Questa data ricorda il recupero della santa
Croce, al tempo dell’imperatore Eraclio ed il dono che ne fece questi, verso il
629, a
Zaccaria, patriarca della città di Gerusalemme, da dove, qualche anno prima, i
Persiani l’avevano prelevata per trasportarla presso di loro. Questa festa fu
accolta con favore nelle diverse liturgie occidentali, mentre in Oriente quella
dell’Exaltatio
Sanctæ Crucis
restò la sola in onore; in questo giorno qui, ogni anno, in ricordo della
scoperta del legno sacro, avvenuta il 14 settembre 320, lo si mostrava solennemente
al popolo.
In seguito, i Latini confonderanno l’oggetto
delle due feste; il recupero della Croce fu identificato con l’Exaltatio del 14 settembre e la
solennità del 3 maggio fu consacrato a celebrare la sua scoperta sotto
Costantino. Bisogna d’altronde osservare che l’Esaltazione fu accolta piuttosto
tardivamente nel Sacramentario di Adriano, perché questo giorno, a Roma, era
quello del natale di san Cornelio.
Il Liber Pontificalis è il più antico documento
romano a legare la scoperta della santa Croce al 3 maggio, in dipendenza del
testo latino della leggenda di Giuda Ciriaco (L. Duchesne, Le Liber
Pontificalis, Coll. Bibliothèque des Ecoles Françaises d’Athènes et de Rome, tomo 1, Paris
1886, p. 167). Lo storico della liturgia Antoine Chavasse ha
mostrato come la festa dell’Inventio Crucis,
di origine orientale, era stata introdotta dal primo quarto del VI sec. in diversi
tituli romani, senza
riuscire a penetrare nella liturgia papale (A. Chavasse,
Le Sacramentaire Gélasien, Paris
1958, pp. 350-364). La si trova nel VII sec. nei sacramentari gelasiano e
gregoriano. La sua celebrazione è attestata in maniera costante a Roma tra il
IX ed il XII sec.
L’antifonario
di San Pietro corrobora la visione di Chavasse sulla dipendenza della festa
dell’Inventio S. Crucis rispetto alla
leggenda di Giuda Ciriaco, poiché due antifone ne sono tratte: Orabat Judas e Cum orasset Judas (Queste due antifone non sono proprie all’antifonario
del Vaticano. Si trovano in numerosi manoscritti: v. R. J. Hesbert,
Corpus Antiphonalium Officii, tomo 3,
Roma 1968, nn. 2020 e 4172. Sulla storia del culto della Santa Croce, v. A. Frolow, La relique de la Vraie Croix, recherches sur
le développement d’un culte, Paris 1961, e, dello stesso autore, Les reliquaires de la Vraie Croix, Paris
1965). Tanto in Vaticano quanto al Laterano si celebrava
al Mattutino i due primi notturni dei santi martiri Alessandro, Evenzio e Teodulo
ed il terzo della santa Croce (cfr. Pierre Jounel, Le Culte des Saints
dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française
de Rome, Palais Farnèse, 1977, p. 235).
La messa odierna è posteriore al periodo
gregoriano: per questo le antifone dell’Introito e dell’Offertorio sono tratte
da altre messe più antiche.
La colletta di oggi si trova già nel Gelasiano e
fa allusione alla resurrezione del defunto sul quale il vescovo di Gerusalemme
depose la vera Croce per distinguerla da quella dei due ladroni. I prodigi
compiuti nella passione di Gesù sono le differenti risurrezioni dei patriarchi
e dei santi di Gerusalemme nel momento in cui il Salvatore spirò sulla Croce.
La festa della santa Croce, nel mezzo degli
splendori del tempo pasquale, offre un profondo significato liturgico. Il
Signore chiama la sua crocifissione il giorno del suo trionfo e della sua
esaltazione, e ciò è vero. Sulla Croce vinse la morte, il peccato ed il
demonio, e su questo legno trionfale innalzò il suo nuovo trono di grazia, di
misericordia e di salvezza. Questo è il senso del melodioso canto alleluiatico
tratto, oggi, dal Sal. 96 (95): «Il Signore regnò
dal legno». Questa
versione, però, non corrisponde più al testo ebraico attuale; esso ci è stato
trasmesso attraverso gli antichi Padri, come san Giustino, che accusarono i
Giudei di averlo mutilato (Cfr. san Giustino,
Dial. Trifone, 73, 1; Tertulliano, Contro i Giudei, X).
Già la Lettera di Barnaba, del resto,
insegnava che «il regno di Gesù è sul legno» (VIII, 5: I Padri Apostolici, Roma 1984, p. 198) ed il martire san Giustino,
citando quasi integralmente il Salmo nella sua Prima Apologia, concludeva invitando tutti i popoli a gioire perché
«il Signore regnò dal legno» della Croce (Gli
apologeti greci, Roma 1986, p. 121). Su questo terreno è fiorito l’inno del
poeta cristiano Venanzio Fortunato, Vexilla
regis, in cui si esalta Cristo che regna dall’alto della Croce, trono di
amore e non di dominio: Regnavit a ligno Deus.
