Due
fatti di cronaca recente hanno posto l’attenzione su chi debba intendersi come
“fratello della fede e figlio di Dio”.
Cominciamo
dal fatto più recente.
Il
22 aprile, il vescovo di Bari si è incontrato con alcuni copti ed islamici per
meditare, o pregare, per le vittime del naufragio poco al largo delle coste
libiche lo scorso sabato notte (cfr. Corriere del mezzogiorno, 22.4.2015).
Il
vescovo barese, parato da serioso impiegato, non è nuovo a simili iniziative,
in stile media-ecumenical (v. qui).
Non
è questo, però, il punto.
Non
si sta facendo una questione del suo stile … . Ma del fatto che, intervistato
al TG3 Regionale della Puglia, si sia spinto ad affermare che i musulmani «sono
nostri fratelli e figli di Dio». In una precedente ed analoga occasione dell'ottobre scorso aveva affermato che cristiani e musulmani sono «fratelli nella
fede e figli dello stesso Dio».
Ci
stupisce che un vescovo ignori che la Rivelazione e cioè che la figliolanza di
Dio, propriamente detta, non venga né dalla carne né dal sangue, ma sia una
grazia di Dio, richiedendo che sia ricevuta il battesimo. Basta soffermarsi al
celebre Prologo di Giovanni per rendersi conto di questa Verità, giacché
l’Evangelista afferma «quotquot autem receperunt eum, dedit eis potestatem
filios Dei fieri, his qui credunt in nomine eius» (Johan. 1, 12). Per
cui, asserire che cristiani e musulmani siano figli dello stesso Dio è
quantomeno temerario.
A
meno che non avesse voluto intendere – in maniera infelice – che i cristiani ed
i musulmani in quanto uomini e, dunque, creature, abbiamo un medesimo Creatore.
Ma se era questo il senso, allora l’espressione, a nostro avviso, andava detta
meglio dal Pastore barese.
Riguardo
all’altra, cioè “fratelli nella fede” l’espressione anche qui è equivoca.
Pure
qui non avremmo avuto nulla da obiettare se l’espressione fosse riferita non
alla fede, ma volesse indicare la generica fraternità
universale, che deriva direttamente dalla comune discendenza di tutti gli
uomini da Adamo ed Eva.
Se così non fosse e cioè se il vescovo barese avesse voluto
intendere in senso proprio l’espressione “fraternità di fede”, le cose
cambiano.
Se
non erriamo, i Padri della Chiesa avevano affermato che potevano definirsi fratelli
nella fede solo quelli che facevano professione di fede nella stesso Dio
(Triuno) e potevano recitare il “Padre nostro”.
Spiegava S. Agostino che se siamo fratelli (nella fede), «invochiamo
uno stesso Dio, crediamo in uno stesso Cristo, sentiamo lo stesso Vangelo,
cantiamo gli stessi salmi, rispondiamo lo stesso Amen, ascoltiamo lo stesso
Alleluia e celebriamo la stessa Pasqua» (En. in Ps. 54, 16).
Aggiungeva
S. Cipriano, con riferimento alla preghiera del Pater: «Il Padre Nostro è per noi una
preghiera pubblica e comune e, quando preghiamo, non preghiamo per uno
soltanto, ma per tutto il popolo, perché tutto il popolo è uno» (De
Oratione Dominica, 8). Significativamente l'Istruzione del Sant’Offizio del
20 dicembre 1949 all'episcopato cattolico sul “movimento ecumenico” affermava:
«Benché in tutte queste riunioni e conferenze si debba evitare qualsiasi communicatio
in sacris, però non è proibita la recita comune del Padre
Nostro, o di una preghiera approvata dalla Chiesa cattolica con cui le
stesse riunioni vengono aperte e chiuse» (A.A.S., 1950, pp. 142 ss).
In effetti,
il santo Dottore d’Ippona chiamava gli eretici donatisti "fratelli",
perché confessavano «l'unico Cristo» e si trovavano, loro malgrado, «in un solo
corpo, sotto un unico capo», facendo parte dell'unica Chiesa indivisibile,
nonostante i limiti e le divisioni della Chiesa visibile. Per cui, concludeva
S. Agostino, parlando dei “fratelli donatisti”, che questi «Cesseranno
di essere nostri fratelli, allorché avranno cessato di dire: Padre nostro» (En. in Ps. 32, 3, 29, en.
2).
