Stamane si è
dato conto della nuova legge sul c.d. divorzio breve, approvata – in via
definitiva - alla Camera lo scorso 22 aprile con 398 voti a favore, 28 contrari
e 6 astenuti. La legge è stata promulgata dal presidente della Repubblica, che
pur si definisce “cattolico”.
La proposta –
ora legge – era stata lanciata dagli on.li Alessia Morani (v. anche qui) e Luca D’Alessandro,
che, pur appartenendo formalmente a schieramenti politici diversi, mostrano
come, ormai, certi principi siano divenuti dominanti anche in chi dovrebbe pur
professarsi cattolico.
Ora, gli stessi
proponenti hanno avanzato l’ulteriore proposta di una sorta di “divorzio
anticipato” o “preannunciato”, volto a rendere – di fatto – il matrimonio
quella farsa che è presso i divi di Hollywood, i quali si sposano e si
arricchiscono divorziando in ragione dei “patti prematrimoniali” nei quali sono
previste – anticipatamente – laute caparre e penali nel caso in cui un coniuge
volesse svincolarsi (v. qui).
Davvero si sta
puntando alla demolizione totale del matrimonio sia quale patto coniugale sia
quale sacramento.
Il divorzio
matrimoniabile
di Tommaso Scandroglio
Gli onorevoli Alessia Morani (Pd) e
Luca D’Alessandro (Fi) sono i primi firmatari del cosiddetto divorzio breve.
Sei mesi, al massimo un anno e si può buttare nell’inceneritore legale il
proprio matrimonio. Gli stessi Morani e D’Alessandro stanno cercando di far
approvare un altro disegno di legge volto all’uxoricidio legalizzato, quello
concernente i patti prematrimoniali.
Il Ddl prevede l’inserimento nel Codice
Civile del seguente articolo, l’art. 162 bis: «I futuri coniugi, prima di
contrarre matrimonio, possono stipulare un patto prematrimoniale in forma
scritta diretto a disciplinare i rapporti patrimoniali in caso di separazione
personale, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio».
In buona sostanza si tratta di questo:
prima di sposarsi i nubendi mettono per iscritto le loro volontà in merito ai
rapporti patrimoniali in caso di separazione o divorzio. Ad esempio possono
decidere che una volta che si sono detti addio, l’uno versi all’altra una somma
di denaro periodica, oppure le lasci in affitto una casa, oppure rinunci al
mantenimento dell’altra parte salvo il diritto agli alimenti, oppure escluda «il coniuge della successione
necessaria», come leggiamo nel testo del disegno di legge.
Quindi dopo il divorzio breve ecco il
divorzio anticipato, preannunciato. Accordi prematrimoniali che guardano al
postmatrimonio e nel mezzo ci affidiamo alla buona sorte. Divisi prima e dopo,
con una breve pausa di vita a due tra il prima e il dopo. Un bel paradosso. Da
un punto di vista giuridico questo disegno di legge potrebbe essere letto come
antinomico rispetto alla previsione dell’art. 108 cc in cui si afferma che il
matrimonio non può essere sottoposto né a termine né a condizioni.
Vero è che gli accordi prematrimoniali
del Ddl non prevedono che i nubendi possano decidere che dopo un certo lasso di
tempo divorzieranno, bensì solamente che, in caso di divorzio, gestiranno le
loro relazioni patrimoniali in un certo modo. Né le condizioni previste dal Ddl
sono quelle dell’art. 108 e dell’art. 160: i nubendi non possono mutare a loro
arbitrio i diritti e doveri inderogabili del matrimonio. Comunque, detto tutto
ciò, già ventilare l’ipotesi prima di sposarsi che si possa divorziare è un po’
come fare entrare il divorzio stesso non dalla porta principale della casa dei
coniugi Rossi, ma di certo da quella sul retro.
L’aspetto però più inquietante non è da
rilevarsi sul piano giuridico, ma su quello etico e culturale. Dal punto di
vista della morale naturale, accettare l’ipotesi di divorzio, così come fa il
Ddl qui in esame, significa provocare la nullità del matrimonio che si andrà a
celebrare. Infatti, non solo secondo il Codice di diritto Canonico ma anche
alla luce della legge naturale, il matrimonio esige dai nubendi l’accettazione
della proprietà dell’indissolubilità. O vuoi una relazione che duri per sempre
e rifiuti qualsiasi ipotesi di divorzio – e allora chiameremo questa relazione
“matrimonio” – oppure non la vuoi – e allora dovremo chiamarla “convivenza”.
Sul piano culturale c’è poi da rilevare che tale Ddl promuove una serie di
disvalori preoccupanti.
Il matrimonio diventa sempre più una
relazione precaria, a tempo determinato, con la data di scadenza come se fosse
uno yogurt. In secondo luogo il favor giuridico non interessa più l’istituzione
del matrimonio, bensì quella del divorzio, con uno strambo rovesciamento delle
priorità. In altre parole non siamo più in presenza di un matrimonio
divorziabile, ma di un divorzio matrimoniabile. Prima ti assicuro che puoi
divorziare e poi potrai decidere di sposarti in tutta tranquillità.
Il matrimonio non fa nascere una
coppia, bensì due individui legati da patti giuridici basati sulla reciproca
diffidenza. Dunque bisogna pararsi le spalle, prevenire trappole e infedeltà,
tutelarsi dallo spread dell’amore che sale e scende in modo imprevedibile. Il
matrimonio è tutto sommato un affare, che inizia, come ogni impresa
commerciale, con molte speranze, buoni propositi ed ottimi sentimenti, ma che
poi – non è colpa di nessuno – può naufragare. Perché c’è crisi economica, ma
anche affettiva. L’immagine allora che questo Ddl restituisce del matrimonio è
quella grottesca dei due piccioncini che il giorno delle nozze al momento dello
scambio delle fedi si scambiano anche gli accordi prematrimoniali. “Perché, cara, è vero che ti amo – dice lui a lei – ma non si sa mai”.
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