Sebbene il sacramento del battesimo sia affatto
distinto da quello della cresima, pure questa si chiama Confirmatio, in
quanto la discesa dello Spirito Santo nell’anima del fedele integra l’opera
della sua rigenerazione soprannaturale. Mediante il carattere sacramentale si conferisce
al neofito una più perfetta rassomiglianza a Gesù Cristo, imprimendo l’ultimo
suggello o ratifica alla sua unione col divin Redentore. La parola confirmatio
era usata in Spagna anche ad indicare la preghiera invocatoria dello
Spirito Santo nella messa (Confirmatio Sacramenti); onde l’analogia che
corre tra l’epiclesi – che nella Messa impetra dal Paraclito la pienezza dei
suoi doni su quanti si appressano alla santa Comunione – e la Confermazione –
che gli antichi amministravano immediatamente dopo il battesimo – illustra
molto bene il significato teologico assai profondo che si cela sotto questa
parola Confirmatio data al sacramento della Cresima.
Il nesso che unisce i due sacramenti rende
perciò ragione del motivo per cui le antiche liturgie, e la romana in particolare,
sin dal tempo di Tertulliano abbiano riservata alla loro solenne
amministrazione le vigilie notturne di Pasqua e della Pentecoste.
Nell’antichità, il sacro rito si svolgeva
durante questa notte al Laterano, precisamente come nella vigilia pasquale; nel
XII sec. tuttavia, quando già la cerimonia soleva anticiparsi nel pomeriggio
del sabato, sul volgere del tramonto il Papa si recava a celebrare i vespri e i
mattutini solenni a San Pietro.
Nelle messe private si omettono le lezioni
(letture), la litania, ecc., e si recita l’introito come il mercoledì dopo la
IV domenica di Quaresima, in occasione dei grandi scrutinii battesimali. Il
testo è di Ezechiele dove chiaramente si annuncia il battesimo cristiano e l’effusione
dello Spirito Santo sui credenti. Letteralmente il vaticinio riguarda la futura
sorte d’Israele, destinato anch’esso ad entrare a far parte del regno
messianico: ubi intraverit plenitudo gentium tunc Israel salvus fiet, «Quando saranno
entrate tutte le nazioni, allora Israele sarà salvato» (cfr. Rom. 11, 25-26:
«donec plenitudo gentium intraret, et sic omnis Israël salvus fieret»), ma
può anche applicarsi a ciascun’anima credente, cioè a quelle che l’Apostolo,
per distinguerla dall’Israele secondo la carne, chiama Israel Dei, l’Israele
di Dio.
Come l’effusione dello Spirito Santo è l’atto
supremo d’amore di Dio verso gli uomini, così l’allontanamento supremo e
definitivo dell’anima da Dio viene specialmente chiamato peccato contro lo
Spirito Santo. Il divin Paraclito è quello che determina in noi lo svolgimento
della nostra vita soprannaturale, secondo il divino modello Gesù; ogni volta
dunque che si arresta questo sviluppo si resiste allo Spirito Santo, onde l’Apostolo
ammoniva in questo senso i primitivi fedeli a non contristare il divino Spirito
che abita nell’anima, anzi ne è la vita stessa soprannaturale (Schuster, Liber Sacramentorum,
IV, pp. 145-146).
La sacra
veglia di Pentecoste
Il rito vigiliare della Pentecoste, giusta il
tipo originario romano, constava, come nella notte pasquale, di dodici lezioni
scritturali. Queste venivano ripetute tanto in greco che in latino, ed erano
intercalate dal canto delle Odi profetiche e delle collette recitate dal
Pontefice.
San Gregorio Magno però ridusse le letture
soltanto a sei, il cui numero fu conservato intatto, anche quando, nell’VIII
sec., in seguito alle influenze del Sacramentario Gelasiano tornato a Roma con
onore durante il periodo franco, le lezioni della grande vigilia di Pasqua
furono nuovamente riportate al primitivo numero simbolico di dodici.
Le collette che seguono le letture sono quelle
stesse del Sacramentario Gregoriano: solo però che l’ultima è fuori di luogo,
giacché originariamente essa veniva recitata dopo il Sal. 43 (42), il quale
cosi poneva termine alla vigilia propriamente detta. La colletta invece che
seguiva da principio la lezione sesta di Ezechiele, è andata in disuso, per
negligenza degli amanuensi.
Nella messa
Il Vangelo (Gv. 14, 15-21) è tutto incentrato
sulla venuta dello Spirito Santo, e sul suo ministero di consolatore e di maestro
delle anime nella via della verità. Gesù chiama il Paraclito Spirito di Verità, ad
indicare che egli non solo procede dal Padre, ma procede altresì dal Verbo, la
verità del Padre, il quale dice perfettamente il Padre; tanto che san Luca, negli
Atti degli Apostoli, lo chiama semplicemente lo Spirito di Gesù. È noto che i
Greci scismatici negano questa processione d’amore del Paraclito dal Padre e
dal Figlio, come da un unico principio spirante, il che è contro il manifesto
insegnamento del Vangelo – Egli
riceverà del mio – e dei Santi Padri tanto orientali quanto
occidentali. La Chiesa per molti secoli mise in opera ogni mezzo, concilii
ecumenici, apologisti, legazioni, per richiamare i Greci all’unità cattolica,
ma tutto fu invano. Quando però il peccato contro lo Spirito Santo raggiunse la
sua ultima misura, la giustizia di Dio non tardò a colpire la Chiesa e l’impero
bizantino. Il giorno di Pentecoste del 1453 l’esercito di Maometto II, infatti,
penetrò a Costantinopoli, e vi trucidava l’imperatore, il patriarca, il clero e
gran numero di popolo affollato in Santa Sofia. Riempita di stragi quella
splendida basilica giustinianea, che per circa nove secoli fu testimone di
tante perfidie contro la fede cattolica, venne convertita in una moschea turca.
Nella preghiera sacerdotale
che raccomanda a Dio coloro che presentano le oblazioni e mette fine alla prima
partita dei dittici – prius ergo oblationes
commendandæ sunt, scriveva
il papa Innocenzo I nella famosa lettera a Decenzio (Decentius) di Gubbio (Innocenzo I, Ep. XXV, A Decenzio, vescovo
eugubino, in PL 20, coll. 551-561) – si fa memoria dei neofiti ammessi
questa notte al battesimo ed alla confermazione, e che dovranno partecipare di
conseguenza durante la messa, per la prima volta, alla santa Eucarestia.
Gustave Doré, Discesa dello Spirito Santo, XIX sec. |
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