Sante Messe in rito antico in Puglia

lunedì 25 maggio 2015

“Nam, potens ópere et sermóne, ecclesiásticæ disciplínæ reparándæ, fídei propagándæ, libertáti Ecclésiæ restituéndæ, exstirpándis erróribus et corruptélis tanto stúdio incúbuit, ut ex Apostolórum ætáte nullus Pontíficum fuísse tradátur, qui majóres pro Ecclésia Dei labóres molestiásque pertúlerit, aut qui pro ejus libertáte ácrius pugnáverit” (Lect. V – II Noct.) - SANCTI GREGORII VII, PAPÆ ET CONFESSORIS



La storia di questo Papa coraggiosissimo, un tempo abate zelatissimo del monastero di San Paolo a Roma, offre numerosi punti di somiglianza con quella del grande sant’Atanasio, poiché, se questi fu, nel IV sec., l’invincibile campione della divinità del Verbo, nell’IX sec., quando la Chiesa giaceva, avvilita, ai piedi del trono germanico, al quale l’aveva asservita l’incapacità, l’incontinenza e la venalità di un gran numero di suoi ministri, Gregorio si levò arditamente e, riponendo la sua fiducia in Dio, solo contro tutti, combatté con coraggio per la libertà della sposa mistica del Salvatore. Atanasio aveva errato sulla terra, senza trovare un luogo sicuro dove sfuggire alle insidie del mondo intero in congiura contro di lui; Gregorio, dal canto suo, detestato dai suoi nemici, incompreso dai suoi stessi amici, senza risorse e senza alcun aiuto umano, s’abbandonò completamente a Dio, portato sulle ali della sua fede e sopportò con coraggio l’incendio della metropoli pontificia, le collere popolari sino alla morte in esilio.
Le ultime parole dell’intrepido Pontefice mostrano bene la tempra energica della sua anima: «Dilexi justitiam et odivi iniquitatem, propterea morior in exilio» «Ho amato la giustizia ed ho odiato l’iniquità: per questo muoio in esilio», sono nella prima parte le parole del Sal. 45 (44). Il salmo prosegue «perciò Dio mi unse con olio di esultanza», ma il Papa concluse con amarezza «per questo muoio in esilio».
Egli non si pente del suo passato; alla soglia dell’eternità, il suo giudizio sugli uomini e sui tempi non differiscono da quello che egli si formò durante la sua vita; Gregorio benedì colui che si prosternò davanti alla sua autorità pontificale, ma, nel momento stesso di entrare in Cielo, ne chiuse risolutamente le porte all’imperatore Enrico IV, ai suoi ministri ed a quelli che negavano di sottoporsi alla sua autorità apostolica (+ 1085).
Roma cristiana conserva ancora molti ricordi di questo Papa energico e coraggioso. Nacque ai piedi del Campidoglio, presso la diaconia di Santa Maria in Porticu, che fece restaurare quando fu pontefice e di cui consacrò l’altare maggiore. Giovane, Ildebrando professò la Regola del patriarca di Montecassino nel piccolo monastero di Santa Maria all’Aventino, laddove si eleva oggi il priorato dei Cavalieri di Malta. Il suo benamato maestro, Graziano, essendo divenuto papa sotto il nome di Gregorio VI, Ildebrando l’accompagnò dapprima al Laterano, poi, dopo la sua abdicazione, lo seguì sul cammino dell’esilio in Germania. Ritornato a Roma con il papa lorenese san Leone IX del quale fu consigliere, Ildebrando, nel 1049, fu nominato da lui abate (Provvisor Apostolicus dell’Abbazia) di san Paolo, dove restaurò la disciplina monastica decaduta, e fece elevare i monaci ad una altezza di virtù che, nelle sue lotte posteriori per la libertà della Chiesa, egli mise un’immensa confidenza nelle loro sante preghiere.
Per onorare la basilica dell’apostolo, Ildebrando, Provvisor Apostolicus, aiutato dal console Pantaleone de Comite Maurone (Mauroni) d’Amalfi (questi apparteneva ad una delle famiglie più importanti di Amalfi, non tanto per il ruolo politico ricoperto quanto per il vasto “impero” commerciale gestito in diverse città del Mediterraneo, tra le quali Costantinopoli, dove addirittura gli amalfitani occupavano un proprio intero quartiere affacciato sul Corno d’Oro. Pantaleone, che già aveva donato al duomo della sua città, dei battenti bronzei analoghi, si fece carico della spesa, nonostante, in quei tempi, i rapporti con Roma non fossero amichevoli), fece fondere, nel 1070, a Costantinopoli due grandi porte di bronzo ricoperte di argento, che esistono ancora. Sui due battenti, in altrettanti scompartimenti (ben 54!), sono rappresentati le differenti scene della vita del Salvatore, degli Atti degli Apostoli e del loro martirio, oltre a figure di profeti. Questo prezioso lavoro fu eseguito, come dice l’epigrafe dedicatoria:

