Giustino il
Filosofo, martirizzato verso il 165 d.C., è uno dei più antichi autori
ecclesiastici, probabilmente sacerdote, e che passò dapprima attraverso diverse
scuole filosofiche del suo tempo prima di giungere alla sublime saggezza della
Croce. Oggi egli viene a deporre ai piedi del Salvatore la sua corona e la
palma del suo martirio.
A dispetto di tanta celebrità, il culto di san
Giustino, come in generale quello di tutti i martiri romani anteriori del III
sec., era stato molto trascurato nella Città Eterna. Nessuno degli antichi Itinerari
ha saputo indicarci la sua tomba; ed è solamente a titolo di congettura che si
è creduto poterla riconoscere in un loculus
del cimitero di Priscilla, la regina catacumbarum, dove, su alcune
tegole piatte, si trova questa iscrizione al minium:
Μ • ΖΟΥCΤΙ • ΝΟC
Fu Leone XIII che, nel
1882, impose il suo Ufficio alla Chiesa universale, fissandolo al 14 aprile sotto il rito doppio, a seguito della
domanda di molti Padri del Concilio Vaticano I.
Il nostro Santo era stato iscritto da
Floro di Lione al 13 aprile verso l’anno 850. Papa Pecci adottò questa data,
spostandolo però di un giorno a causa della festa di sant’Ermenegildo,
riducendo di fatto la festa dei santi Martiri Tiburzio, Valeriano e Massimo –
già fissata al 14 aprile – ad una semplice memoria.
Una chiesa di San
Giustino esisteva, sino al XV-XVI sec., vicino alla basilica vaticana, accanto
alla schola (ospizio) longobarda
istituita dalla regina Ansa, moglie dell’ultimo re, Desiderio, nel 770 circa.
Ma si trattava probabilmente di un altro martire chiamato Giustino, la cui la
tomba era venerata nell’Agro Verano (Mariano
Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX,
Tipografia Vaticana, Roma 18912, pp. 769-770, 875; Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze
1927, p.
279). In una cappelletta, ubicata fuori Porta Pia, a sinistra, dedicata alla
Natività di Maria Santissima, si conserva sotto l’altare il corpo di un martire
chiamato Giustino, ma si pensa che, verosimilmente, sia un omonimo del Santo
venerato quest’oggi (Mariano Armellini, op. cit., p. 857).
Attualmente esiste una
chiesa dedicata al martire nel quartiere Alessandrino, costruita nel 1953 e
divenuta titolo cardinalizio nel 2003.
Secondo gli atti del
processo del martire, stando a quanto il nostro Santo dichiara al giudice che
lo interroga, egli risiedeva a Roma in una dimora di un tale Martino, presso le
Terme Novatiane, dette anche Terme Timotine o Timotiane,
che si possono collocare a via Urbana, Rione Monti. Si trattava di un complesso
termale privato fatto edificare, sembra, da Novato e Timoteo, figli di Pudente,
situate dove oggi vediamo la attuale Basilica di Santa Pudenziana; la valle che
separava il colle Viminale dal colle dell'Esquilino, era percorsa un tempo
dall'antico vicus Patricius, oggi via Urbana.
Qui, dunque, secondo la
notizia degli Atti, dovrebbe collocarsi la residenza romana del nostro
Santo, il luogo del suo insegnamento e probabilmente il luogo in cui compose le
sue Apologie. Tuttavia, alcuni storici pensano che il testo degli Atti
qui sia corrotto ed alcuni proporrebbero di leggere “bagni di Martino” o “bagni
Tiburtini” (v. Andrea Lonardo, Basilica di S. Pudenziana in Roma: S. Giustino martire filosofo e gli apologeti del II
secolo. I incontro del II anno del corso sulla storia della chiesa di Roma,
2009).
La messa è moderna e la
reminiscenze storiche vi abbondano. Si tratta di un filosofo che, dopo aver
vanamente cercato la verità nelle differenti scuole, stoiche, pitagoriche,
platoniche, ecc., di cui ognuna si disputava il monopolio, la trovò finalmente
nella follia di Cristo, che annuncia coraggiosamente, nelle sue Apologie,
ai Cesari ed al Senato. Da qui l’antitesi tra la saggezza umana e le scienze
divine che oggi, per il redattore della messa di san Giustino, è diventata il
ritornello di tutta la sua ingegnosa costruzione liturgica. I testi sono certo ben
scelti e ben combinati, ma manca nell’insieme un poco di quella spontaneità che
rende così belle, così fluide, le antiche composizioni liturgiche dei
Sacramentari romani.
