Nella memoria di S.
Elisabetta del Portogallo, regina e vedova del tirannico re portoghese Diniz, morta nel 1336 e pronipote dell'omonima Santa sovrana d'Ungheria, rilancio quest’interessante saggio di
Carlo Manetti sulla sentenza della Corte Suprema USA che ha liberalizzato, in
tutti gli Stati USA, il c.d. matrimonio omosessuale, di cui abbiamo già parlato (v. qui).
Realismo
e volontarismo. Cosa c’è alla base di una sentenza assurda
La sentenza del 26 giugno 2015 della Corte Suprema Americana sul cosiddetto
“matrimonio” tra omosessuali rappresenta una vittoria dell’irrazionalismo
volontarista. Si immagina la vita come regolata dalla volontà; ma la volontà,
privata della guida della ragione, viene snaturata nella sua stessa essenza,
privata del suo fine e ridotta a delirante strumento dell’opposto del suo
scopo…
di Carlo Manetti
La sentenza di venerdì 26 giugno scorso della Corte Suprema degli Stati
Uniti d’America ripropone, in maniera tragica, il tema dello scontro tra il
realismo razionale e l’irrazionalismo volontarista. Se, a prima vista, essa
appare (confronta articolo) come l’ultima
battaglia, anche se, oggettivamente, la più importante, della guerra tra la
concezione testualista ed originalista (il diritto e, soprattutto, la Costituzione
dicono ciò che dicono, indipendentemente dagli interessi materiali ed
ideologici delle parti in causa) e quella ideologica del diritto (la
Costituzione ha indicato un modello ideologico, una via, in continua evoluzione,
e tocca all’interprete e, quindi, in primo luogo al giudice interpretare e, se
del caso, forzare il diritto fino a renderlo docile strumento attuativo dell’ideologia),
questa lotta ne sottende un’altra più antica e più generale: quella tra la natura
e la volontà.
Da sempre, le concezioni del diritto e, conseguentemente, della legge si
possono raggruppare due grandi filoni: quello, lato
sensu, giusnaturalista e quello, lato sensu, giuspositivista.
Il giusnaturalismo è l’applicazione al diritto della filosofia realistica,
mentre il giuspositivismo è la branca giuridica della filosofia volontarista.
La lettura realistica della realtà (altro modo di definire la filosofia
realistica) è un’ovvietà, quasi una tautologia, come il bisticcio di parole che
la esprime significa molto bene: la realtà è ciò che esiste “realmente”, vale a
dire in sé e non solo nel pensiero del soggetto che la pensa. Risulta, quindi,
ovvio che un pensiero, per essere realistico, veritiero e non illusorio, deve
rappresentare in maniera fedele il suo oggetto; il compito del pensiero è,
pertanto, eminentemente passivo: il pensiero è come una pellicola fotografica,
che si deve lasciare impressionare dalla luce, con la conseguenza che maggiore
è la sensibilità (e, dunque, la profondità) del pensiero e maggiore sarà la sua
fedeltà al reale. Lo stesso processo astrattivo, che permette di passare dalla
conoscenza sensibile dei fenomeni a quella razionale dei concetti, non è altro
che un riconoscimento più profondo della realtà: una fotografia fatta con una
pellicola molto più sensibile, nel paragone precedente.
La filosofia realistica non è altro che il riconoscimento del fatto che
esiste una realtà e che compito dell’uomo, in quanto essere razionale, è quello
di conoscerla e, conseguentemente, prendere atto, anche nel comportamento,
della realtà conosciuta. Questo compito non è solo doveroso, ma anche
possibile. La ragione umana è comune a tutti gli uomini e, qualora non sia
intaccata da patologie e/o da incrostazioni ideologiche, procede nella medesima
maniera in tutti gli uomini.
Esistono, però, correnti di pensiero che si oppongono a tanta linearità. Il
punto di partenza è la passività del processo astrattivo: esso è passivo,
semplice acquisizione della realtà, solo se esistono realmente gli universali,
vale a dire le realtà di cui i concetti, che, con tale processo, la mente
acquisisce, sono rappresentazione. La teoria che ne nega l’esistenza e li
riduce a semplice flatum vocis si chiama,
appunto, nominalismo. La sua prima conseguenza è l’eliminazione del concetto
stesso di natura.
