Il 26 giugno scorso, come noto e come già da noi ricordato in altra occasione (v. qui), con la celebre sentenza relativa al caso Obergefell v. Hodges, la Corte Suprema degli USA ha, contravvenendo al diritto dei
singoli Stati statunitensi, imposto a questi la legittimità delle nozze
omosessuali, obbligandoli di fatto a riconoscerle (v. testo della sentenza).
Una sentenza discussa e discutibile (v. qui), che specie negli Stati del Sud, ha
suscitato forti reazioni, che hanno fatto avanzare l’idea di una sorta di
obiezione di coscienza verso l’applicazione di questa decisione imposta dall’alto (v. qui, qui, qui, qui e qui), tanto più che - è stato giustamente obiettato - se il presunto amore (che più correttamente dovrebbe dirsi passione disordinata) debba essere il parametro cui rifarsi, perché legittimare solo l'unione di due persone e non già anche quella poligamica? (v. qui). In effetti, è partita dal Montana la battaglia per legalizzare la poligamia, come ci ricorda Tempi in altro contributo (v. anche qui), giacché un uomo, tale Nathan Collier, si è detto pronto a rivolgersi alla stessa Corte Suprema per vedere legittimato il suo desiderio di sposare due donne (v. qui e qui). Ovviamente analogo desiderio hanno espresso tre donne lesbiche del Massachusetts (v. qui).
Una sentenza, quella della Corte Suprema, che, paradossalmente, ha riacceso quei risentimenti tra Stati del Sud e Stati del Nord, che hanno portato a censurare persino la serie televisiva degli anni ottanta del secolo scorso Hazzard per un motivo davvero ... risibile e cioè per la presenza della bandiera confederata (v. qui), ritenuta, a torto, assimilabile alla svastica (v. qui).
La reazione della Chiesa statunitense verso la pronuncia, per la verità, è stata alquanto
timida, come ha osservato Rorate caeli riguardo al comunicato dell’arcivescovo
di Chicago, mons. Cupich (v. qui). Non è mancato chi abbia ricordato - in conformità con la dottrina della Chiesa - che, oggi, "The sin of sodomy is now called 'marriage:' a lie that is being perpetrated as a law" (v. qui), né la voce di qualche isolato vescovo coraggioso come quello di Rhode Island, mons. Tobin (v. qui). Né è mancato l'avvio di lodevoli petizioni affinché intervenga il Congresso (v. qui).
Anche il mondo dei social network è stato contagiato da questa pronuncia,
giacché, subito, Facebook, ad es., ha fatto girare un’applicazione, che
consentiva agli utenti l’apposizione di un filtro “arcobaleno” alle foto
relative ai propri profili, segnando una tappa nella campagna in favore dell'identità fluida (v. qui). Poco dopo, però, si è scoperto che si trattava di
un’indagine di mercato … (v. qui, qui, qui, qui, qui e qui). I veri cattolici - non quelli farlocchi e modernisti - si sono opposti a tale omologazione anche con ironia:
La foto-arcobaleno del fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg |
L'opposizione cristiana:
Intanto, dalle nostre parti, mentre mons. Paglia, discutibilmente, si dice
favorevole alla partecipazione delle coppie omosessuali all’incontro mondiale delle
Famiglie a Philadelphia (v. le dichiarazioni riportate da Zenit. Cfr. anche qui. In inglese, la notizia è rilanciata da Rorate caeli) e mons. Mogavero, per piacere al mondo, viene fuori con un'intervista assai discutibile (v. qui); il card. Caffarra, al contrario, ricorda la dottrina
tradizionale della Chiesa in tema di omosessualità (v. qui), la Russia celebra ed esalta, in rete, in polemica con la Babilonia statunitense, l’unione naturale tra un uomo ed una donna (v. qui), opponendosi al nuovo ordine mondiale come rilevato dal senatore USA John McCain (v. qui. Cfr. anche Massimo
Viglione, Putin e il mondo alla
rovescia, pubblicato su Riscossa cristiana e rilanciato da Chiesa e postconcilio). Non solo. Eleva anche monumenti alla famiglia tradizionale e naturale:
Monumento alla Famiglia felice di Astrachan |
Monumento alla Famiglia felice nella città di Saransk (Repubblica autonoma dei Mordvini) |
Monumento alla Famiglia felice nella città di Orel |
Monumento alla Famiglia felice nella città di Joshkar-Ola (Repubblica dei Mari) |
Monumento alla Famiglia felice nella città di Belgorod |
Monumento alla Famiglia felice nella città di Desnogorsk (provincia di Smolensk) |
Chi siamo noi per giudicare il matrimonio? Discorso davanti alla Storia del
giudice dissenziente sulle nozze gay
John G. Roberts
#LoveWins? Può darsi, ma che fine fanno la Costituzione e la democrazia in America?