ANNO • MILLESIMO • SEPTVAGESIMO • AB • INCARNATIONS • DNI • TEMPORIBVS
DNI • ALEXANDRI • SANCTISSIMI • PP • QVARTI • ET • DNI • ILDEPRAN
DI • VENERABILI • MONACHI • ET • ARCHIDIACONI
CONSTRVCTE • SVNT • PORTE • ISTE • IN • REGIA • VRBE • CONP
ADIVVANTE • DNO
PANTALEONE • CONSVLEI • QVI
ILLE • FIERI • IVSSIT

L’abbazia di San Paolo conserva un’altra preziosa reliquia di Gregorio VII: la meravigliosa bibbia di Carlo il Calvo, magnificamente miniata, e che Gregorio VII aveva ricevuto in dono da Roberto il Guiscardo, a titolo di omaggio di fedeltà alla sede di san Pietro. In effetti, nella prima pagina, si legge il giuramento del Normanno al Pontefice; questi volle che la custodia di questo importante e prezioso manoscritto fosse affidata ai cari monaci dell’abbazia di San Paolo.
All’interno di questo monastero si trova un grazioso oratorio solennemente consacrato, ricco di indulgenze e di sante reliquie, e dedicato al santo Pontefice. Questo è forse il solo santuario al mondo che sia eretto alla memoria di san Gregorio VII.
Nell’ecclesia Pudentiana si trova un’iscrizione che ci attesta che questa chiesa fu restaurata sotto il pontificato di san Gregorio VII:

TEMPORE • GREGORII • SEPTENI • PRAESVLIS • ALMI

Nella cripta della basilica di Santa Cecilia a Trastevere, si conserva l’iscrizione commemorativa della dedicazione di un altare che lo menziona ugualmente. Il cippo di marmo, piazzato sotto l’altare maggiore dell’antica diaconia in Porticu Gallatorum, è ancora più importante; vi si legge una lunga iscrizione che comincia con i versi seguenti:

SEPTIMVS • HOC • PRAESVL • ROMANO • CVLMINE • FRETVS
GREGORIVS • TEMPLVM • CHRISTO • SACRAVIT • IN • AEVVM

Segue una lunga lista di reliquie deposte in questa circostanza nell’altare dal grande Pontefice.
Nella raccolta di iscrizioni di Pietro Sabino, nel XV sec., si trova un’epigrafe copiata in domo cujusdam marmorarii ad radices caballi e che menziona anche Gregorio VII:

