sabato 23 maggio 2015

“Quod ait, Rogábo Patrem, et álium Paráclitum dabit vobis: osténdit et seípsum esse Paráclitum. Paráclitus enim Latíne dícitur advocátus: et dictum est de Christo: Advocátum habémus ad Patrem, Jesum Christum justum” (Homilía sancti Augustíni Epíscopi – Lect. VII – III Noct.) – SABBATO IN VIGILIA PENTECOSTES

Sebbene il sacramento del battesimo sia affatto distinto da quello della cresima, pure questa si chiama Confirmatio, in quanto la discesa dello Spirito Santo nell’anima del fedele integra l’opera della sua rigenerazione soprannaturale. Mediante il carattere sacramentale si conferisce al neofito una più perfetta rassomiglianza a Gesù Cristo, imprimendo l’ultimo suggello o ratifica alla sua unione col divin Redentore. La parola confirmatio era usata in Spagna anche ad indicare la preghiera invocatoria dello Spirito Santo nella messa (Confirmatio Sacramenti); onde l’analogia che corre tra l’epiclesi – che nella Messa impetra dal Paraclito la pienezza dei suoi doni su quanti si appressano alla santa Comunione – e la Confermazione – che gli antichi amministravano immediatamente dopo il battesimo – illustra molto bene il significato teologico assai profondo che si cela sotto questa parola Confirmatio data al sacramento della Cresima.
Il nesso che unisce i due sacramenti rende perciò ragione del motivo per cui le antiche liturgie, e la romana in particolare, sin dal tempo di Tertulliano abbiano riservata alla loro solenne amministrazione le vigilie notturne di Pasqua e della Pentecoste.
Nell’antichità, il sacro rito si svolgeva durante questa notte al Laterano, precisamente come nella vigilia pasquale; nel XII sec. tuttavia, quando già la cerimonia soleva anticiparsi nel pomeriggio del sabato, sul volgere del tramonto il Papa si recava a celebrare i vespri e i mattutini solenni a San Pietro.
Nelle messe private si omettono le lezioni (letture), la litania, ecc., e si recita l’introito come il mercoledì dopo la IV domenica di Quaresima, in occasione dei grandi scrutinii battesimali. Il testo è di Ezechiele dove chiaramente si annuncia il battesimo cristiano e l’effusione dello Spirito Santo sui credenti. Letteralmente il vaticinio riguarda la futura sorte d’Israele, destinato anch’esso ad entrare a far parte del regno messianico: ubi intraverit plenitudo gentium tunc Israel salvus fiet, «Quando saranno entrate tutte le nazioni, allora Israele sarà salvato» (cfr. Rom. 11, 25-26: «donec plenitudo gentium intraret, et sic omnis Israël salvus fieret»), ma può anche applicarsi a ciascun’anima credente, cioè a quelle che l’Apostolo, per distinguerla dall’Israele secondo la carne, chiama Israel Dei, l’Israele di Dio.
Come l’effusione dello Spirito Santo è l’atto supremo d’amore di Dio verso gli uomini, così l’allontanamento supremo e definitivo dell’anima da Dio viene specialmente chiamato peccato contro lo Spirito Santo. Il divin Paraclito è quello che determina in noi lo svolgimento della nostra vita soprannaturale, secondo il divino modello Gesù; ogni volta dunque che si arresta questo sviluppo si resiste allo Spirito Santo, onde l’Apostolo ammoniva in questo senso i primitivi fedeli a non contristare il divino Spirito che abita nell’anima, anzi ne è la vita stessa soprannaturale (Schuster, Liber Sacramentorum, IV, pp. 145-146).

La sacra veglia di Pentecoste

Il rito vigiliare della Pentecoste, giusta il tipo originario romano, constava, come nella notte pasquale, di dodici lezioni scritturali. Queste venivano ripetute tanto in greco che in latino, ed erano intercalate dal canto delle Odi profetiche e delle collette recitate dal Pontefice.
San Gregorio Magno però ridusse le letture soltanto a sei, il cui numero fu conservato intatto, anche quando, nell’VIII sec., in seguito alle influenze del Sacramentario Gelasiano tornato a Roma con onore durante il periodo franco, le lezioni della grande vigilia di Pasqua furono nuovamente riportate al primitivo numero simbolico di dodici.
Le collette che seguono le letture sono quelle stesse del Sacramentario Gregoriano: solo però che l’ultima è fuori di luogo, giacché originariamente essa veniva recitata dopo il Sal. 43 (42), il quale cosi poneva termine alla vigilia propriamente detta. La colletta invece che seguiva da principio la lezione sesta di Ezechiele, è andata in disuso, per negligenza degli amanuensi.

Nella messa

Il Vangelo (Gv. 14, 15-21) è tutto incentrato sulla venuta dello Spirito Santo, e sul suo ministero di consolatore e di maestro delle anime nella via della verità. Gesù chiama il Paraclito Spirito di Verità, ad indicare che egli non solo procede dal Padre, ma procede altresì dal Verbo, la verità del Padre, il quale dice perfettamente il Padre; tanto che san Luca, negli Atti degli Apostoli, lo chiama semplicemente lo Spirito di Gesù. È noto che i Greci scismatici negano questa processione d’amore del Paraclito dal Padre e dal Figlio, come da un unico principio spirante, il che è contro il manifesto insegnamento del Vangelo – Egli riceverà del mio – e dei Santi Padri tanto orientali quanto occidentali. La Chiesa per molti secoli mise in opera ogni mezzo, concilii ecumenici, apologisti, legazioni, per richiamare i Greci all’unità cattolica, ma tutto fu invano. Quando però il peccato contro lo Spirito Santo raggiunse la sua ultima misura, la giustizia di Dio non tardò a colpire la Chiesa e l’impero bizantino. Il giorno di Pentecoste del 1453 l’esercito di Maometto II, infatti, penetrò a Costantinopoli, e vi trucidava l’imperatore, il patriarca, il clero e gran numero di popolo affollato in Santa Sofia. Riempita di stragi quella splendida basilica giustinianea, che per circa nove secoli fu testimone di tante perfidie contro la fede cattolica, venne convertita in una moschea turca.
Nella preghiera sacerdotale che raccomanda a Dio coloro che presentano le oblazioni e mette fine alla prima partita dei dittici – prius ergo oblationes commendandæ sunt, scriveva il papa Innocenzo I nella famosa lettera a Decenzio (Decentius) di Gubbio (Innocenzo I, Ep. XXV, A Decenzio, vescovo eugubino, in PL 20, coll. 551-561) – si fa memoria dei neofiti ammessi questa notte al battesimo ed alla confermazione, e che dovranno partecipare di conseguenza durante la messa, per la prima volta, alla santa Eucarestia.




Gustave Doré, Discesa dello Spirito Santo, XIX sec.

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