Stralci dalla monumentale “dissenting opinion” del giudice capo della Corte
suprema Usa
«Nessuna unione è più
profonda del matrimonio, perché incarna i sommi ideali di amore, fedeltà,
devozione, sacrificio e famiglia. Nel formare un’unione coniugale, due persone
diventano una cosa più grande di quel che erano prima. Come dimostrano alcuni
dei ricorrenti in queste cause, il matrimonio incarna un amore che può
perdurare perfino oltre la morte. Sarebbe fraintendere questi uomini e donne
dire che non rispettano l’idea del matrimonio. La loro istanza è di poterla
rispettare, e rispettarla al punto di ricercarne il compimento per sé. La
loro speranza è di non essere condannati a vivere nella solitudine, esclusi da
uno degli istituti più antichi della civiltà. Chiedono eguale dignità agli
occhi della legge. La Costituzione garantisce loro questo diritto. La
sentenza della Corte di appello del Sesto Distretto è annullata. Così è
stabilito».
Con
queste considerazioni si conclude il parere con cui la Corte suprema degli
Stati Uniti ha accompagnato la «storica» sentenza di venerdì 26 giugno, con la
quale ha imposto a tutti gli Stati della federazione il riconoscimento del “same-sex
marriage”. Il verdetto è passato grazie alla decisione di 5 giudici contro
4. Caso eccezionale, ognuno dei quattro contrari ha voluto
depositare la propria ”dissenting opinion”. Proponiamo di
seguito in una nostra traduzione un’antologia di brani tratti dal parere
monumentale del giudice capo John G. Roberts.
Giudice capo Roberts,
a cui si uniscono il giudice Scalia e il giudice Thomas, in dissenso.
I ricorrenti offrono
argomenti forti fondati sulla politica sociale e su considerazioni di equità.
Sostengono che alle coppie dello stesso sesso dovrebbe essere consentito di
affermare il proprio amore e impegno attraverso il matrimonio, proprio come
alle coppie di sesso opposto. Questa posizione ha un appeal innegabile; negli
ultimi sei anni, elettori e legislatori di undici Stati e nel Distretto di
Columbia hanno modificato le loro leggi per consentire il matrimonio tra persone
dello stesso sesso.
Ma questa Corte non è
un’assemblea legislativa. Se il same-sex marriage sia una buona idea o meno non
dovrebbe essere un problema nostro. In forza della Costituzione, i giudici
hanno il potere di dire cosa è la legge, non cosa dovrebbe essere. (…)
Il diritto
fondamentale di sposarsi non comprende un diritto di far cambiare a uno Stato
la sua definizione di matrimonio. E la decisione di uno Stato di conservare il
significato del matrimonio che ha perdurato in ogni cultura lungo la storia
umana difficilmente può essere definita irrazionale. In breve, la nostra
Costituzione non converte in legge alcuna teoria del matrimonio. Il popolo di
uno Stato è libero di allargare il matrimonio per ricomprendere le coppie dello
stesso sesso o di mantenere la definizione storica.