TEMPORE • QVO • GREGORIVS • ROMANAE • VRBIS • SEPTIMVS
AD • LAVDEM • MATRIS • VIRGINIS • SIMVLQVE • ALMI • BLASII

È difficile identificare questa chiesa di San Biagio, poiché molte erano dedicate a Roma, in quel tempo, a questo celebre martire armeno. Quello che scrive lo storico protestante Ferdinand Gregorovius nella sua Storia della Città eterna (Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter) è dunque inesatto, quando condanna quasi il nostro Pontefice alla damnatio memoriae, accusandolo di non aver fatto nulla per salvare Roma dalla devastazione della conquista di Enrico IV e dal saccheggio delle truppe “amiche” normanne di Roberto il Guiscardo (contrapponendo così questo Pontefice al predecessore Gregorio Magno, che salvò Roma dai longobardi), e pretendendo che Roma non conservi più nulla di lui. No, essa, al contrario, custodisce ancora di Gregorio dei ricordi preziosi, delle reliquie, una parte del suo Registrum epistolarum, e qualche monumento epigrafico; di più, se il suo corpo giace in esilio a Salerno, lo spirito del grande Papa vola ancora intorno alle basiliche degli apostoli Pietro e Paolo, poiché il pontificato romano continua sempre, incrollabile, la grande missione di Ildebrando, missione di libertà e di santità, per la salvezza dei redenti.
Morto a Salerno il 25 maggio 1085, non fu oggetto di alcun culto prima che il Baronio ne inserisse il suo elogio nel martirologio del 1584: Ecclesiasticam libertatem a superbia principum suo tempore vindicavit, et viriliter pontificia auctoritate defendit. Il Papa Paolo V autorizzerà la celebrazione della sua festa a Salerno nel 1609. Clemente XI l’estese alle basiliche romane ed all’ordine benedettino nel 1719.
L’ufficio di san Gregorio VII fu esteso nel 1728 da Benedetto XIII alla Chiesa universale come rito doppio; incontrò tuttavia una forte opposizione nel nord dell’Italia, in Francia, nei Paesi Bassi e in Austria, opposizione che durò quasi un secolo. Odiato durante la sua vita dai partigiani della supremazia del potere civile e dai nemici della libertà e della santità della Chiesa, Gregorio, più di seicento anni dopo la sua morte, ritrovò dinanzi a lui passioni, rancori ed odi che non erano stati sopiti durante tutto il tempo trascorso. Ma quest’odio incarnato dai nemici della Chiesa contro il grande Pontefice costituisce precisamente la più gloriosa aureola attorno alla sua fronte, poiché il suo stesso nome è il programma ed il simbolo della santità e della libertà della Sposa di Cristo. Questa venera Gregorio tra i santi, mentre gli empi maledicono il suo stesso ricordo.
Anche oggi l’opera di questo vero Vicario di Cristo è misconosciuta ed odiata. Ad es., c’è anche chi, sbagliando, parlando ai nostri tempi del celibato sacerdotale, quasi che si tratti di un “problema da risolvere”, afferma che esso nacque nel X sec., cioè proprio all’epoca del nostro santo. Meglio, il riferimento è giusto al pontificato del nostro papa Ildebrando. All’interno della Chiesa, in effetti, quel santo pontefice dové affrontare – e curare – grazie anche al contributo di san Pier Damiani, due piaghe virulente, generate proprio dalle commistioni del clero col potere laico: il concubinaggio ovvero il fatto che diversi sacerdoti e prelati, in maniera sacrilega, violando le loro promesse, vivevano in maniera illecita con donne; e la simonia, ovverosia la “vendita delle cose sacre”.
Per risolvere questi problemi, Gregorio VII non intervenne allargando le maglie e limitando il celibato sacerdotale. Al contrario, intervenne con grande durezza per riportare la santità del clero e riportare i sacerdoti alla santità, mediante il totale distacco dai beni e dai sensi, affinché fossero consacrati interamente a Dio ed alla sua causa. E ci riuscì.
Quando però salirono al soglio pontificio papi più deboli, e talora dalla condotta di vita personale non esemplare, il problema tornò a presentarsi. San Gregorio, del resto, non impose una legge nuova, ma richiamò all’osservanza della vecchia legge della Chiesa, che era la legge di Dio. Egli conosceva bene la lode riservata dall’Apocalisse a coloro che si dedicano alla sequela totale dell’Agnello: «Questi non si sono contaminati con donne, sono infatti vergini e seguono l’Agnello dovunque va. Essi sono stati redenti tra gli uomini come primizie per Dio e per l’Agnello» (Ap. 14, 4). I sacerdoti, “redenti tra gli uomini”, che “non si sono contaminati con donne”, e sono dunque “vergini”, e “seguono l’Agnello dovunque va”, sono considerati “primizie per Dio e per l’Agnello”.
Le spoglie mortali dell’eroico Pontefice riposano oggi ancora in esilio nella cattedrale di Salerno, poiché nessuno ha mai osato toglierle da quel luogo in cui Gregorio soccombé alle fatiche ed alle prove del suo pontificato. Di fatto, l’esilio è il suo luogo storico; è il fondo del quadro da dove emerge e su cui si stacca mirabilmente la sua nobile figura di atleta della libertà della Chiesa e della santità del sacerdozio.
La messa, anteriore al 1942, era dal Comune dei Pontefici, Statuit, con la lettura evangelica tratta da san Matteo (Mt 24, 42-47). Il Signore ha stabilito i vescovi come sorveglianti della sua casa, durante la sua assenza. Questo è il loro ufficio: vegliare al fine di poter provvedere ai bisogni spirituali dei loro compagni di servizio e di dissipare le insidie di Satana, che senza sosta gira intorno al gregge per massacrarlo. Il Signore tornerà la notte, all’improvviso. Beati coloro che la morte troverà attivi al proprio posto.
La colletta è propria ed evidenzia il segreto di tanta tenacità ed intrepidezza da parte di Ildebrando. Egli confidava in Dio e Dio è più forte di Enrico IV e dei suoi ausiliari. Come osserva l’apostolo san Pietro, il Signore accorda una grazia insigne ad un’anima quando la fa soffrire molto per la causa di Dio. In effetti, poiché tutte le nostre perfezioni consistono nell’imitazione di Gesù Cristo, nulla fa partecipare così intimamente al suo spirito che la croce e la sua sofferenza per Dio stesso.
Dal 1942, la messa è dal Comune dei romani Pontefici.

Eduard Schwoiser, Enrico IV a Canossa, 1852, Stiftung Maximilianeum, Monaco

Saverio Dalla Rosa, S. Anselmo designato vescovo da S. Gregorio VII su indicazione di Matilde di Canossa, 1781, Basilica di S. Benedetto, Polirone

Rudolph Blättler, Enrico IV finge di sottomettersi a S. Gregorio VII, XIX sec.

Luigi Morgari, S. Gregorio VII, 1896-1900, Chiesa di S. Alessandro, Bergamo

Sepolcro originario del papa S. Gregorio VII, Cattedrale, Salerno

Tomba di papa Gregorio VII, Cattedrale, Salerno. Sotto la tomba sono state impresse le ultime parole del papa: “Dilexi iustitiam, odivi iniquitatem, propterea morior in exsilio”.

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