Mentre nel nostro continente si pensa a profanare il
suolo europeo con vari gay pride ed in Italia si parla di “diritti civili” e di teoria del gender (v. da ultimo qui);
mentre in Francia si vuole impedire persino ai calciatori di segnarsi col Segno
di Croce per rispettare la “laicità” (v. qui), si fa sempre più concreto il pericolo di
una conquista islamica, il cui centro di gravità è e rimane Roma. L’Europa ha abbandonato
Dio e, per questo, non pensa neppure a se stessa ed al pericolo che su di essa
incombe. A quest’Europa, divenuta ormai a-cristiana e sostanzialmente pagana,
possono ben applicarsi le parole che san Paolo, nell’Epistola ai Romani,
applicava ai Greci del suo tempo: «Mentre si dichiaravano sapienti, sono
diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine
e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò
Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da
disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di
Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del
creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a
passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti
contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con
la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti
ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva
al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha
abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è
indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di
cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di
malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni,
ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza
misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali
cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le
fa» (Rom. 1, 22-32).
Ben volentieri rilancio quest'articolo del prof. De Mattei, tradotto in inglese da Rorate caeli.
L’obiettivo finale è sempre Roma
di Roberto de Mattei
La prima decapitazione islamica sul suolo europeo dai tempi della battaglia
di Vienna (1683) è avvenuta, il 26 giugno 2015, mentre il “campione” dell’Occidente,
Barack Obama, celebrava trionfalmente la legalizzazione dei “matrimoni”
omosessuali imposta dalla Corte suprema degli Stati Uniti in tutti gli Stati
dell’Unione.
Esattamente vent’anni prima, il 21 giugno 1995, venne ufficialmente
inaugurata la moschea islamica di Roma, la più grande d’Europa, presentata come
centro di dialogo ecumenico e di pace religiosa. L’unica voce di protesta che
si levò in Italia fu quella del Centro Culturale Lepanto, che promosse un
rosario di riparazione presso la chiesa di San Luigi Gonzaga, adiacente alla
moschea, e in un comunicato definì la costruzione del centro islamico nel cuore
della Città Eterna come «un atto simbolico di gravità
inaudita. Roma è il centro della Fede cattolica: l’Islam nega alle radici le
verità fondamentali della nostra fede e si propone di impiantare sui resti di
quella che fu la Civiltà cristiana occidentale il suo dominio universale».
In quella stessa epoca, tra il 1992 e il 1995, si svolgeva la guerra etnica
e religiosa di Bosnia, la prima guerra mediatica dell’epoca moderna, ma anche
la più travisata dai media. La versione politicamente corretta del conflitto
offriva l’immagine di un governo prevalentemente musulmano, ma di fatto multiculturale,
assediato da nazionalisti radicali, croati e serbi, decisi ad annientare i
musulmani in Bosnia.
La verità ignorata era che la Bosnia fu il primo fronte della Jihad globale
di al-Qa’ida, il primo evento internazionale da cui l’Islam
trasse un enorme beneficio. John R. Schindler, un analista americano che
trascorse quasi un decennio nell’area balcanica, ha svolto di quella guerra una
penetrante analisi (Unholy Terror: Bosnia, Al-Qa’ida, and the Rise of Global Jihad,
Zenith Press, St Paul, Minnesota 2007), che coincide in molti punti con quella
dello studioso di geopolitica Alexandre Del Valle (Guerres contre l’Europe, Edition
des Syrtes, Paris 2000).
Fu negli anni Novanta, in Bosnia, che al-Qa’ida, divenne
la multinazionale del jihad, sotto la guida di Osama Bin Laden e dei suoi
mujaheddin. L’Arabia Saudita, che aveva pagato con trentacinque milioni di
dollari la costruzione della moschea di Roma, ne spese centinaia per finanziare
i combattenti della guerriglia islamica, incoraggiando i giovani musulmani di
tutto il mondo a intraprendere la guerra santa in Europa. Il primo atto della
Bosnia indipendente, che restava un paese a maggioranza cristiana, fu l’adesione
all’Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI), che raccoglie 57 Paesi di
religione musulmana, uniti dal fine di propagare lasharī’a nel
mondo.
Fin da allora appariva chiaro come l’Islam si muoveva secondo due linee
strategiche. La linea “dolce” puntava sulla islamizzazione della società
attraverso la rete delle moschee, che costituiscono un centro di propaganda
politica e religiosa, ma anche di reclutamento militare, come quella di Milano,
in viale Jenner, che fungeva da base operativa per far giungere uomini, denaro
e armi in Bosnia. Espressione di questa strategia di espansione «gramsciana» sono i Fratelli Musulmani, fondati da Hasan
al-Banna nel 1928, un movimento, come ricorda Magdi Allam, che «promuove l’islamizzazione della società a partire dal basso,
tramite il controllo delle moschee, dei centri culturali islamici, delle scuole
coraniche, di enti caritatevoli e di istituti finanziari» (Kamikaze made in Europe, Mondadori, Milano 2005, p.
