Rilancio volentieri
questo contributo chiarificatore dal sempre aggiornato ed interessante Chiesa
e post concilio.
Del resto - lo ricordiamo - lo stesso card. Burke aveva affermato, in un'intervista a France2, che se il vescovo di Roma perseguisse la strada della c.d. Comunione ai divorziati risposati, avrebbe resistito (v. qui). In un'intervista a Riccardo Cascioli, lo stesso prelato puntualizzava: «[…] Io ho detto che dovrei resistere, perché tutti siamo a servizio della verità, a cominciare dal Papa. La Chiesa non è un organismo politico nel senso del potere. Il potere è Gesù Cristo e il suo vangelo. Per questo ho risposto che resisterò e non sarebbe la prima volta che questo accade nella Chiesa. Ci sono stati nella storia diversi momenti in cui qualcuno ha dovuto resistere al Papa, a cominciare da San Paolo nei confronti di San Pietro, nella vicenda dei giudeizzanti, che volevano imporre la circoncisione ai convertiti ellenici. […]» (v. qui. Corsivo nostro, ndr.).
Del tema attualissimo della resistenza, del resto, sempre da un punto di vista storico, ne aveva parlato lo storico prof. Roberto de Mattei, in un suo saggio, La filiale resistenza di san Bruno di Segni a Papa Pasquale II, pubblicato da Corrispondenza romana lo scorso marzo e rilanciato in inglese da Rorate caeli, ma anche nel saggio sul papa Giovanni XXII (v. qui. In inglese qui).
Del tema attualissimo della resistenza, del resto, sempre da un punto di vista storico, ne aveva parlato lo storico prof. Roberto de Mattei, in un suo saggio, La filiale resistenza di san Bruno di Segni a Papa Pasquale II, pubblicato da Corrispondenza romana lo scorso marzo e rilanciato in inglese da Rorate caeli, ma anche nel saggio sul papa Giovanni XXII (v. qui. In inglese qui).
Casi in cui è
doveroso resistere all’Autorità ecclesiastica
di Don Curzio
Nitoglia
Alcuni esempi pratici
della storia della Chiesa
I - S. Pietro
e l’incidente di Antiochia (49 d. C.)
Già nel 50 d. C.,
neppure 20 anni dopo la morte di Gesù, al Concilio di Gerusalemme, si assisté
ad un fatto riportato dalla S. Scrittura, commentato dai Padri ecclesiastici,
dai Dottori scolastici e dagli storici della Chiesa . Infatti è divinamente
rivelato che, qualche tempo prima, San Pietro ad Antiochia si comportò in
maniera riprovevole e San Paolo lo rimproverò.
Questo incidente “riprovevole”
lo troviamo divinamente Rivelato in S. Paolo (Epistola ai Galati, II,
11), il quale afferma: «Ho resistito in faccia a Pietro, poiché era reprensibile[1]».[2]
Secondo la Tradizione
patristica e scolastica (S. Agostino e S. Tommaso d’Aquino) S. Pietro peccò
venialmente di fragilità nell’osservare le cerimonie legali dell’Antico
Testamento, per non scandalizzare i giudei convertiti al Cristianesimo,
ma provocando così lo scandalo dei cristiani provenienti dal paganesimo
convertitisi al Vangelo. E secondo la divina Rivelazione vi fu una
resistenza pubblica di Paolo verso Pietro, primo Papa[3].
Quindi S. Pietro non errò contro la Fede,
come sostennero erroneamente gli anti-infallibilisti durante il Concilio
Vaticano I, anche se con il suo agire commise un
peccato veniale di fragilità a differenza di Onorio che peccò
gravemente senza cader nell’eresia formale, ma solo favorendola per debolezza e
negligenza.
Dunque Pietro peccò
solo venialmente e di fragilità, ma, quando Paolo gli
resistette in faccia e pubblicamente (Epistola ai Galati, II,
11), Pietro ebbe l’umiltà di correggere il suo errore di comportamento che
avrebbe potuto portare all’errore dottrinale dei Giudaizzanti. Non si può
negare la resistenza di Paolo a Pietro perché è divinamente Rivelata: “Resistetti
in faccia a Cefa, poiché era reprensibile […] alla presenza di
tutti” (Galati, II, 11, 14)[4].
II - L’empio
Nestorio (381-431) nega la Maternità divina di Maria
Un altro fatto
ampiamente commentato dagli storici della Chiesa è quello avvenuto con Nestorio
patriarca di Costantinopoli circa 350 anni dopo l’incidente di Antiochia.
