Nella
memoria di S. Ugo di Grenoble (o di Châteauneuf-sur-Isère), vescovo e confessore rilancio il consueto editoriale
di Radicati nella fede, tradotto in inglese dall’immancabile Rorate caeli.
Francisco de Zurbarán, S. Ugo di Grenoble (o di Cluny?) nel refettorio, 1655 circa, Museo de Bellas Artes, Siviglia |
Scuola tedesca, Crocifisso con i SS. Bruno, Ugo di Lincoln ed Ugo di Châteauneuf, 1600 circa, collezione privata |
Daniele Crespi, S. Ugo di Grenoble, 1629, Chiesa della Certosa di Garegnano, Milano |
IL
PROTESTANTESIMO A METÀ È PROTESTANTESIMO
Editoriale
“Radicati nella fede”
Anno VIII n. 4 - Aprile 2015
Si
assiste ormai rassegnati al vertiginoso calo delle vocazioni sacerdotali e alla
relativa diminuzione della presenza dei preti in mezzo a noi. Di giorno in
giorno aumentano le parrocchie senza più la presenza stabile del sacerdote;
anzi, diventano queste una rarità. Chiese e chiese vengono ormai aperte
sporadicamente per la celebrazione di qualche santa messa, restando per la
maggior parte dell’anno chiuse. E anche quando, in qualche grande parrocchia,
il sacerdote è ancora residente, la sua effettiva presenza si assottiglia
sempre più, oberato com’è dal dover garantire un servizio ad innumerevoli
piccoli centri sparsi nei dintorni. In intere vallate di montagna non vi abita
più nemmeno un prete. Non c’è che dire, un quadro sconfortante;
malinconicamente sconfortante.
Qual
è però il pericolo più grande? A nostro parere è che la soluzione a tutto
questo problema è dettato da coloro che questo problema hanno causato e
accelerato. Il cristianesimo “protestantizzato” ha innescato il disastro
decenni fa’ ed ora propone i rimedi!
Tutta
la riforma liturgica degli anni ‘60 e ‘70 aveva puntato sulla centralità della
Parola di Dio. Aveva voluto con forza (violenza?) una completa revisione della
millenaria liturgia cattolica, e l’aveva piegata alle necessità della nuova
ecclesiologia e della nuova pastorale.
Di
una nuova ecclesiologia: la Chiesa non più Corpo Mistico di Cristo, ma
prevalentemente popolo di Dio; l’accento non più sul sacramento dell’Ordine,
sul Sacerdozio, che costituisce la nervatura gerarchica della Chiesa, ma l’accento
sul battesimo, sul laicato che deve sempre più essere corresponsabile dell’azione
della Chiesa.
Da
questa nuova ecclesiologia, che poneva l’accento sulla comunità e non sull’unione
con Dio in Gesù Cristo, una assillante preoccupazione perché tutto fosse
tradotto in lingua parlata nella messa e nei sacramenti, affinché i fedeli non
si sentissero inferiori ai preti nella pubblica preghiera. I fedeli,
corresponsabili nella Chiesa con i preti, dovevano tutto subito capire, per poter
democraticamente governare la casa di Dio. Ecco allora la strabordante
importanza della Parola di Dio intesa semplicemente come il leggere la Bibbia
nelle messe; la libidinosa creatività nelle liturgie della parola con laici
lettori, fedeli commentatori, gesti simbolici accompagnanti le letture, omelie
partecipate, logorroiche preghiere dei fedeli, seguite poi da una veloce e
scarna consacrazione che, ahimè dicevano i più illuminati, restava ancora
riservata al prete, perché noi cattolici non arriviamo fino in fondo al
protestantesimo. Ecco, potremmo spiegarci cosi: da noi si è operato, nel
post-concilio, un protestantesimo di mezzo, che non arriva ad eliminare del
tutto il prete, questo no, ma che gli ha lasciato un angolino: la
consacrazione. Ma anche questa rigorosamente tradotta in lingua parlata, ad
alta voce, con le parole prese dalla Bibbia, perché i fedeli ascoltando possano
ratificarla con i loro amen. Eh sì, perché nella democratizzazione della Chiesa
l’assenso dei fedeli è importante: nel “mistero della fede” e nella comunione
il fedele dicendo il suo “sì” dà forza alla Presenza di Cristo fatta dal sacerdote...