La preghiera-colletta
odierna rivela molto bene l’elevata finalità che si propose Leone XIII offrendo
alla venerazione di tutta la Chiesa il filosofo Giustino. Questo Papa, per
salvare la società da una folla di errori, mirava a restaurare la filosofia
cristiana, riportando tutte le scuole cattoliche allo studio dell’Aquinate. Si
comprende le ragioni che aveva l’anziano Pontefice di favorire il culto verso
gli antichi dottori della Chiesa per i quali san Tommaso ebbe un sì religioso
rispetto.
Contrariamente all’uso
antico della liturgia romana, in virtù delle quale si riservava di preferenza
alle messe domenicali ed alle feste dei martiri, durante il ciclo pasquale, la
lettura dell’ultimo discorso di Gesù secondo san Giovanni, si legge oggi,
invece, un passo di san Luca (Lc 12, 2-8). La ragione di questa scelta è che Giustino
fu l’apologista della Chiesa delle Catacombe, vale a dire uno dei primi a far
conoscere agli imperatori ed al grande pubblico romano ed asiatico quello che,
sino ad allora, i capi della gerarchia ecclesiastica avevano, come in grande
segreto, rivelato alle orecchie degli iniziati, nella penombra dei cubicula dei cimiteri
sotterranei. Nella Chiesa, tutto è ordine e crescita. In origine, la fede era
per i soli fedeli, ma nel II sec., la Chiesa è già matura per prendere anche l’offensiva
contro i sapienti. Giustino, con le sue due apologie, apre, dunque, per
il cristianesimo come un periodo nuovo, ed offre il Vangelo alla discussione
del grande pubblico pagano, affinché il Sole di giustizia illumini oramai tutti
gli uomini di buona volontà.
Nella sua prima Apologia,
Giustino è il solo tra gli antichi autori ecclesiastici che, sollevando
prudentemente il velo che nascondeva ai non iniziati il Sacramento eucaristico,
ne spiega l’essenza, l’efficacia ed il rito ai pagani. L’autore della colletta
sull’oblazione si è ispirato a questo fatto, e ha di mira le calunnie dei
pagani che, forse perché avevano compreso male delle allusioni relative alla
realtà del Corpo del Salvatore nella divina Eucarestia, imputavano come un
crimine ai cristiani di nutrirsi nelle loro assemblee della carne di un
bambino. Questa concezione del volgare pagano è preziosa, del resto, per la
storia del dogma, poiché suppone la fede dei cristiani nella presenza reale del
santissimo Corpo di Gesù nell’Eucaristia.
Dobbiamo avere un grande
amore per la verità, poiché essa ci libera dall’errore e dalle passioni e ci
conduce a Dio. Dobbiamo dunque ricercare questa verità religiosamente e non per
vana curiosità; ricercarla fuori di noi ed in noi, poiché è assolutamente
necessario che noi siamo «veri» innanzitutto. Laddove, nel libro di Giobbe, la Vulgata legge: Erat ille homo rectus, altre versioni portano
questa: Erat
ille homo verus.
Come se non potesse esserci veramente un uomo se non possiede la pienezza della
rettitudine che Dio desidera da noi.
Per concludere, ci sia permessa una chiosa
finale.
S. Giustino è tra i santi più incompresi e manipolati nell’epoca postconciliare, soprattutto in ragione dei c.d. semina Verbi, un’espressione abusata e fraintesa, avulsa dal contesto, che è stata utilizzata, in maniera assolutamente impropria, persino per giustificare le novazioni in tema di matrimonio e famiglia da parte del card. Schönborn (v. qui). Come ricorda P. Scalese, che certo non può essere tacciato di tradizionalismo, uno dei maggiori patrologi del XX secolo, Berthold Altaner (Patrologia, Marietti, 7ª ed., 1977), a proposito di Giustino, che parla dei “germi del Verbo” nelle sue Apologie, scrive: «Con la sua teoria del λόγος σπερματικός [logos spermatikos] Giustino getta un ponte tra la filosofia antica e il Cristianesimo. In Cristo apparve, in tutta la sua pienezza, il Logos divino, ma ogni uomo possiede nella sua ragione un germe (σπέρμα) del Logos. Questa partecipazione al Logos, e conseguente disposizione a conoscere la Verità, fu in alcuni particolarmente grande; così nei Profeti del giudaismo e, fra i greci, in Eraclito e Socrate. Molti elementi della verità sono passati, così egli opina, nei poeti e nei filosofi greci dell’antica letteratura giudaica, poiché Mosè era ritenuto lo scrittore assolutamente più antico. Di conseguenza i filosofi, in quanto vissero e insegnarono conformemente alle regole della ragione, furono dei Cristiani, in un certo senso, prima della venuta di Cristo. Tuttavia solo dopo questa venuta i Cristiani sono entrati in possesso della verità totale e sicura, priva di ogni errore. Il pensiero teologico di San Giustino è fortemente influenzato dalla filosofia stoica e platonica» (pp. 70-71). Quanto a Eusebio, che compose un’opera dal titolo Praeparatio evangelica, che, secondo i modernisti vedrebbe nel paganesimo una sorta di preparazione evangelica, P. Scalese rammenta che Altaner scrive: «La Praeparatio evangelica (Εὐαγγελικὴ προπαρασκευή), in 15 libri, composta tra il 312 e il 322, vuole dimostrare ai catecumeni e ai pagani, forse scossi dagli attacchi di Porfirio, come i Cristiani abbiano avuto ragione nel preferire il Giudaismo al paganesimo. La “Filosofia degli Ebrei” è superiore alla cosmogonia e alla mitologia dei pagani. I sapienti pagani, soprattutto Platone, hanno attinto dall’A.T.» (ivi, p. 223).
