Rilanciamo questa lezione del
card. Caffarra – uno dei cinque prelati autori del testo “Rimanere nella verità”
– su famiglia e matrimonio, pubblicata su Tempi.
Per ricostruire il matrimonio e
la famiglia bisogna rimettere le persone nei loro (sacri) corpi.
Spettacolare
lezione di Caffarra
del card. Carlo Caffarra
del card. Carlo Caffarra
L’intervento del cardinale sulle tre necessità di un mondo che «chiede di sposarsi sacramentalmente ma non è più capace di sposarsi naturalmente» (vale anche per i cattolici)
Pubblichiamo l’intervento con il quale il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, ha aperto ieri mattina a Roma i lavori del convegno “Matrimonio e famiglia. La questione antropologica e l’evangelizzazione della famiglia”, organizzato dalla facoltà di Diritto canonico della Pontificia Università della Santa Croce (foto ©UnivSantaCroce).
Rifletterò sulla
comunicazione della proposta cristiana circa il matrimonio dentro la cultura
occidentale e presenterò il mio ragionamento in tre tempi. Nel primo cercherò
di disegnare uno schizzo della condizione culturale in cui oggi versa il
matrimonio in Occidente. Nel secondo cercherò di individuare i problemi
fondamentali che questa condizione culturale pone alla proposta cristiana
riguardante il matrimonio. Nel terzo indicherò alcune modalità fondamentali con
cui il Vangelo del matrimonio oggi deve proporsi.
Condizione del
matrimonio oggi
«Rari nantes in
gurgite vasto». Il famoso verso virgiliano fotografa perfettamente la
condizione del matrimonio in Occidente. L’edificio del matrimonio non è stato
distrutto; è stato de-costruito, smontato prezzo per pezzo. Alla fine abbiamo
tutti i pezzi, ma non c’è più l’edificio.
Esistono ancora tutte
le categorie che costituiscono l’istituzione matrimoniale: coniugalità;
paternità-maternità; figliazione-fraternità. Ma esse non hanno più un
significato univoco.
Perché e come è
potuto accadere questa de-costruzione? Cominciando a scendere in profondità,
costatiamo che è in opera una istituzionalizzazione del matrimonio che prescinde
dalla determinazione bio-sessuale della persona. Diventa sempre più pensabile
il matrimonio separandolo totalmente dalla sessualità propria di ciascuno dei
due coniugi. Questa separazione è giunta perfino a coinvolgere anche la
categoria della paternità-maternità.
La conseguenza più
importante di questa de-biologizzazione del matrimonio è la sua riduzione a
mera emozione privata, senza una rilevanza pubblica fondamentale.
Il processo che ha
portato alla separazione dell’istituto matrimoniale dall’identità sessuale dei
coniugi, è stato lungo e complesso. Non posso che accennarlo nei suoi momenti essenziali.
Il primo momento è costituito dal modo di pensare il rapporto
della persona al proprio corpo, un tema che ha sempre accompagnato il pensiero
cristiano. Mi sia consentito ci descrivere come sono andate le cose attraverso
una metafora. Il pensiero cristiano ha ingerito la visione platonica e
neo-platonica dell’uomo, ed una tale decisione ha creato gravi problemi di
“metabolismo”. Come amavano esprimersi i teologi medievali, il vino della fede
rischiava di trasformarsi nell’acqua di Platone, anziché l’acqua di Platone nel
vino della fede. La difficoltà propriamente teologica non poteva non divenire
anche difficoltà antropologica riguardante precisamente il rapporto
persona-corpo. La grande tesi di S. Tommaso che affermava l’unità sostanziale
della persona non è risultata vincente.
Secondo momento. La separazione del corpo dalla persona trova un
nuovo impulso nella metodologia propria della scienza moderna, la quale
bandisce dal suo oggetto di studio ogni riferimento alla soggettività, in
quanto grandezza non misurabile. Il percorso della separazione del corpo dalla
persona può dirsi sostanzialmente concluso: la riduzione, la trasformazione del
corpo in puro oggetto.
Da una parte il dato
biologico viene progressivamente espulso dalla definizione di matrimonio,
dall’altra, e di conseguenza in ordine alla definizione di matrimonio le
categorie di una soggettività ridotta a pura emotività diventano centrali.
