esclusiva – nella quale tocca vari temi. Con
l’auspicio che a questa possano seguire altre.
1. Caro
don Nicola, ti ringrazio innanzitutto di aver voluto accettare l’invito a
rilasciare una breve intervista in esclusiva per il blog Scuola Ecclesia Mater.
Entro
subito nel vivo con una domanda: è da pochi giorni caduto il secondo
anniversario del pontificato di papa Bergoglio. Indubbiamente un pontificato
assai originale e, per molti versi, “rivoluzionario”, che ha infranto molte
immagini che noi avevamo della figura di un pontefice. Sul quotidiano “Libero”
del 14 marzo scorso l’ex direttore de “Il Foglio”, Giuliano Ferrara, si
avventura in una sorta di profezia – se vogliamo dir così – secondo la quale
poiché il papa “piace a troppi, finirà malissimo”. Tu, dal tuo punto di vista,
come giudichi questo biennio di pontificato? Qual è stata la tua esperienza di
questo vescovo di
Roma?
R. Un amico ha richiamato la mia attenzione su
quest’altra affermazione di Giuliano Ferrara circa la Chiesa: “il fine di
riconquistare il mondo è santo, ma i mezzi implicano l’alto rischio che sia il
mondo a conquistarti definitivamente, cancellandoti come contraddizione o segno
di contraddizione”. Mi è subito venuta in mente la profezia di Simeone a
proposito del Messia, ed anche un corso di esercizi spirituali del card. Karol
Wojtyla, pubblicato da ‘Vita e Pensiero’ nel 1978, poco prima della sua
elezione a papa, intitolato appunto ‘Segno di contraddizione’. Se la Chiesa non
fosse più tale, rispetto al mondo, e al modo di pensare dell’uomo, come Simon
Pietro si sentirebbe dire da Gesù: “Allontanati da me, satana, perché tu non
ragioni secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8, 33).La società attuale,
materialista ed edonistica, rischia di distruggere la Chiesa? - mi ricorda
ancora l’amico - come hanno tentato la rivoluzione francese o i governi
anticlericali messicani dei primi del novecento? La Chiesa non sarà distrutta
perché Gesù l’ha promesso: portae
inferi non praevalebunt contra eam. Essere segno di contraddizione,
significa che la Presenza divina - il “Sacro-santo” per definizione - giudica
in permanenza il profano (profanus, fuori dal Tempio: ciò che non è
ancora stato raggiunto dalla Presenza), non ancora con-sacrata, si direbbe
liturgicamente, o dommaticamente. ‘salvata’. Per questo, Cristo ha pregato per
i suoi, ma non per il mondo, dice Giovanni.
2. Tra le
ultime “sorprese”, che ci ha riservato questo pontificato, vi è l’annuncio di
un Giubileo straordinario, dedicato alla “misericordia”, che inizierà il
prossimo 8 dicembre. Questa è davvero una novità nella storia della Chiesa.
Infatti, abbiamo avuto solo giubilei ordinari e straordinari legati al ricordo
di eventi della vita di Cristo (penso, ad es., a quello del 1933 o a quello del
1983 o anche quello del 1423 dopo 33 anni da quello precedente del 1390). A mia
memoria vi fu un giubileo straordinario, legato alla fine del Concilio Vaticano
II, nel 1966. Ma si trattava di qualcosa di davvero eccezionale (e forse
irripetibile), in quanto legata ad un evento straordinario della Chiesa. Mai,
comunque, sono stati celebrati giubilei per gli anniversari di concili della
Chiesa. Oggi, invece, si dovrebbe celebrare il cinquantesimo anniversario del
Concilio Vaticano II (1965-2015) e ciò costituisce un’indubbia novità. Cosa ne
pensi di quest’evento da poco annunciato? In quali prospettive si pone?
R. “Forse che io ho piacere della morte
del malvagio, dice il Signore Dio, o non piuttosto che desista dalla sua
condotta e viva?” (Ez. 18,23). La misericordia non è mai gratis, come
insegnavano i gesuiti: è il punto di arrivo, dopo il sacrificio della croce.