è proprio un protestantesimo a metà!
La
rivoluzione liturgica così operata avrebbe dovuto portare un nuovo slancio alla
vita cristiana e alla missione della Chiesa nella società. Da subito però ci si
accorse che stava producendo confusione. Si diede colpa al ‘68, alla rivoluzione
sociale e culturale che stava scoppiando nella società proprio negli anni del
dopo concilio. Si diceva che tutto si sarebbe messo a posto, che dopo la
confusione e gli errori di applicazione, sarebbe venuta l’ora serena e feconda
dell’edificazione. Ma quest’ora non è mai arrivata!
L’ultimo
tentativo in questa prospettiva è del pontificato interrotto di Benedetto XVI,
che ha fortemente promosso un riequilibrio in senso tradizionale della riforma;
ma queste illusioni sono scomparse con le sue dimissioni.
Oggi
la Chiesa si trova come un campo il giorno successivo alla battaglia: un cumulo
di ruderi, con i cadaveri da seppellire. Non solo la società non è tornata
cristiana, ma non ci sono più preti per intraprendere una nuova opera.
Cosa
fanno i nipoti dei rivoluzionari liturgici ed ecclesiali di decenni fa?
Propongono di rimpiazzare le messe con le liturgie della parola, animate dai
laici, terminanti con la comunione sacramentale! È la conclusione logica della
più disastrosa falsa riforma della Chiesa. E questo epigono, lo annunciamo già
con certezza, porterà a consumazione il disastro.
La
malattia non può scacciare il morbo, la peste non ferma la pestilenza, se non
facendo morire tutti... ma se fosse così che vittoria sarebbe?
In
tutte le epoche di crisi, la Chiesa non ha annacquato la sua identità per
raggiungere tutti, no di certo. Ha invece moltiplicato lo zelo perché i suoi
preti siano più preti e i suoi fedeli più cattolici.
Nel
medioevo, che conobbe intorno al mille una grande crisi, riunì i sacerdoti
nelle pievi, fondò i canonicati perché i ministri di Dio si santificassero in
una vita quasi monastica, purificò e rese sempre più splendida la sua liturgia,
moltiplicò la preghiera. In una parola, gettò le basi per una rinascita poderosa
delle vocazioni sacerdotali, cosciente che senza prete non c’è Chiesa.
Leggendo
in questi giorni la stampa, che a caratteri cubitali scrive “Non ci sono più
preti, la messa la diranno i laici” tutti possono capire che si viaggia
imperterriti nel senso contrario alla vera riforma della Chiesa. Certo la
stampa esagera, i laici non farebbero la messa vera e propria, leggerebbero le
letture e darebbero la comunione: ma come non vedere che questo è l’ultimo
passo per la scomparsa della messa in mezzo a noi. Già ci siamo abituati a fare
a meno del prete per la dottrina... i laici già ascoltano e interpretano
liberamente i Vescovi e il Papa, ci manca solo che facciano una pseudo-messa
per dichiarare inutile il sacerdote. Cosa penserà un seminarista, miracolo
vivente in questa Chiesa, leggendo un simile titolo sul giornale? Non avrà il
dubbio che la Chiesa non ha più bisogno di lui?
In
tutto questo scempio si ha il segreto sospetto che i preti e i fedeli rieducati
nello spirito della nuova chiesa, quella del protestantesimo a metà, guardino
alle pseudo messe delle chiese senza preti come all’ultima opportunità per
completare quella riforma della chiesa che il Vaticano II aveva lasciato a
metà. Sì, vogliono una chiesa dove tutti sono sacerdoti... dove Cristo nasce
dal di dentro della coscienza del singolo e dal di dentro della comunità; una
chiesa dove Cristo non scende più dall’alto, dove il prete è un retaggio del
passato destinato a scomparire o quasi: la fine del Cattolicesimo.
Noi
continuiamo sempre più ad essere convinti che non abbiamo sbagliato nel tornare
decisamente alla messa antica, che sicuramente non permette questa deriva. Oh
se più preti e fedeli lo capissero! Avrebbero qui la possibilità offerta da Dio
per una reale rinascita.
Ma
quanto dovrà ancora accadere perché i cuori e le menti siano liberate?
Nessun commento:
Posta un commento