Mi fermo un poco su
questo. Prima della svolta de-biologizzante, in sostanza il “genoma” del
matrimonio e famiglia era costituito dalla relazione fra due relazioni: la relazione
di reciprocità [la coniugalità] e la relazione
inter-generazionale [la genitorialità]. Tutte e tre le
relazioni erano intra-personali: erano pensate come relazioni radicate nella
persona. Esse non si riducevano certamente al dato biologico, ma il dato
biologico veniva assunto ed integrato dentro la totalità della persona. Il
corpo è un corpo-persona e la persona è una persona-corpo.
Ora la coniugalità
può essere sia etero che omosessuale; la genitorialità può essere ottenuta da
un procedimento tecnico. Come giustamente ha dimostrato P.P. Donati, stiamo assistendo
non ad un cambiamento morfologico, ma ad un cambiamento del genoma della
famiglia e del matrimonio.
Problemi posti dal
Vangelo del matrimonio
In questo secondo
punto vorrei individuare i problemi fondamentali che questa condizione
culturale pone alla proposta cristiana del matrimonio.
Penso che non si
tratti in primo luogo di un problema etico, di condotte umane. La condizione in
cui versa oggi il matrimonio e la famiglia non può essere affrontata in primo
luogo con esortazioni morali. È una questione radicalmente antropologica
quella che viene posta all’annuncio del vangelo del matrimonio. Vorrei ora
precisare in che senso.
– La prima dimensione della questione antropologica è
la seguente. È noto che secondo la dottrina cattolica, il matrimonio sacramento coincide col matrimonio naturale. La coincidenza fra i due penso che
non si possa più oggi mettere teologicamente in dubbio.
Ora ciò che la Chiesa
intendeva ed intende per “matrimonio naturale” è stato demolito nella cultura
contemporanea. È stata tolta la “materia”, mi sia consentito dire, al sacramento
del matrimonio.
Giustamente teologi,
canonisti, e pastori si stanno interrogando sul rapporto fede-sacramento del
matrimonio. Ma esiste un problema più radicale. Chi chiede di sposarsi sacramentalmente,
è capace di sposarsi naturalmente? Oppure: non la sua fede, ma la sua umanità è
così devastata da non essere più in grado di sposarsi?
– La questione
antropologica ha una seconda dimensione.
Essa consiste nell’incapacità di percepire la verità e quindi la preziosità
della sessualità umana. Mi sembra che Agostino abbia descritto nel modo più
preciso questa condizione: «Sommerso ed accecato come ero, non ero capace di
pensare alla luce della verità e ad una bellezza che meritasse di essere amata
per se stessa che non fosse visibile agli occhi della carne, ma
nell’interiorità».
La Chiesa deve
chiedersi perché ha di fatto ignorato il magistero di S. Giovanni Paolo II
sulla sessualità e l’amore umano. Dobbiamo chiederci anche: la Chiesa possiede
una grande scuola in cui impara la profonda verità del corpo-persona, la
Liturgia. Come e perché non ha saputo farne tesoro anche in ordine alla domanda
antropologica di cui stiamo parlando? Fino a che punto la Chiesa ha coscienza
del fatto che la teoria del gender è un vero tsunami, che non ha di mira
principalmente il comportamento degli individui, ma la distruzione totale del
matrimonio e della famiglia?
In sintesi: il secondo problema fondamentale che si pone oggi
alla proposta cristiana del matrimonio è la ricostruzione di una teologia e
filosofia del corpo e della sessualità, che generino un nuovo impegno educativo
in tutta la Chiesa.
– La questione
antropologica posta dalla condizione in cui versa il matrimonio alla proposta
cristiana dello stesso ha una terza dimensione: la
più grave.
Il collasso della
ragione nella sua tensione verso la verità di cui parla la Fides et ratio [cfr. 81-83] ha trascinato con sé
anche la volontà e la libertà della persona. L’impoverimento della ragione ha
generato l’impoverimento della libertà. In conseguenza del fatto che disperiamo
della nostra capacità di conoscere una verità totale e definitiva, noi abbiamo
difficoltà a credere che la persona umana possa realmente donare se stessa in
modo totale e definitivo, e ricevere l’auto-donazione totale e definitiva di un
altro.
L’annuncio del
Vangelo del matrimonio ha a che fare con una persona la cui volontà e libertà è
privata dalla sua consistenza ontologica. Nasce da questa inconsistenza
l’incapacità oggi della persona di pensare l’indissolubilità del matrimonio se
non in termini di una legge «exterius data»: una grandezza inversamente
proporzionale alla grandezza della libertà. È questa una questione molto
seria anche nella Chiesa.
