Nella memoria
liturgica dei SS. Nazario e Celso, martiri, rilancio quest’interessante studio
ricevuto:
Se Lutero si
traveste da santo e dottore
di
Gaetano Masciullo
Il
pensiero agostiniano è stato di importanza capitale per lo sviluppo della
teologia cristiana nei primi secoli, sia per difendere l’ortodossia dalle
numerose e perniciose eresie che volevano introdurre “novità” nel pensiero
cristiano (si pensi alle battaglie teologiche che Agostino rivolse contro manichei,
pelagiani, donatisti, semipelagiani…), sia per approfondire meglio alcuni
dogmi, come quello della Trinità.
Sant’Agostino
di Ippona si avvalse ben presto del titolo, riconosciutogli dalla Chiesa, di
Dottore, cioè di autorità indiscussa in teologia, e difatti fece scuola per
buona parte del medioevo cristiano, fino a quando non prevalsero
l’aristotelismo e la scolastica di san Tommaso d’Aquino.
Tuttavia,
soprattutto a partire dal XX secolo, è prevalsa in ambito accademico una
corrente esegetica del pensiero agostiniano in verità erronea, che non rende
giustizia alle originarie intenzioni del santo vescovo di Ippona. In
particolare, Odilo Rottmanner (1841-1907) con la sua opera Agostinismo (1892) affermò che il pensiero di sant’Agostino è da
ricondurre fondamentalmente alla “dottrina della predestinazione incondizionata
e della volontà salvifica particolare che sant’Agostino ha perfezionato di
preferenza nell’ultimo periodo della sua vita”, cioè dal 418 in poi. In cosa
consisterebbe dunque questa dottrina? Tutti
gli uomini nascerebbero peccatori e meritevoli della dannazione, a causa del
peccato originale, ma Dio sceglierebbe per un atto di misericordia proveniente
esclusivamente dalla sua volontà (detta per questo volontà salvifica) chi
sottrarre a questa inevitabile e giusta condanna. Da parte degli eletti, cioè
dei predestinati alla salvezza, non ci sarebbe alcun merito, sia per quanto
riguarda la fede (che è dono esclusivo della grazia divina) sia per quanto
riguarda le opere, che sono conseguenze della fede. Dio dunque non vorrebbe
salvare tutti gli uomini, ma solo pochi eletti: per questo motivo la volontà
salvifica di Dio sarebbe particolare, non universale. Lo scandalo del cristianesimo
non consiste nel fatto che la maggioranza degli uomini si dannino, ma nel fatto
che pochi riescano a salvarsi. La salvezza degli eletti è un dono gratuito di
Dio, assolutamente immeritato.
A
questo punto ci chiediamo: questa tesi della predestinazione così esposta non
ci ricorda forse la tesi di un altro teologo, vissuto molti anni dopo
sant’Agostino? Non furono forse Martin Lutero e Calvino ad affermare che Dio
salva per sola grazia pochissimi uomini da lui eletti e che l’uomo senza la
grazia è inevitabilmente condannato a compiere il male? Non fu forse Giansenio
a muovere contro s. Agostino le stesse accuse dei pelagiani, ormai mutate in
lodi? Dunque, Lutero non avrebbe “radicalizzato il pensiero agostiniano”, come
si è soliti dire, ma al contrario avrebbe semplicemente ribadito quanto s. Agostino
insegnò nelle sue opere. Ma allora, ci chiediamo, perché uno è stato proclamato
santo e dottore e l’altro condannato come eresiarca e rivoluzionario contro
Dio? Evidentemente, i conti non tornano.