Oggi tuttavia la
Corte compie un passo straordinario ordinando a ogni Stato di permettere e
riconoscere il same-sex marriage. (…) I sostenitori del same-sex marriage hanno
ottenuto notevoli successi nel tentativo di persuadere i loro concittadini –
attraverso il processo democratico – ad accogliere la loro visione. Tutto
questo finisce oggi. Cinque giuristi hanno chiuso il dibattito e convertito la
loro visione del matrimonio in materia di legge costituzionale. La sottrazione
di questa disputa al popolo getterà per molti una nube sul same-sex marriage,
rendendo un mutamento sociale eccezionale molto più duro da accettare.
La decisione della
maggioranza è un atto di volontà, non una sentenza legale. Il diritto che
proclama non ha basi nella Costituzione o nei precedenti di questa Corte. (…)
La Corte invalida le leggi sul matrimonio di più della metà degli Stati e
dispone la trasformazione di un istituto sociale che ha costituito la base
della società umana per millenni, tanto per i boscimani del Kalahari quanto per
i cinesi han, i cartaginesi e gli aztechi. Chi crediamo di essere?
Noi giudici possiamo
essere tentati di confondere le nostre preferenze con i requisiti della legge.
Ma come è stato ricordato a questa Corte lungo la storia, la Costituzione “è
fatta per persone di visioni fondamentalmente diverse” (…). Conseguentemente “le
corti non si occupano della saggezza e dell’avvedutezza della legislazione”
(…). La maggioranza oggi abbandona quella concezione limitata del ruolo giudiziario.
Si impossessa di una questione che la Costituzione lascia al popolo, in un
frangente in cui il popolo è coinvolto in un vibrante dibattito in materia. E
risponde sulla base non dei princìpi neutri della legge costituzionale, ma
della sua “comprensione di cosa è e cosa deve diventare la libertà”. Non posso
che dissentire.
Capite bene cosa
riguarda questo dissenso: il tema non è se l’istituto del matrimonio, a mio
giudizio, debba cambiare per includere il same-sex marriage. Il tema è invece
se tale decisione, nella nostra repubblica democratica, debba rimanere nelle
mani del popolo che si esprime attraverso i suoi rappresentanti eletti, o
passare in quelle di cinque dottori della legge che si ritrovano l’autorità di
risolvere dispute legali secondo la legge. La Costituzione non lascia spazio al
dubbio su questo.
I
I ricorrenti e i loro
periti fondano i loro argomenti sul “diritto di sposarsi” e sull’imperativo
della “marriage equality”. Non si discute sul fatto che, alla luce dei nostri
precedenti, la Costituzione protegga il diritto di sposarsi ed esiga che gli
Stati applichino le loro leggi sul matrimonio in maniera equa. La vera
questione in questi casi è: cosa costituisce il “matrimonio”, o – più
precisamente – chi decide cosa costituisce il
“matrimonio”?
La maggioranza queste
domande le ignora in larga misura, relegando secoli di esperienza umana del
matrimonio in un paio di paragrafi. (…)
A
Come riconosce la
maggioranza, il matrimonio “è esistito per millenni e attraverso le civiltà”.
Per tutti quei millenni, attraverso tutte quelle civiltà, “matrimonio” si
riferiva a un’unica relazione: l’unione di un uomo e di una donna. (…) Questa
definizione universale del matrimonio non è una coincidenza della storia. Il
matrimonio non si è concretizzato come risultato di un movimento politico,
di una scoperta, di una malattia, di una guerra, di una dottrina religiosa o di
qualunque altra forza trainante della storia mondiale – e di certo non come
risultato di una decisione preistorica di escludere gay e lesbiche. È emerso
nella natura delle cose per andare incontro a un bisogno vitale: assicurare che
i bambini siano concepiti da una madre e da un padre con l’impegno di crescerli
in una condizione stabile di relazione che dura tutta la vita. (…)
Le premesse che
sostengono questo concetto del matrimonio sono così fondamentali da richiedere
raramente un’articolazione. (…) Per il bene dei bambini e della società, i
rapporti sessuali che possono portare alla procreazione dovrebbero avvenire
solo tra un uomo e una donna che si impegnano in un legame duraturo. La società
ha riconosciuto tale legame come matrimonio. E conferendo alle coppie sposate
uno status rispettato e benefici materiali, la società invita gli uomini e le
donne a intrattenere relazioni sessuali all’interno del matrimonio piuttosto
che al di fuori.