Dom Prospero
Guéranger, nella sua nota opera L’Année Liturgique, scrive: «il
giorno di Natale del 428, Nestorio, approfittando dell’immenso concorso di
fedeli venuti a festeggiare il parto della Vergine-Madre, dall’alto del soglio
episcopale lanciò quella blasfema parola: “Maria non ha generato Dio: il Figlio
suo non è che un uomo, strumento della divinità”. A queste parole la
moltitudine fremette inorridita: interprete della generale indignazione, Eusebio
di Doriles, un semplice laico, si levò in mezzo alla folla a protestare contro
l’empietà. [...] Generoso atteggiamento che fu allora la salvaguardia di
Bisanzio e gli valse l’elogio dei Concili e dei Papi!» (Dom Prospero Guéranger, L’anno
liturgico, trad. it., Edizione Paoline, Alba, 1959, vol. I, pp. 795-796).
III - Papa
Onorio I (625-628)
Fra i vari esempi di
fatti del genere, indicati dalla storia della Chiesa, risalta, in terzo luogo
neppure 200 anni dopo il caso di Nestorio, quello di papa Onorio I. Questo Papa
visse nel tempo in cui l’eresia monotelita faceva stragi nella Chiesa d’Oriente.
Negando l’esistenza di due volontà in Gesù Cristo, i monoteliti rinnovavano l’assurdo
che Eutiche introdusse nel dogma, quando pretese che in Gesù Cristo ci fosse
soltanto una natura, composta dalla natura divina e da quella umana.
Il patriarca di
Costantinopoli, Sergio, abilmente insinuò nello spirito di Onorio I che la
predicazione delle due volontà del Salvatore causava soltanto divisioni nel
popolo fedele. Accondiscendendo ai desideri del patriarca, che erano anche
quelli dell’imperatore, papa Onorio I proibì che si parlasse delle due volontà
del Figlio di Dio fatto uomo.
Il Pontefice non si
rese conto che il suo gesto (non formalmente e positivamente eretico) lasciava
il campo libero alla diffusione dell’eresia o la favoriva.
Per questa ragione
non si doveva prestare a esso attenzione come pure riguardo all’affermazione di
Nestorio sulla Divina maternità di Maria SS. e all’agire pratico di S. Pietro ad
Antiochia.
Onorio non era stato
positivamente o formalmente eretico, ma vittima dei raggiri di Sergio, cui
imprudentemente e negligentemente aveva acconsentito senza impegnarsi nella
difesa della dottrina cattolica ortodossa. Perciò S. Leone II condannò Onorio
più per la sua negligenza che per una consapevole eterodossia.
Nel III Concilio
ecumenico di Costantinopoli (680-681) papa S. Agatone (678-681) il 28 marzo del
681 condannò papa Onorio per aver aderito imprudentemente all’eresia (DB
262 ss. / DS 550 ss.) senza specificare se si trattasse di eresia
materiale o formale. Ma nel Decreto di ratifica del Concilio
Costantinopolitano III papa S. Leone II (682-683) specificò il 3 luglio 683 (DB
289 ss. / DS 561 ss.) i limiti della condanna di Onorio, che “non illuminò la
Chiesa apostolica con la dottrina della Tradizione apostolica, ma permise che
la Chiesa immacolata fosse macchiata da tradimento” (DS 563). Onorio, quindi,
si era macchiato di eresia materiale ed aveva favorito
l’eresia.
Inoltre Onorio non
aveva definito né obbligato a credere la tesi di una sola azione in
Cristo contenuta nell’ambigua Dichiarazione dell’Epistola di Sergio a
lui inviata. Quindi Onorio non aveva voluto essere assistito infallibilmente in
tale atto, ma aveva utilizzato una forma di magistero autentico “pastorale e
non infallibile”[5]. Perciò egli aveva potuto sbagliare, anche se per
ingenuità e mancanza di fortezza, ma senza infrangere il dogma (definito poi
dal Concilio Vaticano I) della infallibilità pontificia, come invece sostennero
i protestanti nel XVI secolo e la setta dei “vecchi cattolici” nel secolo XIX.
In breve Onorio aveva favorito l’eresia peccando, così, gravemente, ma non era
stato eretico.