Secondo
l’esegesi di Rottmanner, per sant’Agostino la libertà dell’uomo non esiste, se
non nei limiti della perseveranza che l’uomo adopera per rimanere nella grazia
divina e quindi per conservare la fede donatagli. Padre Agostino Trapé (1915-1987),
priore generale dell’Ordine agostiniano, difese a spada tratta la corretta
esegesi del pensiero del vescovo ipponate dalle strumentalizzazioni moderniste
e “protestantizzanti”. Egli, in un articolo pubblicato nel 1963 sulla rivista Divinitas, dal titolo A proposito di predestinazione: S. Agostino
e i suoi critici moderni, scrive: “Si sa quali critiche e quali accuse
suscitasse a suo tempo questa dottrina da parte dei pelagiani. Possiamo ridurle
a quattro capi, tutti e quattro gravissimi. L'agostinismo - dicevano - nega il
libero arbitrio, nega che il battesimo rimetta il peccato originale, proclama
il fatalismo, e riduce il pensiero cristiano al manicheismo. S. Agostino
rispose, dimostrò l'infondatezza, anzi la malafede, di quelle accuse e ribadì,
chiarendola, la sua dottrina. L'agostinismo trionfò. La Chiesa riconobbe come
valida, nelle linee essenziali, quella difesa e annoverò il vescovo d'Ippona
tra i suoi maestri migliori: inter
magistros optimos. Le accuse, anche quelle mosse dai semipelagiani, non
tardarono a cadere, ed i teologi, da allora in poi, guardarono a S. Agostino
come al Dottore della grazia, la cui autorità era venerabile presso tutti. Con
il protestantesimo e con il giansenismo quelle accuse si trasformarono in lodi,
lodi non vere, che la Chiesa respinse e S. Agostino aveva respinto ante litteram. Oggi, qua e là, si
preferisce tornare alle accuse. Di tanto in tanto, infatti, si propongono
interpretazioni di S. Agostino che sono molto vicine, quando non siano proprio
identiche, a quelle che ne davano i pelagiani; e non solo da parte dei
razionalisti, che fanno del vescovo d'Ippona - com'è noto - il creatore dei
dommi del peccato originale e della grazia, ma anche - e la cosa riveste un
carattere di particolare gravità - da parte di studiosi cattolici”.
Sant’Agostino
fu per secoli chiamato Doctor Gratiae et
Libertatis. Per il santo vescovo il rapporto tra libertà e grazia non si
trasforma in un dilemma, in una scelta esclusiva tra le due, ma in un binomio,
una coesistenza. La grazia non annulla la libertà umana, né la libertà umana
annulla la libertà divina, che si manifesta appunto nella grazia. San Tommaso
d’Aquino bene spiega nell’opera Contra
errores graecorum il motivo per il quale alcune opere dei Padri della
Chiesa possano sembrare ambigue (come ambiguo potrebbe sembrare, ad una
superficiale lettura, il pensiero di s. Agostino sul rapporto tra libertà e
grazia): “Ci sono, a mio avviso, due ragioni per cui alcune affermazioni degli
antichi Padri Greci risultano ambigue se paragonate alle nostre contemporanee.
Primo, perché una volta che gli errori riguardanti la fede si manifestavano, i
santi Dottori della Chiesa divenivano più circospetti nel modo di esporre i
punti della fede, così da escludere tali errori. È chiaro, per esempio, che i
Dottori che sono vissuti prima dell’eresia ariana non parlavano così espressamente
dell’unità dell’essenza divina come hanno fatto invece i Dottori successivi. E
lo stesso si è verificato nel caso di altri errori. Ciò è abbastanza evidente
non solo riguardo ai Dottori in generale, ma anche riguardo ad un Dottore in
particolare, Agostino. Nei libri che questi pubblicò dopo l’ascesa dell’eresia
pelagiana, si parla molto più cautamente della libertà della volontà umana
rispetto a quanto se ne parla nei libri pubblicati prima dell’ascesa di tale
eresia. In queste prime opere, mentre Agostino difendeva il concetto di volontà
contro i manichei, egli ha adoperato affermazioni che i pelagiani, che
rigettavano la grazia divina, hanno poi usato in supporto ai propri errori”.
Qual
era dunque il pensiero, pienamente cattolico, di sant’Agostino?