(…)
In tutto, elettori e
legislatori di undici Stati e del Distretto di Columbia hanno modificato le
loro definizioni del matrimonio per includere le coppie dello stesso sesso. Le
alte corti di cinque Stati hanno decretato lo stesso nell’ambito delle loro
Costituzioni. I rimanenti Stati mantengono la definizione tradizionale del
matrimonio.
I ricorrenti hanno
intentato cause asserendo che le clausole del Due Process dell’Equal Protection
del 14esimo Emendamento obbligano i loro Stati a permettere e a riconoscere
matrimoni tra persone dello stesso sesso. In una deliberazione attentamente
ragionata, le Corti di appello hanno preso atto del “momentum” democratico
favorevole ad “allargare la definizione del matrimonio allo scopo di includere
le coppie gay”, concludendo però che i ricorrenti non avevano dimostrato “la
necessità di costituzionalizzare la definizione di matrimonio e di spostare la
questione da dove si trova fin dalla fondazione: nelle mani degli elettori”
(…). Questa decisione interpreta in maniera corretta la Costituzione, e io la
confermerei.
(…)
II
(…)
A
La pretesa di un “diritto
fondamentale” da parte dei ricorrenti ricade nella categoria più sensibile
della giustizia costituzionale. I ricorrenti non sostengono che le leggi sul matrimonio
dei loro Stati violino un diritto costituzionale esplicitato, come la libertà di espressione tutelata
dal Primo Emendamento. (…) Argomentano invece che le leggi violino un diritto implicito nel requisito del 14esimo Emendamento in
virtù del quale la “libertà” non può essere ridotta senza un “giusto processo”
[due process of law].
Questa Corte ha interpretato
la clausola del giusto processo [Due Process Clause] in modo da includere una
componente “sostanziale” per proteggere alcuni interessi di libertà dalle
deprivazioni sancite dallo Stato “a prescindere da qualunque processo” (…). La
teoria è che alcune libertà sono “così radicate nelle tradizioni e nella
coscienza del nostro popolo da essere ritenute fondamentali”. (…) Consentire a
giudici federali non eletti di scegliere quali diritti non esplicitati siano da
ritenere come “fondamentali” – e di demolire leggi statali in forza di tale
determinazione – solleva ovvie preoccupazioni circa il ruolo della giustizia.
(…)
La necessità di porre
limiti alla somministrazione della medicina del giusto processo sostanziale
[substantive due process] è una lezione che questa Corte ha imparato in modo
spiacevole. La Corte applicò per la prima volta il giusto processo sostanziale
[substantive due process] per colpire una legge nel caso Dred Scott v. Sandford
(1857). Allora la Corte invalidò il Missouri Compromise sulla base del
principio che la legislazione che restringeva l’istituto della schiavitù violava
i diritti impliciti dei padroni degli schiavi. Nel decidere, la Corte si affidò
alla propria concezione di libertà e di proprietà. Affermò che “un atto del
Congresso che priva un cittadino degli Stati Uniti della sua libertà o della
sua proprietà, solo perché si è trasferito o ha portato la sua proprietà in un
determinato Territorio degli Stati Uniti… difficilmente può essere degno del
nome di giusto processo [due processo of law]”. In un dissenso che
sopravvisse al parere della maggioranza, il giudice Curtis spiegava
che quando “le norme che governano l’interpretazione delle leggi vengono abbandonate,
e si permette alle opinioni teoretiche degli individui di controllare” il
significato della Costituzione, allora “non abbiamo più una Costituzione; ci
troviamo sotto il governo di individui che hanno temporaneamente il potere di
dichiarare cosa sia la Costituzione, secondo quello che a loro modo di vedere
essa dovrebbe dire”.