Troviamo una prova che la messa non è tratta dal
Sacramentario Gregoriano nel fatto che il Vangelo (Gv 3, 1-15) non è tratto
dall’ultimo discorso di Gesù, da dove l’uso romano attingeva di preferenza
durante il ciclo pasquale. La scelta è stata tuttavia felice, perché il
serpente di bronzo alzato da Mosé nel deserto è un tipo profetico dell’Exaltatio Sanctæ Crucis festeggiato oggi, ed
indica un’epoca dove si celebrava ancora, il 3 maggio, l’originaria esaltazione
della vera Croce, dovuta all’imperatore Eraclio.
La colletta sulle oblate, tratta dal
Sacramentario Gelasiano, rivela dei tempi agitati dalle guerre e dalle
invasioni nemiche, probabilmente quelle dei longobardi.
Il Prefazio è in onore della Croce come nell’ultima
quindicina della Quaresima.
L’antifona della Comunione rivela essa stessa la
preoccupazione che dominava gli spiriti quando, nel Sacramentario Gelasiano, fu
accolta la festa di questo giorno, vale a dire quella di ottenere il soccorso
dal cielo contro gli invasori del Ducato romano.
Dio ha amato accordare una così grande virtù al
segno della croce, che è sufficiente benedire i fedeli per mettere i demoni in
fuga e procurare alle anime devote delle grazie abbondanti. Gli antichi avevano
una tale devozione per il segno della croce che, a dire dei Padri, non
cominciavano mai nessuna azione senza esserne muniti. Giuliano l’apostata, durante
un sacrificio pagano, mise, si dice, parecchie volte il demonio in fuga, perché
istintivamente, alla sua prima apparizione, aveva lui stesso usato il segno
della salvezza. Riferisce la notizia San Gregorio
Nazianzeno, Oratio IV, Adversus Julianum imperatorem
prior Invectiva, nn. 55-56: «Ad crucem confugit, eaque se adversus terrores
consignat, eumque quem persequabatur in auxilium adsciscit. Valuit signaculum,
cædunt dœmones, pelluntur timorés. Quid deinde? reviviscit
malum, rursus ad audaciam redit; rursus aggreditur; cursus iidem terrores
urgent, sursus obiecto signaculo dæmones conquiescunt,
perplexusque hœret discipulus» (in PG 35, col. 531 ss.,
partic. coll. 578-579).
Al fatto allude anche Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, allorché, in una sua
opera, riprendendo Gregorio di Nazianzio, ricorda che: «Giuliano
apostata, benché fosse nemico
di Gesù Cristo, nondimeno, sapendo
la virtù del segno della croce,
quando era atterrito da’ demoni
segnavasi colla croce, e i demoni
fuggivano» (Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, La vera sposa di Gesù Cristo, cioè la
monaca santa per mezzo delle virtù proprie d’una religiosa, Napoli 1760-61,
ora in Opere Ascetiche, Voll. XIV-XV,
CSSR, Roma 1935, p. 52).
Nel Medioevo non si cominciava nessuno scritto
pubblico, iscrizione, legge, ecc., senza aver tracciato prima la croce. Questa
teneva luogo della firma per coloro che non sapevano scrivere, e precedeva
spesso quella degli ecclesiastici. In numerose campagne, si giungeva perfino a
segnare di una croce la pasta ed il pane prima di cuocerli. E tale usanza sopravvive
talora anche nel Sud Italia.
A Roma, sulle porte della Città restaurata
durante il periodo bizantino, si vedono ancora graffiti, che
rappresentano la croce greca, la quale si trova anche sugli orifizi delle
cisterne e dei vecchi pozzi, sulle bocche dei forni e sugli oggetti domestici.
Fino ancora al periodo prima della II Guerra Mondiale, per far apprendere le
lettere e le sillabe ai bambini, si adoperava un piccolo libro intitolato Santa Croce a causa del segno di
salvezza che, secondo una tradizione di più di quindici secoli, precedeva l’alfabeto.
L’antichità ci ha trasmesso anche dei reliquiari
a forma di croce su cui si incidevano talvolta delle formule di esorcismo; abbiamo
per esempio una croce d’oro raccolta dallo stesso Pio IX in una tomba del
cimitero di Ciriaco.
La più celebre di queste croci con formula di
esorcismo è quella che è conosciuta sotto il nome di medaglia di san Benedetto
e di cui l’efficacia è oggi ancora sperimentata con successo contro le insidie
del demonio. Ma si potrebbe ricordare anche quella, non meno efficace per lo
stesso scopo, di sant’Antonio di Padova.
Lodovico Cardi detto il Cigoli, L'imperatore Eraclio porta la Croce a Gerusalemme, 1594, Chiesa di S. Marco, Firenze |
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