Interessante contributo da
Cordaliter.
Il Pontificale è come il “Codice
sacerdotale”
di Padre Adophe Tanquerey (1854 -
1932).
Sarebbe facile dimostrare che i
Padri, commentando il Vangelo e le Epistole, svolsero e determinarono questi
insegnamenti; potremmo anzi aggiungere che scrissero Lettere e Trattati intieri
sulla dignità e santità del sacerdozio. Ma, per non dilungarci di troppo,
staremo paghi a citare l’autorità del Pontificale che è come il Codice
sacerdotale della Nuova legge e contiene il compendio di ciò che la Chiesa
Cattolica vuole dai suoi ministri. Questa semplice esposizione mostrerà quale
alto grado di perfezione si richiede dagli Ordinandi e a più forte ragione dai
sacerdoti che esercitano il ministero.
1° Dal giovane tonsurato la
Chiesa richiede il totale distacco da tutto ciò che è di ostacolo all’amor di
Dio, e l’intima unione con Nostro Signore, per combattere le inclinazioni dell’uomo
vecchio e rivestirsi delle disposizioni dell’uomo nuovo. Il Dominus pars, che
deve recitare ogni giorno, gli rammenta che Dio e Dio solo è la sua porzione e
la sua eredità e che tutto ciò che non si riferisce a Dio dev’essere calpestato.
L’Induat me gli dice che la vita
è un combattimento, una lotta contro le inclinazioni della guasta natura, uno
sforzo per coltivare le virtù soprannaturali piantateci nell’anima nel giorno
del battesimo. Gli viene così proposto fin da principio come scopo l’amor di
Dio, come mezzo il sacrificio, come l’obbligo di perfezionare queste due disposizioni
per potersi avanzare nel chiericato.
2° Con gli Ordini Minori, il
chierico riceve un doppio potere, uno sul corpo eucaristico di Gesù, l’altro
sul suo corpo mistico, cioè sulle anime; e da lui si richiede, oltre il distacco,
un doppio amore, l’amore del Dio del tabernacolo, e l’amor delle anime, che
suppongono entrambi il sacrificio.
Quindi, come ostiario, si
distacca dalle occupazioni domestiche per diventare il custode ufficiale della
casa di Dio e per invigilare sulla decenza del luogo santo e delle sacre
suppellettili. Lettore, si distacca dagli studi profani per darsi alla lettura
dei Libri santi da cui attingere quella dottrina che l’aiuterà a santificare sé
e gli altri. Esorcista, si distacca dal peccato e dai suoi residui per
sottrarsi più sicuramente al dominio del demonio. Accolito, si distacca dai
piaceri sensuali per praticare già quella purità che è richiesta dal servizio
degli altari. Si rinvigorisce nello stesso tempo il suo amore per Dio: ama il
Dio del tabernacolo di cui è il custode, ama il Verbo nascosto sotto la corteccia
della lettura nella Sacra Scrittura, ama Colui che impera agli spiriti malvagi,
ama Colui che s’immola sugli altari. E quest’amore fiorisce in zelo: ama le
anime che gode di portare a Dio con la parola e con l’esempio, di edificare con
le virtù, di purificare con gli esorcismi, di santificare con la parte che
prende nel Santo Sacrifizio. S’avanza così a poco a poco verso la perfezione.
3° Il suddiacono, consacrandosi
definitivamente a Dio, s’immola per suo amore, preludendo così, come già fece
la SS. Vergine, a quel più nobile sacrifizio che offrirà più tardi al Santo
Altare: præludit meliori quam mox offeret
hostiam. Immola il corpo col voto di continenza, l’anima con l’obbligo di
recitare ogni giorno la pubblica preghiera. La continenza suppone la mortificazione
dei sensi interni ed esterni, della mente e del cuore, la recita dell’ufficio
richiede lo spirito di raccoglimento e di preghiera, lo sforzo perseverante per
vivere unito a Dio. L’uno e l’altro dovere non si può fedelmente adempiere
senza un ardente amore a Dio, che solo gli può proteggere il cuore contro le
lusinghe dell’amor sensibile e aprirgli l’anima alla preghiera col raccoglimento
interno. Sacrifizio ed amore richiede dunque per sempre la Chiesa dal
suddiacono. Sacrificio più profondo di quello praticato fin allora, perché la
pratica della continenza per tutta la vita esige in certi giorni sforzi eroici
e abitualmente poi un assiduo spirito di vigilanza, d’umile diffidenza di sé e
di mortificazione; sacrificio irrevocabile: “Quod si hunc Ordinem
susceperitis, amplius non licebit a proposito resilire, sed Deo, cui servire
regnare est, perpetuo famulari”. E perché questo sacrificio sia possibile e
durevole, bisogna mettervi di molta carità: soltanto l’intenso amore di Dio e
delle anime può preservare dall’amore profano, può far gustare le dolcezze dell’assidua
preghiera, rivolgendo i pensieri e gli affetti verso Colui che solo può appagarli.
