Oggi, il
Martirologio romano festeggia la martire Zoe, arrestata dai pagani, perché
nel natalis degli Apostoli, ella si era recata al Vaticano per
pregare. Il suo corpo fu deposto da Pasquale I nella basilica di Santa Prassede.
Sembra
che, attorno alla solennità degli Apostoli, la liturgia vi abbia raggruppato le
feste più legate a questa. Difatti, essa celebra oggi un altro grande devoto ed
emulo dell’apostolo Paolo: sant’Antonio Maria Zaccaria, canonizzato da Leone
XIII il 27 maggio 1897, che estese il suo ufficio a tutta la Chiesa con rito
doppio.
Questo
celebre predicatore lombardo fa parte del gruppo dei santi mandati da Dio nel
XVI sec. per effettuare in Italia quella riforma ecclesiastica, che era stata
troppo desiderata da molto tempo, ma che non potevano ottenere i soli canoni
del Concilio di Trento. Occorrevano degli uomini che li applicassero
eroicamente, e per far ciò occorrevano dei santi.
Antonio
morì a trentasei anni, il 5 luglio 1539, ma nel rapido corso della sua vita
elevò un edificio spirituale che sfida i secoli. La Congregazione religiosa
fondata da lui sotto il patronato dell’apostolo dei Gentili ha il merito di
aver aiutato efficacemente san Carlo Borromeo nella sua opera riformatrice ed
oggi ancora essa porta dei frutti abbondanti e magnifici.
Roma
cristiana ha dedicato al nostro Santo una chiesa nel rione Trastevere,
costruita nel 1933.
Tutta la
messa – che rivela subito lo stile di un redattore moderno – tende a
presentarci sant’Antonio Maria Zaccaria come un discepolo zelante ed un
imitatore dell’apostolo san Paolo.
Il
redattore, avendo voluto inserire una sintesi della vita del Santo nella
colletta, questa risulta satura di pensieri ed il cursus le fa
difetto. Il segreto di tutta la sorprendente attività del Santo ci è
manifestato da queste parole: alla scuola di Paolo, aveva imparato a conoscere
Gesù. Tutta la saggezza soprannaturale è lì, perché Gesù è difatti Dei virtus e Dei
sapientia.
La lettura
evangelica (Mc 10, 15-21), che vuole fare allusione alla gioventù del santo
Fondatore della Congregazione di San Paolo apostolo, riporta la chiamata allo
stato religioso del giovane che aveva consultato Gesù sul modo di salvare la
sua anima. Non si saprebbe come insistere su questa pagina dei Vangeli, che,
dall’età apostolica, ha riempito il mondo di monasteri e di case religiose. Ai
secolari, sebbene pratichino la virtù, manca sempre qualche cosa: Unum
tibi deest, cioè la sicurezza di poter perseverare al riparo dal peccato,
esposti come si è a mille pericoli ed occasioni, con l’uso indipendente della
propria volontà. Coloro, dunque, a cui Dio ha donato la grazia di comprendere i
vantaggi della vita religiosa – Jesus intuitus eum dilexit eum –
sono i suoi preferiti, perché hanno in mano i mezzi più efficaci per salvare se
stessi e gli altri.
Bisogna
meditare queste parole di san Gregorio Magno, inviate all’imperatore Maurizio,
che voleva impedire, con un editto, ai soldati ed ai decurioni di farsi monaci:
« Multi enim sunt qui possunt religiosam vitam etiam cum sæculari habitu
ducere. Et plerique sunt, qui nisi omnia reliquerint, salvari apud Deum
nullatenus possunt» (San Gregorio Magno, Ad
Mauricium Augustum, in Epistolarum, lib. III, Epist.
LXV, in PL 77, col. 663B). Per comprendere ciò va ricordato che i decurioni,
per sfuggire alle responsabilità pubbliche – assai onerose – tentassero di
abbandonare le curie cittadine. Uno dei modi per far ciò era entrare nella vita
religiosa. Di fronte alle sempre più frequenti vocazioni religiose dei
decurioni, nel 592 l’imperatore Maurizio si vide costretto ad emanare una
legge, in forza della quale chi fosse coinvolto in publicis
administrationibus non era permesso intraprendere la vita
ecclesiastica. Nell’agosto del 593, papa Gregorio gli manifestò il suo
apprezzamento per tale provvedimento, ma disapprovò il fatto che avesse
proibito pure l’entrata in monastero, visto che precedenti disposizioni di
legge avevano già stabilito che le congregazioni dovessero presentare i
rendiconti dei decurioni accolti al loro interno e, se necessario, pagarne i
debiti (cfr. Roberta Rizzo, Papa
Gregorio Magno e la nobiltà in Sicilia, Officina di Studi Medievali,
Palermo, 2008, p. 122. Su questa fuga di decurioni, cfr. L. De Salvo, I munera curialia
nel IV secolo. Considerazioni su alcuni aspetti sociali, in Atti
del X Convegno Internazionale dell’Accademia romanistica costantiniana (in
onore di Arnaldo Biscardi; Spello-Perugia-Gubbio, 7-10 ottobre 1991), ESI,
Napoli, 1995, pp. 291 ss., partic. pp. 301 ss.). Anzi, una legge di
Valentiniano III aveva statuito che i curiales, che avessero voluto
abbracciare lo status di religioso, per dimostrare la
sincerità della loro vocazione, erano tenuti a cedere tutti i loro beni alla
congregazione in cui entravano (così ricorda Roberta Rizzo, op. cit., pp. 122-123, nt. 22).