La regola generale
Dom Guéranger,
quindi, enuncia un principio generale: «Quando il pastore si cambia in lupo,
tocca soprattutto al gregge difendersi. Di regola, senza
dubbio, la dottrina discende dai Vescovi ai fedeli; e non devono i
sudditi giudicare nel campo della fede i loro capi. Ma nel tesoro della
Rivelazione vi sono dei punti essenziali, dei quali ogni cristiano, per il
fatto stesso ch’è cristiano, deve avere la necessaria conoscenza e la
dovuta custodia[6]. Il principio non muta, sia che si tratti di verità da
credere che di norme morali da seguire, sia di morale che di dogma. I
tradimenti simili a quelli di Nestorio, gli sbandamenti simili a quelli di
Onorio e le “eccessive prudenze” simili a quelle di S. Pietro ad Antiochia non
sono frequenti nella Chiesa; tuttavia può darsi che alcuni pastori
eccezionalmente tacciano, per un motivo o per l’altro, in talune circostanze in
cui la stessa religione verrebbe ad essere coinvolta. In tali
congiunture, i veri fedeli sono quelli che attingono solo nel loro battesimo l’ispirazione
della loro linea di condotta; non i pusillanimi che, sotto lo specioso pretesto
della sottomissione ai poteri costituiti, attendono per aderire al nemico o per
opporre alle sue imprese un programma che non è affatto necessario e che non si
deve dare loro». (Ivi).
Importanza della
Tradizione
Il valore della
Tradizione è tale che anche le Encicliche e gli altri documenti del Magistero
ordinario del Sommo Pontefice in cui non si vuol definire né obbligare a
credere sono infallibili soltanto negli insegnamenti confermati dalla
Tradizione (Pio IX, Lettera Tuas libenter, 1863), cioè da un
continuo insegnamento della dottrina, svolto da diversi Papi e per un ampio
lasso di tempo.
Di conseguenza, l’atto
del Magistero ordinario di un Papa che non definisce né obbliga a credere, il
quale contrasti con l’insegnamento garantito dalla Tradizione magisteriale di
diversi Papi e attraverso un considerevole lasso di tempo, non dovrebbe
essere accettato.
Norma per giudicare
le novità
Custodiamo, quindi,
con il massimo rispetto e con la massima attenzione, il criterio di verifica
nei confronti delle novità che sorgono nella Chiesa: se si accordano con la
Tradizione apostolica, bene. Se non si conformano, ma si oppongono alla
Tradizione, oppure la sminuiscono non devono essere accettate.
Tradizione, certo, non
è immobilismo. È crescita, ma nella stessa linea, nella stessa direzione, nello
stesso senso, crescita di esseri vivi, che si conservano sempre gli stessi.
Detto questo,
prendiamo come norma il seguente principio: “quando è evidente che una
novità si allontana dalla dottrina tradizionale, è certo che non deve essere
ammessa” (mons. Antonio De Castro Mayer, Lettera pastorale
Aggiornamento e Tradizione, 11 aprile 1971, Diocesi di Campos in Brasile).
Quindi la Gerarchia
può eccezionalmente errare e in tal caso si può lecitamente
resistere ad essa pubblicamente, ma con il rispetto dovuto all’Autorità.
Occorre continuare a
fare ciò che la Chiesa ha sempre fatto prima che l’errore e la confusione
penetrassero nella quasi totalità dall’ambiente ecclesiastico (S. Vincenzo da
Lerino,Commonitorium, III, 5) e credere ciò che la Chiesa ha sempre,
ovunque insegnato universalmente (“quod semper, ubique et ab omnibus”).
Il Dottore Angelico,
in diverse sue opere, insegna che in casi estremi è lecito resistere pubblicamente
ad una decisione papale, come San Paolo resistette in faccia a San Pietro: «essendovi
un pericolo prossimo per la Fede, i prelati devono essere ripresi, perfino
pubblicamente, da parte dei loro soggetti. Così San Paolo, che era soggetto a
San Pietro, lo riprese pubblicamente, a motivo di un pericolo imminente di
scandalo in materia di Fede. E, come dice il commento di Sant’Agostino, “lo
stesso San Pietro diede l’esempio a coloro che governano, affinché essi, se mai
si allontanassero dalla retta strada, non rifiutino come indebita una
correzione venuta anche dai loro soggetti” (ad Gal. 2, 14)».
Franciscus De Vitoria
scrive: «Secondo la legge naturale è lecito respingere la violenza con la
violenza. Ora, con ordini e dispense abusive, il Papa esercita una violenza,
perché agisce contro la legge. Quindi è lecito resistergli. Come osserva il
Gaetano, non facciamo questa affermazione perché qualcuno abbia diritto di
giudicare il Papa o abbia autorità su di lui, ma perché è lecito difendersi.
Chiunque, infatti, ha il diritto di resistere ad un atto ingiusto, di cercare
di impedirlo e di difendersi»[8].
Francisco Suarez: «Se
[il Prelato] emana un ordine contrario ai buoni costumi, non gli si deve
ubbidire: se tenta di fare qualcosa di manifestamente contrario alla giustizia
e al bene comune, sarà lecito resistergli; se attaccherà con la forza, potrà
essere respinto con la forza, con quella moderazione propria della legittima
difesa»[9].