Infatti, la domenica di san Tommaso (per gli orientali) o della misericordia
per i cattolici, viene celebrata nell’ottava di Pasqua, dopo la settimana
santa, dopo aver commemorato e fatta nostra, la passione e l’espiazione di
Cristo. Dunque, la misericordia significa ritenere possibile la conversione, il
cambiamento di mentalità e di comportamento morale. La violazione del Decalogo,
è avvenuta un momento dopo che Dio l’aveva dato a Mosè, ma tale violazione non
ha fatto venire in mente ai profeti, a Gesù o alla Chiesa che bisognasse
cambiarlo, perché difficile da praticare; al contrario, ha reso più insistente
il richiamo alla conversione. Misericordia vuol dire chiamare a conversione il
peccatore. I Giubilei hanno quest’unico significato: favorire l’abbandono della
condotta immorale e il ritorno a Cristo. Questi, ha chiamato a conversione noi
peccatori, non ha detto: rimanete nella condizione di peccato in cui siete.
Invece, sembra che la misericordia, oggi, sia intesa in questo modo: “Tu sei
come sei, e Dio lo sa, ma non fa niente, rimani pure nella condizione di peccato”.
All’inizio del ministero di Gesù, c’è l’appello: “Il regno di Dio è vicino.
Convertitevi e credete al Vangelo”(Mc 1, 15). Negare questo, significa pensarla
come Lutero: poter essere peccatore – perché la natura, secondo lui, sarebbe
irrimediabilmente corrotta - e contemporaneamente giusto, perché la grazia mi
assolverebbe dal castigo. Per questo, all’epoca della Riforma protestante,
nessun cattolico si sognava di dire che Lutero avesse ragione. Oggi, succede di
sentire il contrario. Questo sembra essere il background della relazione del
sinodo, che il presidente dei vescovi polacchi ritiene inaccettabile: per
esempio, è stupefacente aver scritto, ai n 25 e 41, che nella convivenza c’è
qualcosa di positivo, o ritenere che questa debba sfociare necessariamente nel
matrimonio; per passare dall’una all’altro, ci vuole un cambiamento radicale di
mentalità, che chiamiamo conversione. Se il Giubileo servirà a riannunciare le
verità dimenticate sul peccato e sulla conversione, sarà utile per molti. Tra
gli appunti di Giovanni Paolo II, pubblicati dal suo segretario, si legge: “Una
domanda: intendo il mio servizio nella Sede di Pietro come la difesa della
legge di Dio? Delle leggi del Creatore e Redentore”(Karol Wojtyla, Joannes
Paulus II. Sono tutto nelle mani di Dio. Appunti personali 1962-2003,Libreria
Editrice Vaticana 2014, p 245).
3. Il
papa, ancora lo scorso 7 marzo, in occasione della celebrazione della messa
nella Chiesa romana di Ognissanti, in ricordo della prima messa lì celebrata in
lingua italiana da Paolo VI, mentre usciva dalla chiesa ha detto “ringraziamo
il Signore per quello che ha fatto nella sua Chiesa in questi cinquant’anni di
riforma liturgica. E’ stato proprio un gesto coraggioso della Chiesa avvicinarsi
al popolo di Dio perché possa capire bene quello che fa, e questo è importante
per noi, seguire la Messa così. E non si può andare indietro, dobbiamo andare
sempre avanti, sempre avanti e chi va indietro sbaglia. Andiamo avanti su
questa strada” ed ancora, nell’omelia, ha affermato che “La liturgia non
è una cosa strana, là, lontana, e mentre si celebra io penso a tante cose, o
prego il rosario. No, no. C’è una corrispondenza, tra la celebrazione liturgica
che poi io porto nella mia vita; e su questo si deve andare ancora più avanti,
si deve fare ancora tanto cammino”. Ecco, don Nicola, tu celebri la messa
anche nel rito antico. Secondo te, ma anche in base alla tua esperienza, la
liturgia antica può intendersi e leggersi come qualcosa di “strano, là,
lontana” dalla vita? E che significato dare a quel “dobbiamo andare sempre
avanti” e che “chi va indietro sbaglia”? Stiamo sbagliando
nell’auspicare un sempre maggiore ritorno alla liturgia ante-conciliare? E’
infruttuoso e spiritualmente sterile? Ricordo che il compianto card. Stickler,
nel 1995, parlava di un’indubbia attrattiva teologica della messa tridentina … .