– Con quest’ultima
costatazione siamo entrati nella quarta ed ultima dimensione della
questione antropologica posta all’annuncio del Vangelo del matrimonio: la
logica interna propria degli ordinamenti giuridici degli Stati riguardo a
matrimonio e famiglia. Sulla questione in generale, Benedetto XVI ha espresso
il Magistero della Chiesa in uno dei suoi discorsi fondamentali, quello tenuto
davanti al Parlamento della Rep. Federale tedesca a Berlino il 22 settembre
2011.
Gli ordinamenti
giuridici sono andati progressivamente sradicando il diritto di famiglia dalla
natura della persona umana. È una sorta di tirannia
dell’artificialità, che si va imponendo, riducendo la legittimità
alla procedura. Le leggi attuali di equiparazione si attribuiscono l’autorità
di creare la capacità di esercitare il diritto di
sposarsi, di rendere artificialmente possibile ciò che naturalmente non lo è.
Sarebbe un grave
errore il pensare – e agire di conseguenza – che il matrimonio civile non
interessi il Vangelo del matrimonio, al quale interesserebbe solo il sacramento
del matrimonio.
Modalità
dell’annuncio
Vorrei ora in questo
terzo ed ultimo punto indicare alcune modalità in cui la proposta cristiana del
matrimonio non deve essere fatta, ed alcune modalità in cui può essere fatta.
Vi sono tre modalità
che vanno evitate. La modalità tradizionalista,
la quale confonde una particolare forma di essere famiglia con la famiglia ed
il matrimonio come tale. La modalità catacombale,
la quale sceglie di ritornare o rimanere nelle catacombe. Concretamente:
bastano le virtù “private degli sposi”; è meglio lasciare che il matrimonio,
dal punto di vista istituzionale, sia definito da ciò che la società liberale
decide. La modalità buonista, la quale ritiene
che la cultura di cui ho parlato sopra, sia un processo storico inarrestabile.
Propone di venire, quindi, a compromessi con esso, salvando ciò che in esso
sembra essere riconoscibile come buono.
Non ho ora il tempo
per rifletter più a lungo su ciascuna di queste tre modalità, e passo quindi
all’indicazione di alcune modalità positive.
Parto da una
costatazione. La ricostruzione della visione cristiana del matrimonio nella
coscienza dei singoli e nella cultura dell’Occidente è da pensarsi come un
processo lungo e difficile. Quando una pandemia si abbatte su un popolo, la
prima urgenza è sicuramente curare chi è stato colpito, ma è anche necessario
eliminare le cause.
La prima necessità è la riscoperta delle evidenze
originarie riguardanti il matrimonio e la famiglia. Togliere dagli occhi del
cuore la cataratta delle ideologie, le quali ci impediscono di vedere la
realtà. È la pedagogia [socratico-agostiniana] del maestro interiore, non
semplicemente del consenso. Cioè: recuperare quel “conosci te stesso” che ha
accompagnato il cammino spirituale dell’Occidente.
Le evidenze
originarie sono inscritte nella stessa natura della persona umana. La verità
del matrimonio non è una lex exterius data,
ma una veritas indita.
La seconda necessità è la riscoperta della
coincidenza del matrimonio naturale col matrimonio-sacramento. La separazione
fra i due finisce da una parte a pensare la sacramentalità come qualcosa di
aggiunto, di estrinseco, e dall’altra parte rischia di abbandonare l’istituto
matrimoniale a quella tirannia dell’artificiale di cui parlavo.
La terza necessità è la ripresa della “teologia del
corpo” presente nel Magistero di S. Giovanni Paolo II. Il pedagogo cristiano si
trova oggi ad aver bisogno di un lavoro teologico e filosofico che non può più
essere rimandato, o limitato ad una particolare istituzione.
Come vedete si tratta
di prendere sul serio quella superiorità del tempo sullo spazio di cui parla l’Evangelii gaudium [222-225]: ho indicato tre
processi più che tre interventi di urgenza.
Sono anch’io, alla
fine, del parere di G. Weigel che alla base delle discussioni del Sinodo è il
rapporto che la Chiesa vuole avere colla post-modernità, nella quale i relitti
della decostruzione del matrimonio sono la realtà più drammatica ed
inequivocabile.
Fonte: Tempi, 13.3.2015
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