San Roberto
Bellarmino: «Com’è lecito resistere al Pontefice che aggredisce il corpo, così
pure è lecito resistere a quello che aggredisce le anime o perturba l’ordine
civile, o, soprattutto, a quello che tenta di distruggere la Chiesa. Dico che è
lecito resistergli non facendo quello che ordina ed impedendo la esecuzione della
sua volontà: non è però lecito giudicarlo, punirlo e deporlo, poiché questi
atti sono propri di un superiore»[10].
____________________________
1. ‘Reprensibile’,
dal latino ‘re-prehendere’, degno di essere rimproverato, biasimato, corretto,
disapprovato, criticato, ammonito come erroneo (N. Zingarelli, ivi).
2. «La frase “era
reprensibile” (della Vulgata) da alcuni esegeti è tradotta […] “messo dalla
parte del torto”. È spiegato il fallo o il torto di Pietro, fallo definito con
ogni precisione già da Tertulliano come sbaglio di comportamento non di
dottrina” (De praescriptione haereticorum, XXIII)» (G. Ricciotti, Le
Lettere di S. Paolo, Coletti, Roma, 1949, 3ª ed., pp. 227-228).
3. È vero che secondo
Tertulliano il peccato di Pietro fu uno “sbaglio di comportamento non di
dottrina” (De praescr. haeret., XXIII). Tuttavia “Per S. Agostino Pietro
commise un peccato veniale di fragilità, preoccupandosi troppo di non
dispiacere ai giudei convertiti al Cristianesimo ...” (J. Tonneau,
Commentaire à la Somme Théologique, Cerf, Paris, 1971, p. 334-335, nota
51, S. Th., III, q. 103, a.4, sol. 2). Secondo S. Tommaso d’Aquino “sembra che Pietro sia
colpevole di uno scandalo attivo” (Somma Teologica, III, q. 103, a.4, ad
2). Inoltre l’Angelico specifica che Pietro ha commesso un peccato veniale non
di proposito deliberato ma di fragilità (cfr. Quest. disput., De
Veritate, q. 24, a. 9; Quest. Disput., De malo, q. 7, a.
7, ad 8um) per un’eccessiva prudenza nel non voler contrariare i giudei
convertiti al Cristianesimo.
4. Cfr. Arnaldo
Xavier Vidigal Da Silveira, Qual è l’autorità dottrinale dei documenti
pontifici e conciliari?, “Cristianità”, n. 9, 1975; Id., È lecita
la resistenza a decisioni dell’Autorità ecclesiastica?, “Cristianità”, n.
10, 1975; Id., Può esservi l’errore nei documenti del Magistero
ecclesiastico?, “Cristianità”, n. 13, 1975.
5. Cfr. Enciclopedia
dei Papi, cit., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000, 1° vol.,
pp. 585-590, voce Onorio I, a cura di Antonio Sennis.
6. Si pensi all’attuale
linea pastorale 1°) riguardo alla morale (Francesco
I / card. Walter Kasper), che vorrebbe concedere i Sacramenti ai peccatori
ostinati nel peccato, che non vogliono correggersi e pretendono di ricevere
egualmente i Sacramenti. Ogni cristiano che ha studiato il Catechismo sa che
secondo la Legge divina ciò non è possibile. Quindi deve prendere posizione
contro tale linea da qualsiasi parte venga. 2°) Dal punto di vista
dogmatico si pensi alle novità della collegialità episcopale (Lumen
gentium), del panecumenismo (Unitatis redintegratio,Nostra aetate),
delle due fonti della Rivelazione ridotte ad una: la “sola Scrittura” (Dei
Verbum), del pancristismo teilhardiano (Gaudium et spes), della
libertà delle false religioni (Dignitatis humanae). 3°) Dal punto di vista
liturgico si pensi al Novus Ordo Missae del 1968, che
“si allontana in maniera impressionante dalla teologia cattolica sul Sacrificio
della Messa come fu definita dal Concilio di Trento” (card. Alfredo Ottaviani e
Antonio Bacci, Lettera di presentazione a Paolo VI del Breve Esame
Critico del NOM). Son casi in cui è lecito e doveroso sospendere l’assenso
alle decisioni novatrici del magistero pastorale o non infallibile del Concilio
Vaticano II e del post-concilio.
7. San Tommaso d’Aquino,
Summa Theologiae, II-II , q. 33, a. 4, ad 2.
8. Franciscus De Vitoria, Obras de Francisco de Vitoria, BAC, Madrid 1960, pp. 486-487.
9. Franciscus Suarez, De Fide, in Opera omnia, cit., Parigi 1858, tomo XII, disp. X, sect. VI, n. 16.
10. San Roberto Bellarmino, De Romano Pontifice, in Opera omnia, Battezzati, Milano 1857, vol. I, lib. II, c. 29.
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