R. Benedetto XVI, com’è noto, ha parlato e agito
mediante “l’ermeneutica della continuità nell’unico soggetto Chiesa” – lo
stesso Francesco, ebbe a lodare in tal senso mons. Marchetto, ma in altre
occasioni ha mosso delle obiezioni. Per esempio, egli ha affermato, nel
contesto di un più ampio invito all’evangelizzazione: “non sarà la pura
‘restaurazione’ di forme del passato che potrà rendere attuale il cristianesimo
per l’uomo d’oggi”(J. Carrón, Lettera alla Fraternità di Cl, dopo l’udienza privata con papa
Francesco dell’11 ottobre 2013);anzi, ha annoverato ciò tra le tentazioni, “il
ripiegamento che va a cercare nelle forme del passato le sicurezze perdute; e
la pretesa di quanti vorrebbero difendere l’unità negando le diversità,
umiliando così i doni con cui Dio continua a rendere giovane e bella la sua
Chiesa...”(papa Francesco, Discorso alla LXVI Assemblea
generale della Cei, 19 maggio 2014).
Tuttavia,
Gesù, nel vangelo, afferma che, lo scriba sapiente, dal suo tesoro estrae cose
nuove e cose antiche. Ogni volta che celebriamo la Messa andiamo “indietro”,
perché facciamo memoria del Signore, e nello stesso tempo “andiamo avanti”,
perché attendiamo la sua venuta. Anche chi celebra la Messa nella forma straordinaria, procede in questo senso: questa ha
alcune ragioni: quanto ha fatto il Signore nel contesto dell’ultima cena è una
novità, per questo: «l’ultima cena fonda il contenuto dogmatico dell’eucaristia
cristiana, ma non la sua forma liturgica» (J. Ratzinger, Davanti al Protagonista,
Cantagalli, Siena 2009, p. 102). Bisogna, allora, chiarire cosa sia la ‘forma’
della liturgia.
Le forme della liturgia cristiana, in Oriente e
in Occidente, si svilupparono a partire da quelle del Tempio di Gerusalemme,
della liturgia sinagogale e domestica. Si comprende, così, che la Costituzione
liturgica chieda: “le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche
maniera, da quelle già esistenti”(23). In questo modo, facciamo progredire la
tradizione: “sana traditio - legitima progressio”; come ebbe a dire
Benedetto XVI in due discorsi, il primo all’Ateneo Sant’Anselmo, il 6 maggio
2011, e il secondo in una lettera per il I Centenario del Pontificio Istituto
di Musica Sacra. Tenere in equilibrio traditio e progressio,
significa che la liturgia si muove tra innovazione e tradizione, senza cadere
nell’archeologismo a senso unico, come diceva già Pio XII nella Mediator Dei. Perché attingere
agli usi del V secolo e tralasciare quelli del XII? Per esempio, nella riforma
liturgica post-conciliare, è stata ripristinata la preghiera dei fedeli, un
elemento attestato nel II secolo, ma è stato abolito l’orientamento della
preghiera ad Dominum, che
è di origine apostolica e conservata ancora oggi da tutte le Chiese orientali.
La traditio le comprende tutte, non solo
l’antichità o l’alto medioevo, ma anche il basso medioevo e quello tridentino.
Lo squilibrio ha favorito la creatività, gli abusi e i reati, come ricorda
l’Istruzione Redemptionis
Sacramentum. Dunque “quel che era sacro, resta sacro”, perché Dio ha i suoi
diritti sul culto a lui dovuto, come disse Paolo VI e ha ribadito Benedetto XVI
nella Lettera di accompagnamento al Motu proprio Summorum Pontificum.