(…)
B
(…)
1
I temi che guidano la
maggioranza riguardano il fatto che il matrimonio è desiderabile e i ricorrenti
lo desiderano. Il parere descrive l’”importanza trascendente” del matrimonio e
insiste ripetutamente che i ricorrenti non cercano di “svilire”, “svalutare”, “denigrare”
o “mancare di rispetto” all’istituto. (…) Nessuno mette in discussione queste
cose. In effetti le convincenti presentazioni personali dei ricorrenti e di
altri come loro sono probabilmente tra le ragioni principali per cui molti
americani hanno cambiato idea sulla questione se alle coppie dello stesso debba
essere concesso di sposarsi. Tuttavia, in materia di legge costituzionale, la
sincerità dei desideri dei ricorrenti non è rilevante.
(…)
2
La maggioranza
suggerisce che “ci sono altri precedenti più istruttivi” che danno forma al
diritto di sposarsi. Sebbene non sia del tutto chiaro, il riferimento sembra
corrispondere a una linea di casi in cui è stato discusso un implicito “diritto
fondamentale alla privacy”. (…) Nel primo di questi casi, la Corte invalidò una
legge penale che bandiva l’uso dei contraccettivi. (…) La Corte evocò il
diritto alla privacy anche nel caso Lawrence v. Texas (2003), che annullò una
legge del Texas che puniva come reato la sodomia omosessuale. (…)
Né il caso Lawrence
né alcuno degli altri precedenti sulla privacy stabilisce il diritto che i
ricorrenti reclamano qui. Diversamente dalle leggi penali che vietavano i
contraccettivi e la sodomia, le leggi sul matrimonio impugnate qui non
comportano alcuna intrusione del governo. Non istituiscono un reato e non
comminano pene. Le coppie dello stesso sesso rimangono libere di vivere
insieme, di intrattenere rapporti intimi e di crescere le loro famiglie
come credono. Nessuno è “condannato a vivere nella solitudine” dalle leggi
contestate in questi casi – nessuno.
(…)
Insomma, i casi
relativi alla privacy non offrono alcun sostegno alla posizione della
maggioranza, perché i ricorrenti non cercano la privacy. Al contrario, cercano
il pubblico riconoscimento del loro rapporto, oltre ai relativi benefici governativi.
I nostri casi hanno sempre coerentemente negato alle parti in causa di
tramutare lo scudo fornito dalle libertà costituzionali in una spada per
reclamare diritti positivi dallo Stato. (…) Perciò, sebbene il diritto alla
privacy riconosciuto dai precedenti ha certamente un peso nella protezione dei
comportamenti intimi delle coppie dello stesso sesso, non fornisce alcun
diritto affermativo di ridefinire il matrimonio né alcuna base per colpire le leggi
in discussione qui.
(…)
3
(…)
Un interrogativo
immediatamente provocato dalla posizione della maggioranza è se gli Stati
debbano conservare la definizione del matrimonio come unione di due persone.
(…) Sebbene la maggioranza inserisca qui e là l’aggettivo “due”, non offre in
assoluto alcuna ragione per cui l’elemento delle due persone nella definizione
essenziale del matrimonio debba essere preservato e l’elemento uomo-donna
invece no. In verità, dal punto di vista della storia e della tradizione,
il balzo dall’opposite-sex marriage al same-sex marriage è ben più grande
di quello dall’unione di due persone alle unioni plurime, che hanno radici
profonde in alcune culture del mondo. Se la maggioranza vuole fare il grande
balzo, è difficile capire come possa dire no a quello più piccolo.