Dunque, il vescovo barese avrebbe dovuto domandarsi – se avesse
inteso riferirsi ad una fratellanza nella fede – se gli appartenenti all’islam
invochino Dio con la preghiera del Padre nostro. Oppure egli avrà pensato che l’islam
sia una sorta di appendice eretica del Cristianesimo così com’era intesa nel
Medioevo. Non a caso Dante pone nella sua Commedia la figura di Maometto
tra gli scismatici, rappresentando l’islam come un’eresia del Cristianesimo. Ma
si tratta di una visione ampiamente superata dalla storiografia … .
Il secondo episodio a cui vorremmo far riferimento è correlato al
martirio dei cristiani etiopi di cui abbiamo già parlato alcuni giorni fa.
Si è appreso che, tra gli stessi, vi sarebbe stato un musulmano.
Questi avrebbe accettato di unirsi – nella morte – con i cristiani, morendo da
apostata dell’islam.
Abbiamo detto “musulmano” (ed i media buonisti hanno parlato di “giusto
nell’islam”, sic!), ma in verità avremmo dovuto parlare di un vero e proprio
cristiano, che, con la sua morte, ha ricevuto il suo battesimo di sangue (cfr.
Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1258). Infatti, questa persona sarebbe
morta da “apostata dall’islam”, per i cristiani, con i cristiani, per la stessa
ragione dei cristiani, a causa dei cristiani e nello stesso contesto dei
cristiani. Non consta che, morendo, abbia fatto professione di fede nell’islam.
Per cui, possiamo ritenere – in base alle circostanze – che egli sia morto da
martire cristiano, conseguendo la corona incorruttibile, così come morirono,
durante l’epoca delle persecuzioni, alcuni martiri – che oggi noi veneriamo – i
quali, pagani, all’ultimo momento, si aggregavano al gruppo di cristiani votati
a morire, decidendo di morire con loro, per loro e nello stesso loro contesto.
Questa è la vera
fratellanza. Nella fede, per la quale la Chiesa canta: «Hæc est vera fratérnitas, quæ vicit mundi
crímina: Christum secúta est, ínclita tenens regna cæléstia». Né vale affermare che il presente caso sia analogo a quello del
prof. Mahmoud Al ‘Asali, poiché – in quest’ultima
vicenda – proprio le circostanze non consentono di affermare che lo stesso sia
stato ucciso con i cristiani, nello stesso contesto dei cristiani e quale
apostata dall’islam!
Il titolo dell'articolo, che riporta la notizia, perciò suona alquanto discutibile.
È musulmano, ma sceglie di morire con i cristiani
Tra
gli etiopi uccisi in Libia dall’Is c’era anche Jamal Rahman: si sarebbe offerto
come ostaggio per non abbandonare un amico. Lo racconta il Pime
DOMENICO
AGASSO JR
ROMA. Era anche lui tra i 28 etiopi
uccisi (decapitati) dall’Isis in Libia e mostrati nell’ennesimo video dell’orrore
di Al Furqan, la macchina della propaganda del califfato. È stato ucciso pure
lui, Jamal Rahman, migrante, sebbene fosse di famiglia musulmana. Perché?
Perché si sarebbe offerto come ostaggio per non lasciare solo un amico
cristiano.
È una storia raccontata da Giorgio Bernardelli su MissionLine, rivista
del Pontificio Istituto Missioni estere (Pime). A confermare la notizia «è stata una fonte del
tutto insospettabile: un miliziano degli al Shabab, i fondamentalisti islamici
della Somalia».
Su questa vicenda ci sono due
versioni di spiegazione: una riferita da «un quotidiano on-line del
Somaliland»: sostiene la «stranezza» dicendo che «si era convertito al
cristianesimo durante il viaggio»; l’altra, che il Pime ritiene «molto più
verosimile, raccolta sempre in ambienti jihadisti: il musulmano Jamaal “follemente”
si sarebbe offerto come volontario ai jihadisti come ostaggio, per solidarietà
con l’amico cristiano con cui stava compiendo il viaggio. Forse pensava che la
presenza di un musulmano nel gruppo avrebbe perlomeno salvato la vita alle
altre persone»; così non è avvenuto: è stato assassinato anche Jamal, «come un
apostata».
La storia e la scelta di Jamal Rahman richiamano quelle di Mahmoud Al ‘Asali, il docente universitario musulmano che la scorsa estate a Mosul «si era schierato pubblicamente contro la persecuzione nei confronti dei cristiani della città». Anche lui ha pagato questo comportamento con la morte.
La storia e la scelta di Jamal Rahman richiamano quelle di Mahmoud Al ‘Asali, il docente universitario musulmano che la scorsa estate a Mosul «si era schierato pubblicamente contro la persecuzione nei confronti dei cristiani della città». Anche lui ha pagato questo comportamento con la morte.
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