Nel mondo
attuale, dove la fede si va quasi spegnendo, il rito romano antico rivela una
potenza evangelizzatrice, come attesta il movimento internazionale di giovani,
che sempre più numerosi si avvicinano alla Chiesa, a motivo del misticismo
della Messa in forma straordinaria, simile alla liturgia ortodossa, come ha
ricordato Francesco ai giornalisti sull’aereo di ritorno dal Brasile: “Le
Chiese ortodosse, hanno conservato quella pristina liturgia, tanto bella. Noi
abbiamo perso un po’ il senso dell’adorazione”. Proprio, non pochi di questi
giovani, avvertono la chiamata alla vita sacerdotale e religiosa. Un vero
‘segno dei tempi’. Il crescente numero di persone, in specie giovani, nel
mondo, smentisce, dunque, la visione che i riti antichi significhino un tornare
indietro. Allora, noi latini non dovremmo esaltare le antiche liturgie
orientali, altrimenti saremmo strabici.
Forse, oggi
si parla di queste cose, perché ci si trova in realtà dinanzi a un fuori programma.
Sembra di sentir dire, dai sostenitori acritici della riforma liturgica: non ci
aspettavamo dopo cinquant’anni, che l’antico rito sopravvivesse e conquistasse
nuovi consensi. Risponderemo: prendetene atto e riflettete su quanto ha fatto
Benedetto XVI.
4.
Un’ultima domanda. Il papa incontrando, lo scorso 19 febbraio, il clero romano
ha criticato l’idea di “riforma della riforma” in liturgia ed ha lamentato come
alcuni vescovi, in buona fede e spinti dalla necessità di avere sacerdoti,
abbiano ordinato dei seminaristi “tradizionalisti”, che – così è parso far
intendere – presentino spesso “problemi psicologici e morali”. Per cui,
questi vescovi, senza un adeguato discernimento tra i candidati, ordinerebbero
alcuni nei quali si possono nascondere degli “squilibri” che poi si
manifestano proprio nelle Liturgie. In altre parole, sembra – dalle parole del
papa – che i “tradizionalisti”, e segnatamente i seminaristi legati alle forme
tradizionali liturgiche, presentino problematiche psichiche o psicotiche quasi
in misura più accentuata rispetto ad altri. Che ne pensi di queste parole del
vescovo di Roma?
R. Nel capitolo V del Gesù di Nazaret dedicato alla preghiera del Signore,
in premessa Benedetto XVI ricorda come il Signore stesso abbia messo in guardia
dalle forme errate del pregare, due in specie: l’esibizione di se stessi al
posto della sua adorazione e il profluvio di parole che soffoca lo Spirito. Se
la preghiera è espressione della relazione di amore tra il singolo e Dio,
contiene un mistero che non tollera lo spettacolo “per essere visti dagli
uomini”(Mt 6,5). In tempi
caratterizzati dalla smania di apparire, questa tentazione può toccare i
sacerdoti che celebrano la liturgia, in modo particolare quelli che la dirigono
come ‘cerimonieri’, tradendo talvolta la tendenza esagerata se non perversa a
mettersi in mostra, nota come esibizionismo. Forse è un effetto dello stare
dinanzi all’assemblea invece che rivolti al Signore, dinanzi al quale, anche la
dimensione comunitaria evidenziata nella orazione del Pater dal plurale noster “risveglia tuttavia la parte più
intima della mia persona …”(p. 158). Tutto ciò è vero per ogni essere umano,
per ogni cristiano; nondimeno il sacerdote è chiamato a esprimere la relazione
sua personale e quella della comunità con Dio: “il noi della comunità orante e la dimensione
personalissima di ciò che si può comunicare solo a Dio si compenetrano a
vicenda”.
I
tradizionalisti squilibrati, con problemi psicologi e morali? Che dire di tanti
altri progressisti, che in nome della creatività manipolano la liturgia? Come
ebbe a dirmi un anziano padre: stia sicuro che allo stesso modo potranno
manipolare la morale.
Bisogna
rimanere cattolici, coniugando tradizione e innovazione, come lo scriba
sapiente del vangelo.
Grazie
ancora don Nicola!
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