S. Giustino è tra i santi più incompresi e manipolati nell’epoca postconciliare, soprattutto in ragione dei c.d. semina Verbi, un’espressione abusata e fraintesa, avulsa dal contesto, che è stata utilizzata, in maniera assolutamente impropria, persino per giustificare le novazioni in tema di matrimonio e famiglia da parte del card. Schönborn (v. qui). Come ricorda P. Scalese, che certo non può essere tacciato di tradizionalismo, uno dei maggiori patrologi del XX secolo, Berthold Altaner (Patrologia, Marietti, 7ª ed., 1977), a proposito di Giustino, che parla dei “germi del Verbo” nelle sue Apologie, scrive: «Con la sua teoria del λόγος σπερματικός [logos spermatikos] Giustino getta un ponte tra la filosofia antica e il Cristianesimo. In Cristo apparve, in tutta la sua pienezza, il Logos divino, ma ogni uomo possiede nella sua ragione un germe (σπέρμα) del Logos. Questa partecipazione al Logos, e conseguente disposizione a conoscere la Verità, fu in alcuni particolarmente grande; così nei Profeti del giudaismo e, fra i greci, in Eraclito e Socrate. Molti elementi della verità sono passati, così egli opina, nei poeti e nei filosofi greci dell’antica letteratura giudaica, poiché Mosè era ritenuto lo scrittore assolutamente più antico. Di conseguenza i filosofi, in quanto vissero e insegnarono conformemente alle regole della ragione, furono dei Cristiani, in un certo senso, prima della venuta di Cristo. Tuttavia solo dopo questa venuta i Cristiani sono entrati in possesso della verità totale e sicura, priva di ogni errore. Il pensiero teologico di San Giustino è fortemente influenzato dalla filosofia stoica e platonica» (pp. 70-71). Quanto a Eusebio, che compose un’opera dal titolo Praeparatio evangelica, che, secondo i modernisti vedrebbe nel paganesimo una sorta di preparazione evangelica, P. Scalese rammenta che Altaner scrive: «La Praeparatio evangelica (Εὐαγγελικὴ προπαρασκευή), in 15 libri, composta tra il 312 e il 322, vuole dimostrare ai catecumeni e ai pagani, forse scossi dagli attacchi di Porfirio, come i Cristiani abbiano avuto ragione nel preferire il Giudaismo al paganesimo. La “Filosofia degli Ebrei” è superiore alla cosmogonia e alla mitologia dei pagani. I sapienti pagani, soprattutto Platone, hanno attinto dall’A.T.» (ivi, p. 223).
Per cui,
conclude P. Scalese che «i Santi Padri non rinvengono alcun “germe del Verbo”
nella religione pagana, né considerano questa una “preparazione al Vangelo”.
Tali immagini vengono da loro applicate non alla religione, ma alla cultura del
tempo, in particolare alla filosofia e alla poesia, le quali, secondo loro,
avrebbero attinto a Mosè. I primi cristiani non hanno mai fatto proprio alcun
elemento della religione pagana, mentre non si sono fatti scrupolo di adottare
le categorie dell’ellenismo addirittura per esprimere la loro fede. La
preoccupazione dei cristiani dei primi secoli non era il dialogo
interreligioso, ma l’inculturazione del Vangelo» (P. Giovanni Scalese, Semina Verbi, 2011).
Nicola Gliri, S. Giustino, XVII sec., Barletta |
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