Già i pelagiani accusarono s. Agostino di aver sostenuto che il libero arbitrio
è perito nell’uomo con il peccato di Adamo, ma lo stesso s. Agostino risponde:
“Chi di noi poi direbbe che per il peccato del primo uomo sia sparito dal
genere umano il libero arbitrio? Certo per il peccato sparì la libertà, ma la
libertà che esisteva nel paradiso di possedere la piena giustizia insieme
all'immortalità. Per tale perdita la natura umana ha bisogno della grazia
divina, secondo le parole del Signore: Se il Figlio vi farà liberi, sarete
liberi davvero” (Contro le due lettere
dei pelagiani, I, 2.5). Si va dunque delineando una differenza fondamentale
per il pensiero agostiniano tra libertà intesa come libero arbitrio, che è il mezzo della vita umana, e la libertà
vera, ossia il fine della vita umana,
che è la libertà di aderire pienamente alla verità e di fare il bene.
Quest’ultimo tipo di libertà era presente prima del peccato originale (S.
Agostino la definisce con la formula posse
non peccare, ossia “poter non peccare”) e sarà confermata nell’eternità del
paradiso (definita con la formula non
posse peccare, ossia “non poter peccare”). La realtà attuale, intermedia,
successiva al peccato originale e alla redenzione, ma antecedente al giudizio
personale ed universale, non è priva del libero arbitrio, ma della libertà come
sopra intesa. Tuttavia, ciò non impedisce all’uomo di cercare la verità ed il
bene. Qui interviene la grazia, ossia l’azione gratuita di Dio che sopperisce
alle mancanze della “giustizia piena ed immortalità”, presenti nell’eden. Con
la grazia l’uomo si santifica (gratia gratum
faciens, dirà san Tommaso successivamente), nonostante le imperfezioni
psico-fisiche, conseguenze della caduta dei progenitori. Il primo ed importante
dono che Dio fa dunque all’uomo è la fede. In seguito, il battesimo e i
sacramenti in generale, che sono i mezzi ordinari con cui la grazia divina
agisce nell’uomo. “Ripeto che nessuno fu o può essere giusto se non è
giustificato dalla grazia di Dio per mezzo di N. S. Gesù Cristo, e questo
crocifisso. Difatti la stessa fede, che ha salvato i giusti nell'antichità,
salva anche noi, la fede nel Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo
Gesù, la fede nel suo sangue, la fede nella sua croce, la fede nella sua morte,
la fede nella sua resurrezione. Avendo dunque lo stesso spirito di fede, anche
noi crediamo, ed è per questo che parliamo”, scrive s. Agostino in De natura et gratia, 44,51.
Ma Dio conosce dall’eternità chi intraprende
questo cammino di redenzione e si salva e chi rimane reprobo e si danna
(prescienza)? Oppure egli stesso, da sé, decide
dall’eternità, senza il consenso dell’uomo, chi salvare, riducendo il numero
degli eletti a pochissimi? In quest’ultimo caso, Dio non vorrebbe la salvezza
di tutti gli uomini, ma solo di una ristretta èlite.
Per
comprendere bene il pensiero agostiniano riguardo al peccato originale e alla
giustificazione bisogna metterlo a confronto con quanto sostenevano pelagiani e
semipelagiani.
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Agostino schiaccia Pelagio, Katholische Pfarrkirche Maria Rosenkranzkönigin, Schretzheim |
Pelagio
affermava che il peccato originale colpì solamente Adamo e che non è trasmesso
biologicamente a tutti gli uomini. Pertanto il battesimo non cancella il
peccato originale, ma semplicemente ammette nella Chiesa. Da qui la polemica
che i pelagiani mossero contro sant’Agostino sulla necessità del battesimo per
i bambini e sul destino dei bambini morti senza di esso. Pelagio affermava che
i bambini morti senza battesimo si salvano in quanto privi di qualsivoglia
peccato, sia originale sia personale, ma sant’Agostino obiettava che i bambini
morti senza battesimo non possono salvarsi, in quanto il peccato originale ha
definitivamente rotto il legame tra l’uomo e Dio, legame ricostituito dal
sacrificio di Cristo, che pertanto è Salvatore dell’umanità, anche dei bambini.
