Quella che un tempo era la figlia prediletta della
Chiesa ha deciso irrimediabilmente, in una stolta lotta contro Dio, la
religione e la Chiesa, di tagliare definitivamente le proprie radici cristiane,
per la verità già disseccatesi da almeno 226 anni (v. qui e qui. Cfr. M. Matzuzzi, Parigi non vale una messa).
Ciò non rafforzerà – come credono gli stolti – l’unità
di quel paese, ma segnerà la sua rovina, divenendo facile preda delle
intemperie. Recise le radici ed ogni legame con ciò che era la vera storia
della Francia, che è cristiana e religiosa, i francesi saranno – come aveva
anche preannunciato il beato Charles de Foucauld – scacciati dalla loro stessa
terra da chi è più forte di loro (v. qui).
Nella memoria liturgica di S. Antonino da Firenze,
vescovo e confessore, posto quest’articolo, che fa riflettere sulla stoltezza
dei governanti d’Oltralpe.
S. Antonino Pierozzi da Firenze, Basilica di S. Maria del Fiore, Firenze |
La Francia elimina le croci e fa seccare le sue radici
Perseguitare per legge la tradizione religiosa è peggio di un delitto:
dietro ai presepi e alle statue c’è la fede
A Rennes, nei giorni scorsi (v. anche qui), una statua di San Giovanni
Paolo II è stata rimossa per ordine tribunalizio: troppa ostentazione nel segno
della croce, par di capire... Non si comprende bene che cosa un santo, per di
più papa, debba avere come simbolo: caramelle per le bambine, forse, pistole ad
acqua per i maschietti, magari, di certo né croci e nemmeno santini, che, a ben
guardare, altro non sono se non una propaganda religiosa mascherata. Secondo
un dossier dell’Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani
in Europa, la Francia è in testa nella classifica dell’oltraggio e, come ha
riportato Il Foglio commentando la notizia, c’è ancora chi, un candidato
comunista a Bordeaux, chiede la chiusura delle parrocchie e delle scuole
cattoliche in quanto «fortini di fondamentalismo religioso». La Francia, si sa,
è un Paese laico, ma essere laici non ha mai impedito di restare cretini. A
inizio Ottocento un giovane autore che si chiamava Chateaubriand scrisse Le
Génie du Christianisme e, in una nazione dove la Dea Ragione aveva combinato
disastri durante la Rivoluzione dell’89, sancì di nuovo e con più forza il
rapporto che c’è fra un popolo e la sua storia, le tradizioni, il culto delle
tombe e della memoria. Prima della Francia dei Lumi, insomma, c’era stata la
Francia di San Dionigi, di San Luigi re e di Giovanna d’Arco, delle cattedrali
gotiche e delle trappe, delle orazioni funebri intorno al defunto e,
naturalmente, i dipinti, le musiche, i libri, le architetture che disegnavano
un panorama composito che aveva saputo inglobare il mondo pagano precedente e
dar luogo a una religione che si era inserita, innervandola, nella storia
nazionale.
Dimenticarsene, era peggio di un delitto: era un errore
sociale, politico, culturale. Due secoli dopo, siamo come due secoli prima, ma
non staremo qui a scomodare lo «scontro di civiltà», la difesa delle libertà
minacciate e, va da sé, quel «siamo tutti Charlie» echeggiato prepotentemente a
ridosso del sanguinoso raid nella sede del giornale satirico parigino,
culminato nella marcia pubblica dell’11 gennaio e poi più o meno
frettolosamente archiviato. Una marcia, sia detto per inciso, dove i volti
compunti degli Hollande e dei Sarkozy di turno, quel loro calarsi nella parte
per rubarsi l’un l’altro la parte, sarebbero stati per noi motivo sufficiente
per starsene a casa. E ancora, sempre per inciso, qualcuno avrebbe anche dovuto
ricordare che i primi a «non essere Charlie» erano stati proprio quegli stessi
redattori e vignettisti del settimanale Charlie Hebdo, specializzatisi negli
anni precedenti in raccolte di firme e petizioni contro il Front National,
ovvero, semplicemente, contro il diritto di pensarla diversamente da loro...
No, la questione è un’altra ed è che tutte le civiltà cominciano a morire quando
non credono più in se stesse, quando si vergognano dei propri simboli
identitari, quando cavillano e si affidano a giudici, avvocati, tribunali per
sancire la liceità di questo e di quello. Dietro alle statue delle Madonne
rimosse, ai presepi considerati focolai di discriminazione, ai crocifissi nelle
scuole «bastonati» come fossero armi improprie, c’è una babele ideologica che è
la prima e la più forte avvisaglia di un’incapacità a vedersi come comunità
nazionale, come coesione interna, come sistema di valori. Laicismo e
religiosità si sono sempre contrapposti, anche aspramente, in Francia, e la
legge che sancisce la separazione fra Stato e Chiesa arrivò lì ai primi del
Novecento e fu fonte di lacerazioni, contrasti, scomuniche. Ma nel corso del XX
secolo la secolarizzazione è andata avanti a passo di carica, aiutata da una
modernità che tanto più distruggeva il passato, tanto più dissolveva legami e
consuetudini, favoriva l’anonimia, spostava il baricentro dalla famiglia all’individuo.
È anche per questo che in Francia, come altrove, del resto, il processo di
sgretolamento è inizialmente apparso come l’ulteriore, definitiva vittoria dei
diritti sui doveri, fino a raggiungere la stupefacente realtà della politica
contemporanea in cui non esiste più una nazione a cui dover rendere conto, ma
dei clienti-elettori a cui dare qualcosa in cambio del voto. L’aziendalismo
politico attuale è la maschera con cui l’economia esercita il suo dominio
facendo finta che ci siano ancora presidenti, capi di governo, deputati, senatori…
Non sarà certo una statua o una croce in più o in meno a cambiare la
situazione, perché l’errore sta proprio nell’isteria legalitaria con cui si
pensa di guidare e/o formare i meccanismi che stanno alla base del vivere
sociale. Un’orgia di rispetto costituzionale che fa a pugni con il buon senso,
con la pratica consolidata, con la stessa libertà di dissentire e di non essere
d’accordo, un feticismo delle regole e della correttezza politica che maschera
il vuoto di ciò che c’è sotto, l’assoluta incapacità di essere in sintonia con
i bisogni profondi di un Paese. Non è necessario svuotare le cattedrali dei
loro fedeli, è sufficiente svuotare i fedeli nella fede, non religiosa, in un
destino comune. Il resto viene da sé, ma senza radici non sono solo le piante a
marcire al sole. Dell’avvenire, naturalmente.
Fonte: Il Giornale, 7.5.2015
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