22).
A questa linea strategica “dolce”, si affianca, ma non si contrappone,
quella “leninista”, dell’islamismo radicale, che vuole giungere all’egemonia
mondiale attraverso gli strumenti della guerra e del terrorismo. Questa linea
dura ha visto negli ultimi anni il passaggio da al-Qa’idaall’Isis,
uno Stato islamico che si estende dalle periferie di Aleppo, in Siria, a quelle
di Baghdad, in Iraq, e ha come mèta dichiarata la ricostituzione di quel
califfato universale che, come ha spiegato fin dagli anni Novanta la principale
studiosa dell’Islam, Bat Ye’Or, non è il
sogno dei fondamentalisti, ma l’obiettivo di ogni vero musulmano.
Le diverse linee strategiche dell’Islam convergono oggi in un medesimo
progetto globale di conquista. Nell’atto di fondazione del califfato jihadista,
la predica dalla moschea di Mosul, del 4 luglio 2014, Abu Bakr al Baghdadi, ha
chiamato tutti i musulmani a unirsi a lui: se lo faranno, ha promesso, l’Islam
arriverà fino a Roma e dominerà l’orbe terracqueo. Nei video diffusi dall’Isis
appare la bandiera nera del califfato che sventola sul Vaticano, il Colosseo in
fiamme e un mare di sangue che lo sommerge. Infine, l’annuncio del califfato
libico, «siamo a sud di Roma», mentre Abu Muhammed al Adnani,
portavoce dello Stato islamico dell’Iraq e della Grande Siria, annuncia: «Conquisteremo la vostra Roma, faremo a pezzi le vostre croci,
ridurremo in schiavitù le vostre donne».
Lo stesso obiettivo è annunciato da oltre dieci anni dal principale
esponente dei Fratelli Musulmani, l’imam Yusuf al Qaradawi che in una fatwa promulgata il 27 febbraio 2005, ha
dichiarato che «alla fine, l’Islam governerà e sarà il padrone
di tutto il mondo. Uno dei segni della vittoria sarà che Roma verrà
conquistata, l’Europa verrà occupata, i cristiani saranno sconfitti e i
musulmani aumenteranno e diventeranno una forza che controllerà tutto il
continente europeo».
Yusuf Qaradawi che, dopo aver guidato la “primavera araba” egiziana, è
stato condannato a morte in contumacia dalla Corte d’Assise del Cairo il 16
giugno di quest’anno, è il presidente del European Council for Fatwa and
Research, con sede a Dublino, punto di riferimento teologico delle organizzazioni
islamiche legate ai Fratelli musulmani. Le sue idee diffuse attraverso il
canale satellitare Al Jazeera, influenzano
larga parte dell’Islam contemporaneo. Per i Fratelli Musulmani, come per l’Isis,
l’obiettivo finale non è Parigi o New York, ma la città di Roma, centro dell’unica
religione che, fin dalla sua nascita, l’Islam vuole annientare. Il vero nemico
non sono gli Stati Uniti o lo Stato di Israele, che non esistevano quando l’Islam
arrivò alle porte di Vienna, nel 1683, ma la Chiesa cattolica e la Civiltà
cristiana, di cui la religione di Maometto rappresenta una diabolica parodia.
Oggi però, da Roma, non risuonano le parole con cui san Pio V e il Beato Innocenzo
XI incitarono alla Guerra Santa e arrestarono la marcia conquistatrice dell’Islam
a Lepanto e a Vienna. E se Papa Francesco condivide le parole del Primo
Ministro Inglese David Cameron secondo cui gli attentati del 26 giugno non sono
nel nome dell’Islam, perché l’Islam è una religione di pace, la battaglia, sul
piano umano, può dirsi perduta.
La risposta dell’Occidente alle proclamazioni e ai gesti di guerra dell’Islam
sembra essere riassunta dall’hashtag LoveWins, con cui la
lobby omosessualista inonda twitter e facebook. L’inversione di valori che
questo messaggio esprime è destinata a capovolgersi nel contrario di ciò che
afferma: non la vittoria, ma la schiavitù, come destino di un mondo che rinnega
la sua fede e capovolge i princìpi dell’ordine naturale.
Eppure nulla è irreversibile nella storia. Un altro hahstag meriterebbe di
diffondersi come una silenziosa, ma travolgente parola d’ordine sui social
network: in hoc Signo vinces, l’insegna che era impressa sulla
bandiera di Costantino a Saxa Rubra e che contiene la storia dei secoli futuri,
quando gli uomini corrispondono alla Grazia divina. L’aiuto del Cielo non manca
mai quando ci sono uomini di buona volontà che combattono affinché la Croce di
Cristo vinca e regni nelle anime e nella società intera. Ci sono ancora questi
uomini in Occidente?
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