Quindi il Pontefice invoca su di lui i doni dello Spirito Santo perché possa
adempire gli austeri doveri che gli sono imposti.
4° Dai diaconi, che diventano i
cooperatori del sacerdote nell’offerta del S. Sacrifizio, “comministri et cooperatores estis corporis et sanguinis
Domini”, il Pontificale richiede una purità ancor più perfetta: “Estote
nitidi, mundi, puri, casti”. E avendo essi il diritto di predicare il
Vangelo, si vuol da loro che lo predichino più con l’esempio che con la bocca: “curate
ut quibus Evangelium ore annuntiatis, vivis operibus exponatis”. La loro
vita deve quindi essere una traduzione vivente del Vangelo, e perciò una
costante imitazione di Nostro Signore. Onde il Pontefice, pregando perché lo
Spirito Santo discenda sopra di loro con tutti i suoi doni, specialmente con
quello della fortezza, rivolge a Dio questa bella preghiera: “Abundet in
eis totius forma virtutis, auctoritas modesta, pudor constans, innocentiæ
puritas, et spiritualis observantia disciplinæ”. Non è questo un chiedere
per loro la pratica delle virtù che conducono alla santità? Infatti nella
preghiera finale il vescovo domanda che siano ornati di tutte le virtù “virtutibus
universis... instructi”.
5° Eppure esige ancora qualche
cosa di più dal sacerdote. Offrendo il santo sacrifizio della messa, è
necessario che il sacerdote sia insieme vittima e sacrificatore; e lo sarà immolando
le sue passioni: “Agnoscite quod agitis; imitamini
quod tractatis; quatenus mortis dominicæ mysterium celebrantes, mortificare
membra vestra a vitiis et concupiscentiis omnibus procuretis”; lo sarà
rinnovando continuamente in sé lo spirito di santità: “innova in visceribus
eorum spiritum sanctitatis”. A tal fine mediterà giorno e notte la legge di
Dio, per insegnarla agli altri e praticarla egli stesso e dare così l’esempio
di tutte le cristiane virtù; ut in lege tua die ac nocte meditantes, quod
legerint, credant; quod crediderint, doceant; quod docuerint, imitentur;
justitiam, constantiam, misericordiam, fortitudinem, ceterasque virtutes in se
ostendant”. E dovendosi pure spendere per le anime, praticherà la carità
fraterna sotto forma di dedizione: “accipe vestem sacerdotalem per quam
caritas intelligitur”; come S. Paolo, si spenderà intieramente per le anime:
“omnia impendam et superimpendar ipse pro animabus vestris”. Il che del
resto deriva pure dagli uffici sacerdotali che ora esporremo.
Così dunque ad ogni nuova tappa
verso il sacerdozio, il Pontificale richiede sempre maggior virtù, maggior
amore, maggior sacrificio; giunto poi al sacerdozio, vuole senz’altro la
santità, come dice S. Tommaso, affinché il sacerdote possa offrir degnamente il
santo sacrificio e santificare le anime che gli sono affidate. L’Ordinando è
libero di andare avanti o no; ma se riceve gli ordini, è chiaro che accetta le
condizioni così esplicitamente fissate dal Pontefice, vale a dire l’obbligo di
tendere alla perfezione, obbligo che non solo non viene diminuito dall’esercizio
del santo ministero ma diventa anzi più urgente come dimostreremo.
Fonte: Cordaliter, 9.4.2015
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