Colpisce quanta parte
del ragionamento della maggioranza potrebbe essere applicato con la stessa
efficacia alla pretesa di un diritto fondamentale al matrimonio plurimo. Se “c’è
dignità nel legame tra due uomini o due donne che vogliono sposarsi e nella
loro autonomia di fare scelte tanto profonde”, perché ci sarebbe meno dignità
nel legame fra tre persone che, nell’esercizio della loro autonomia, vogliono
fare la profonda scelta di sposarsi? Se due persone dello stesso sesso hanno il
diritto costituzionale di sposarsi perché altrimenti i loro bambini potrebbero “subire
lo stigma di sapere che le proprie famiglie sono in qualche modo meno”, perché
lo stesso ragionamento non si applicherebbe a una famiglia di tre o più persone
che allevano figli? Se non avere la possibilità di sposarsi “serve a mancare di
rispetto e a subordinare” le coppie gay e lesbiche, perché la stessa “imposizione
di questo svantaggio” non dovrebbe servire a mancare di rispetto e a
subordinare le persone che trovano compimento nelle relazioni poliamorose? (…)
Non intendo
equiparare il matrimonio delle coppie dello stesso sesso ai matrimoni plurimi
sotto tutti gli aspetti. Ci possono ben essere differenze rilevanti che esigono
diverse analisi legali. Ma se ci sono, i ricorrenti non ne hanno indicata una.
Interrogati sulle unioni coniugali plurime durante il dibattimento, i
riccorenti hanno affermato che il loro Stato “non ha istituti di questo
tipo”. Ma è proprio questo il punto: lo Stato in questione qui non ha neanche l’istituto
del same-sex marriage.
4
Verso la fine del suo
parere, la maggioranza offre forse l’illuminazione più chiara riguardo alla sua
decisione. Allargare il matrimonio per includere le coppie dello stesso sesso,
insiste la maggioranza, “non rischia di causare danni a loro né a
terze parti”. (…)
Storicamente, l’affermazione
del “principio del danno” appartiene più alla filosofia che alla legge. L’elevazione
della piena autorealizzazione individuale al di sopra dei vincoli che la
società ha espresso nella legge può essere o meno un tema affascinante di
filosofia morale. Ma l’autorità di Giudice non conferisce alcuno speciale
discernimento morale, filosofico o sociale tale da giustificare l’imposizione
ai cittadini di tali percezioni con il pretesto di un “giusto processo” [“due
process”]. C’è invece un processo dovuto [process due] al popolo su questioni
di questo tipo – il processo democratico.
(…)
IV
La legittimità di
questa Corte risiede ultimamente “nel rispetto accordato ai suoi giudici” (…). Tale
rispetto sgorga dalla percezione – e dal fatto – che noi esercitiamo le decisioni
sui casi con umiltà e senso del limite secondo la Costituzione e la legge. Il
ruolo della Corte concepito dalla maggioranza, invece, è tutto tranne che umile
e delimitato. A più riprese la maggioranza esalta il ruolo della magistratura
nel portare a compimento il mutamento sociale. A detta della maggioranza, tocca
alle corti, non al popolo, la responsabilità di rendere “nuove dimensioni della
libertà… legittime per le prossime generazioni”, di fornire il “discorso
formale” sulle questioni sociali e di garantire “discussioni neutre, prive di
commenti sprezzanti o denigratori”.
La stravagante idea
della supremazia della magistratura è particolarmente evidente nella sua
descrizione – e nel rigetto – della pubblica disputa intorno al same-sex
marriage. Sì, concede la maggioranza, da un lato ci sono millenni di storia
umana attraverso tutte le società conosciute che hanno popolato il pianeta. Ma
dall’altro lato ci sono stati un “ampio processo”, “molte meditate deliberazioni
delle Corti distrettuali”, “innumerevoli studi, articoli, libri e altri scritti
divulgativi e accademici”, e “più di 100” perizie solo in questi casi. A che
pro consentire la prosecuzione del processo democratico? È giunta l’ora che la
Corte decida il significato del matrimonio, sulla base della “interpretazione
meglio informata” di cinque giuristi riguardo a “una libertà che resta impellente
nella nostra epoca”. La risposta è di certo là, dentro una di quelle perizie o
ricerche.