Nel novembre 597, il papa trasmise il testo di legge dell’imperatore Maurizio
ai vescovi delle diocesi sicule ed ai metropoliti delle città più importanti
dell’impero, stabilendo che quanti sono sottoposti agli obblighi del servizio
militare o dell’erario (militiæ vel rationibus publicis) non potessero
accedere alla vita ecclesiastica né entrare in monastero: forte era, in
effetti, la preoccupazione del pontefice – a differenza di quelle politiche
dell’imperatore – che le conversioni e le vocazioni non fossero genuine, in
quanto motivate dalla volontà di eludere i doveri nei confronti dello Stato (San Gregorio Magno, Ad Plurimos
Metropolitas et Episcopos, in Epistolarum, cit., lib.
VIII, Epist. V, in PL 77, col. 909B-910B). Per questo, prima di
entrare in monastero, dovevano esseri liberati a rationibus publicis (così
ricorda Roberta Rizzo, op.
cit., p. 123). Come rammenta la Rizzo (Roberta
Rizzo, op. cit., p. 123, nt. 24), già all’indomani della promulgazione
della legge dell’imperatore Maurizio, san Gregorio, nel luglio 592, aveva
raccomandato al vescovo di Squillace di non ordinare nessun sacerdote che
fosse curiæ obnoxius (San
Gregorio Magno, Ad Joannem Episcopum Squillacinum, in Epistolarum,
cit., lib. II, Epist. XXXVII, in PL 77, col. 575A-576A). Nel maggio
del 594 aveva chiesto al vescovo Gennaro di Cagliari di indagare quanti
volevano entrare negli Ordini sacri per scoprire se vi fosse qualcuno curiæ
obnoxius (Id., Ad
Januarium Episcopum, in Epistolarum, cit., lib. IV, Epist.
XXVI, ivi, col. 694B-696B).
L’antifona
per l’offertorio è tratta dal Sal. 138 (137) e fa allusione alla visione dei
santi Angeli di cui fu favorito sant’Antonio Maria Zaccaria durante la
celebrazione della sua prima messa.
Perché il
Salmista parla qui dei riguardi dovuti agli angeli nel momento stesso in cui
adoriamo Dio, loro Signore? I santi Padri rispondono: perché gli angeli sono
stabiliti da Dio ministri della sua giustizia e della sua misericordia nel
governo del mondo. Non saprebbero tollerare nessuna offesa alla divina Maestà,
né nessuna agitazione nell’ordine stabilito da Lui. Essi non saprebbero
tollerare alcun’offesa alla divina Maestà, né alcuno scuotimento nell’ordine da
lui stabilito. È per questa ragione che l’Apostolo vuole che nelle chiese le
donne, in segno di soggezione all’uomo, portino un velo sulla testa propter
Angelos, cioè per non offendere con un disordine le angeli preposti
all’osservanza delle regole stabilite.
Per
celebrare correttamente i divini misteri, bisogna salire al santo Altare con
quegli stessi sentimenti di adorazione e di amore che aveva Gesù quando li
istituì il giovedì santo nel cenacolo e li rinnovò di un modo cruento
l’indomani sulla Croce. Hoc enim
sentite in vobis quod et in Christo Jesu; «Abbiate
in voi gli stessi sentimenti che aveva Gesù Cristo» (Fil. 2, 5).
Nella
colletta di azione di grazie si fa allusione all’opera del santo Zaccaria
nell’istituzione e nella diffusione della pia devozione delle Quarantore.
L’adorazione del Santissimo Sacramento per quaranta ore consecutive fu
inaugurata a Milano nel 1547 su iniziativa di una confraternita, ma trovò in
sant’Antonio M. Zaccaria il suo propagatore più zelante. Pietro e Paolo
sono due figure trascendenti, che riempiono per tutti i secoli la storia della
Chiesa. Tutto il potere gerarchico, che regge fino agli estremi confini del
mondo la famiglia cristiana, emana da Pietro come da una sorgente; la più
maggior parte della rivelazione dogmatica del Nuovo Testamento viene da Paolo, da
cui pure dipendono, come il Dottore delle Genti, tutti i Padri ed i
Predicatori. Così, mentre Pietro governa e regge il gregge di Cristo, Paolo
insegna, e qual scuola è quella di Paolo! Quali uomini apostolici non ha
formato? Uomini che rispondono ai grandi nomi di Timoteo, Tito, Ignazio,
Policarpo, Giovanni Crisostomo, e, dopo una lunga serie mai interrotta di
apostoli e di giganti del cristianesimo, sant’Antonio Maria Zaccaria e san
Paolo della Croce.
Giovanni Gualassini, S. Antonio Maria Zaccaria, XX sec., museo diocesano, Modena-Nonantola |
E. Pierini, S. Antonio M. Zaccaria, 1898, museo diocesano, Perugia-Città della Pieve |
Mattia Traverso, S. Antonio M. Zaccaria, XX sec., Parrocchia S. Sebastiano, Livorno |
Nessun commento:
Posta un commento