Mentre il 25 aprile i laicisti
italioti ricordano la c.d. liberazione, mentre i più ne approfittano per recarsi al mare o per rilassarsi, i cattolici fanno memoria dei martiri
uccisi dai partigiani comunisti durante quegli anni drammatici (v. anche qui), così come avvenne nella Spagna comunista negli anni '30 del secolo scorso, durante la c.d. guerra civile.
Per ricordare nomi e date del martirio dei preti uccisi dai partigiani, v. qui.
Per ricordare nomi e date del martirio dei preti uccisi dai partigiani, v. qui.
«Beatificazione di gruppo per 80
preti uccisi dai partigiani comunisti»
di Andrea Zambrano
«Questi sono i nostri
beati». È questa l'ambiziosa “proclamazione” che il mensile di apologetica
cattolica Il Timone propone ai lettori in occasione del
70esimo anniversario della Liberazione. Un dossier accurato e coraggioso,
quello del mese di Aprile, in cui si affronta partendo dalla storia del beato
Rolando Rivi, ucciso dai partigiani comunisti in odio alla fede sul finire
della seconda guerra mondiale, le storie degli altri preti uccisi dalla
violenza rossa. E ci si chiede che fare della loro memoria adesso che la
Chiesa, con la beatificazione del seminarista martire, ha sancito che nel
biennio '44-'46 si moriva in odium fidei.
È nato così un dossier
di 12 pagine nel quale raccontare le storie degli oltre 80 preti
uccisi dai partigiani la cui morte può essere attribuita a odio politico
religioso. L'ambizione, spiega già nel titolo il mensile è chiara: «Proporre la
beatificazione collettiva: saranno i nostri martiri del Triangolo della morte».
L'operazione è
trasparente: «Dei 150 preti uccisi
dalla violenza rossa, nel clima di vendette e ritorsion, un buon numero trovò
la morte perché apertamente simpatizzante del Regime fascista e dunque
compromesso, anche se un prete ucciso, da una parte o dall'altra, porta sempre
dietro di sé un aberrante sacrilegio. Pochi cadono vittime di errori e vendette
personali per questioni banali: eredità, prestiti etc...». «Ma c'è un numero –
fa notare la rivista – che una ricerca storica degna di tal nome deve incaricarsi
di definire in maniera scientifica e che attualmente si aggira sulle 70-80
unità che trova la morte in un contesto ideologico-politico».
In sostanza, secondo
quanto ricostruisce il Timone, furono uccisi perché
tenacemente anticomunisti. Avevano capito che mentre si combatteva la guerra di
Liberazione le formazioni marxiste stavano utilizzando quel vasto movimento
insurrezionale in vista di un'imminente rivoluzione comunista. Si tratta per lo
più di preti emiliani e friulani, uccisi perché dal pulpito condannavano non
solo le aberrazioni della guerra, ma anche l'ideologia marxista che ispirava i
princìpi di molte brigate partigiane.
Il dossier si avvale di
testimonianze di preti scampati ad agguati che erano finiti nella
lista nera, come quella di don Raimondo Zanelli, oggi 85enne. Ma anche di
documenti, tra cui lettere e diari, in cui viene mostrata la pianificazione
strategica della caccia al prete da parte dei partigiani comunisti che non
accettavano un disimpegno nella causa della Resistenza da parte di quei preti
che non condividevano le impostazioni ideologiche delle Brigate Garibaldi.
Ma la parte centrale del
dossier racconta le storie di religiosi il cui ricordo oggi
rischia di perdersi defintivamente con la morte degli ultimi testimoni. Da don
Luigi Lenzini, la cui causa di beatificazione è già a Roma a don Umberto
Pessina, ucciso per il suo zelo anticomunista e sulla cui morte la giustizia ha
detto una parola definitiva solo 40 anni dopo aver vinto la cortina di fumo del
Pci che conosceva i veri assassini e lasciò condannare un innocente. Ma c'è
anche don Francesco Bonifacio, il santo degli infoibati. Senza dimenticare le
storie di don Augusto Galli, ucciso perché nella lista nera e infamato
successivamente con l'attribuzione di un'amante, e don Giuseppe Iemmi, che dal
pulpito condannò l'uccisione di un fascista e venne freddato dai partigiani.
Le accuse per coprire
quelle uccisioni venivano sempre giustificate attraverso un canovaccio
che molto spesso ha retto alla prova degli anni anche per l'assenza di rigorosi
processi giudiziari. Per alcuni lo spionaggio ai nazifascisti, per altri
l'infamia di un'amante, per altri ancora l'attività anti-resistenziale o anche
solo aver ospitato in canonica un fascista in fuga. Accuse politiche dunque. Ma
come fa notare don Nicola Bux nel suo contributo, «per diminuire la portata del
sacrificio dei cristiani fin dai tempi di Gesù, si è cercato di giustificare le
uccisioni per motivi politici e non per odium fidei. In realtà le due
cause si fondono perché l'amore per la Patria è una virtù cristiana e perché
nel sangue dei sacerdoti uccisi anche di quelli di cui non si conosce neppure
il nome è presente una teologia della persecuzione che ha sempre accompagnato
la vita della Chiesa».
Ma c'è anche un aspetto
che a 70 anni merita di essere ricordato: è la straordinaria avventura dei
partigiani bianchi, cattolici, che morirono gridando “Viva Cristo Re” e che a
differenza dei partigiani comunisti – come spiega lo storico Alberto Leoni –
«agivano nel rispetto della popolazione civile». Si fanno largo le storie di
Giuseppe Cederle o Aldo Gastaldi “Bisagno”, ma anche di Franco Balbis. E non
possono mancare le vicende epiche dei partigiani uccisi da altri partigiani,
come il caso del comandante cattolico della Sap di Reggio Emilia Mario
Simonazzi “Azor” i cui assassini, certamente partigiani, non vennero mai
trovati. A indagare sulla sua morte una figura straordinaria di cattolico,
partigiano e giornalista: Giorgio Morelli, che diede vita ad un'avventura
editoriale con la Nuova Penna, nella quale
per primo denunciò le uccisioni ad opera dei partigiani comunisti nel Triangolo
della morte. Per questo suo impegno venne fatto oggetto di un agguato e morì
per le conseguenze dello sparo poco tempo dopo. Anche lui un martire del
Triangolo rosso.
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