“Non può appartenere a Cristo – scrive il santo Dottore – chi non ha bisogno di
essere salvato”. L’uomo da sé liberamente decide se credere in Dio e può
salvarsi anche fuori dalla Chiesa, compiendo opere buone.
Giovanni
Cassiano e i monaci provenzali, iniziatori del semipelagianesimo, per
conciliare Agostino e Pelagio, affermavano che l’uomo liberamente sceglie se
credere e dunque l’inizio della fede e della giustificazione non esige il dono
della grazia, così la perseveranza finale è frutto delle opere dell’uomo. La
grazia divina serve a sostenere l’uomo in questo cammino, dal momento in cui
l’uomo aderisce alla fede fino a quando muore. Analogamente a quanto sostenuto
da Pelagio, il peccato originale colpì solamente Adamo e i bambini morti senza
battesimo si salvano egualmente.
Sant’Agostino,
Dottore della grazia e della libertà, sosteneva che il peccato originale è
trasmesso biologicamente da Adamo a tutti gli uomini. Dunque sono trasmesse sia
la colpa sia le conseguenze spirituali (impossibilità di accedere in paradiso
dopo la morte) e temporali (mortalità, caducità, propensione al vizio) del
peccato originale. Per cancellare la colpa e le conseguenze spirituali del
peccato originale è necessario il battesimo, che attua i meriti della
redenzione di Cristo salvatore, ma rimangono le conseguenze temporali. L’uomo
da sé sceglie con il libero arbitrio se cercare o meno la verità e dunque il
bene, ma la fede (ossia l’adesione ai meriti del sacrificio di Cristo che
redime) e dunque l’inizio della giustificazione, così come la perseveranza
finale, sono doni gratuiti di Dio, che si ottengono con la preghiera propria o
altrui. Del resto, lo stesso sant’Agostino diede il merito della propria conversione
alle preghiere e alle lacrime della madre, santa Monica. I meriti personali
accrescono la grazia. Dio predestina alla salvezza coloro che liberamente
aderiscono alla Chiesa, ricevono da Dio la fede e accrescono i meriti per
grazia. Dio vuole la salvezza di tutto il genere umano, ma condanna coloro che
ostinatamente perseguono il male.
Martin
Lutero e Calvino ripresero le accuse di Pelagio e dei semipelagiani,
tramutandole in lodi. Vi fu dunque una errata esegesi del pensiero di
sant’Agostino, oggi tornato in voga presso alcuni autori. Per costoro, la fede
è dono di Dio e i meriti personali non esistono. Senza il battesimo, tutti sono
inevitabilmente condannati all’inferno. Dio ha già predestinato dall’eternità
il numero di coloro che si salveranno, condannando il resto degli uomini. Il
libero arbitrio non esiste, che è servo del peccato originale. Ma già dal V
secolo, il prete Lucido della Gallia meridionale, credendo di seguire la
dottrina di sant’Agostino, giunge a sostenere che “Cristo, Signore e Salvatore
nostro, non è morto per la salvezza di tutti” e che “la prescienza di Dio
spinge l’uomo violentemente verso la morte, e chiunque si perde, si perde per
volontà di Dio”. Ma questa tesi fu confutata da san Fausto di Riez, discepolo
dello stesso Dottore, e condannata dai concili di Arles (473, 574),
ricondannata al II concilio di Orange (529) e dal papa Adriano I (785/791).
Gli
errori di Pelagio furono condannati da papi e concili (cfr. DS 222, 238, 371,
1520, 2616), gli errori dei semipelagiani dal II concilio di Orange (529), gli
errori dei protestanti dal concilio di Trento (1545-1563).