Coloro che hanno
fondato il nostro paese non si riconoscerebbero nella concezione del ruolo
della magistratura che ha la maggioranza. Del resto rischiarono le proprie vite
e i propri beni per il prezioso diritto di governarsi da sé. Non avrebbero mai
pensato di cedere quel diritto a giudici non eletti e non responsabili su una
questione di indirizzo sociale. E di certo non avrebbero trovato soddisfazione
in un sistema che dà ai giudici il potere di calpestare le decisioni politiche
a condizione che lo facciano dopo “una discussione davvero ampia”. Nella nostra
democrazia, il dibattito intorno alle legge non è un requisito sufficiente ad
autorizzare i tribunali a imporre il loro volere.
(…)
Chiudendo questa
disputa in forza della Costituzione, la Corte la elimina dall’ambito della
decisione democratica. L’arresto del processo politico su un tema di rilevanza
sociale tanto profonda avrà conseguenze. Chiudere un dibattito tende e chiudere
le menti.
(…)
In tutti gli Stati
che hanno adottato democraticamente il same-sex marriage, il rispetto per le
sincere convinzioni religiose ha portato gli elettori e i legislatori ad
accogliere compromessi per la pratica religiosa. La decisione della maggioranza
che impone il same-sex marriage ovviamente non può realizzare compromessi
simili. La maggioranza gentilmente prospetta che i credenti possano continuare
a “difendere” e “insegnare” la loro visione del matrimonio. Il Primo Emendamento
tuttavia tutela la libertà di “esercitare” la
religione. Malauguratamente, la maggioranza non utilizza questa parola.
Si sollevano gravi
problemi quando le persone di fede esercitano la religione in modi che possono
essere percepiti in conflitto con il nuovo diritto al same-sex marriage –
quando, per esempio, un college confessionale offre alloggi per studenti sposati
solo a coppie di sesso opposto, o quando un’agenzia per le adozioni rifiuta di
sistemare i bambini presso coppie sposate dello stesso sesso. Per la verità, il
Procuratore generale ha candidamente ammesso che le esenzioni fiscali di cui
godono alcuni enti religiosi sarebbero messe in discussione se questi ultimi si
opponessero al same-sex marriage. (…) È probabile che simili questioni arriveranno
presto davanti a questa Corte. Purtroppo le persone di fede non possono trarre
alcun conforto dal trattamento che ricevono oggi dalla maggioranza.
Probabilmente l’aspetto
più scoraggiante della decisione odierna è la misura in cui la maggioranza si
sente in dovere di infangare chi nel dibattito sta dall’altra parte. La maggioranza
assicura in modo superficiale che non intende denigrare le persone che non
possono accettare il same-sex marriage per ragioni di coscienza. Difficile far
quadrare tale annuncio con l’affermazione immediatamente successiva, dove la
maggioranza spiega che “la conseguenza necessaria” delle leggi che codificano
la definizione tradizionale del matrimonio è la “umiliazione o stigmatizzazione”
delle coppie dello stesso sesso. (…) Secondo la maggioranza, gli americani che
non hanno fatto altro che seguire la visione del matrimonio che è esistita per
tutta la nostra storia – e in particolare i dieci milioni di persone che hanno
votato per confermare la definizione del matrimonio in vigore nei loro Stati –
hanno fatto in modo di “escludere”, “svilire”, “mancare di rispetto e
subordinare” e di “ferire la dignità” dei loro vicini gay e lesbiche. Questi
evidenti attacchi alla reputazione di persone per bene avranno effetti, nella
società e nei tribunali. Per di più sono del tutto gratuiti. Una cosa è
stabilire che la Costituzione tuteli un diritto al same-sex marriage; ben altro
è descrivere chiunque non condivida l’”interpretazione meglio informata” della
maggioranza come un bigotto.
(…)
* * *
Se siete fra i tanti
americani – di qualunque orientamento sessuale – che guardano con favore all’estensione
del same-sex marriage, allora celebrate in tutti i modi il verdetto di oggi.
Celebrate il raggiungimento di una meta ambita. Celebrate la possibilità di una
nuova forma di espressione dell’impegno affettivo. Celebrate la disponibilità
di nuovi benefici. Ma non celebrate la Costituzione. Non ha nulla a che fare
con essa.
I respectfully
dissent.
Fonte: Tempi, 2.7.2015
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