Natura ed universale coincidono[1].
Ridurre gli universali a semplici nomi o, come fa, genialmente, quanto
improvvidamente, Abelardo[2] (1079-1142),
a concetti, privi di una loro esistenza reale, significa ridurre la natura all’insieme
delle caratteristiche accidentalmente comuni a più individui, riuniti in un
insieme arbitrariamente deciso dal classificatore.
L’eliminazione del concetto di natura apre la strada a tutte quelle
dottrine note, nel loro complesso, con il nome di Volontarismo. Se non esiste
una natura, ma esistono solo enti singoli, all’essere umano è preclusa ogni
conoscenza veramente scientifica, essendo stata completamente eliminata ogni
forma di metafisica. Essendo, così, eliminato il suo stesso fine, vale a dire
la conoscenza della verità, la ragione tende a perdere quasi ogni valore. Si
immagina la vita come regolata dalla volontà; ma la volontà, privata della
guida della ragione, viene snaturata nella sua stessa essenza, privata del suo
fine e ridotta a delirante strumento dell’opposto del suo scopo.
Negli animali l’istinto è perfetto, in quanto non è stato creato per
sottomettersi a null’altro che a se stesso. Negli uomini, invece, gli istinti
non hanno la perfezione e l’impermeabilità che posseggono negli animali, poiché
debbano essere governati ed incanalati dalla ragione. L’anima razionale dell’uomo
deve governare tutto l’essere umano e, quindi, gli istinti umani sono fatti per
essere governati dalla ragione e, dunque, necessitano della guida razionale per
raggiungere il loro grado di perfezione. La volontà è lo strumento attraverso
il quale la ragione conduce gli istinti a servire le finalità che ella
determina; la volontà è la determinazione dell’uomo a perseguire le finalità
della sua anima razionale.
Risulta di ogni evidenza che, senza le finalità prodotte dalla ragione, la
volontà non ha uno scopo verso cui indirizzare gli istinti. La gravità dell’irrazionalismo
volontarista sta proprio qui: la volontà – che per natura non ha fini propri,
ma attua fini che le vengono dalla ragione – nel momento in cui la ragione non
esercitasse più la sua guida, si troverebbe, inesorabilmente, a dover obbedire
agli istinti, con un assoluto e totale ribaltamento delle gerarchie all’interno
della persona. Questo è quanto affermato da Sigismund Schlomo Freud
(1856-1939), attraverso il concetto di inconscio: l’inconscio, che per Freud è,
di fatto, sempre subconscio (vale a dire istinti), governa la ragione, che
finge di dare ordini alla volontà, ma, in realtà, esegue gli ordini degli
istinti.
Il volontarismo, normalmente, tenta di coprire questo ribaltamento,
evitando spiegare che cosa intenda per volontà ed esaltando termini quali
«sentimenti», «passioni»… Si giunge persino a parlare di «dedizione», senza,
ovviamente, specificare a chi o a cosa.
Il volontarismo nasce in ambito teologico, come estrema esaltazione dell’onnipotenza
della libertà di Dio. Si afferma che Dio non può essere limitato dalla ragione,
altrimenti la ragione sarebbe più grande di Dio; se ne deduce che di Dio noi
possiamo conoscere ed apprezzare unicamente la volontà; fino a ridurre Dio a
pura volontà. L’ovvia conseguenza di ciò è l’assoluta inconoscibilità di Dio,
nella sua ontologia, ed il rifiuto di ogni esame razionale sia della Fede che
della morale. Questa visione si adatta perfettamente all’Islam, come ha molto
ben chiarito il persiano Abu Hāmid Mohammad ibn Mohammad al-Ghazālī
(1058-1111), forse il più grande teologo islamico.
Il volontarismo teologico trova la sua massima espressione nella cosiddetta
«teologia afasica»[3],
che nega che di Dio si possa dire alcunché. Queste teorie hanno avuto una certa
penetrazione anche nel Cristianesimo, soprattutto nel tentativo di esaltare la
trascendenza divina, contro le riduzioni della Fede a pura filosofia.
Il volontarismo lascia qualche traccia in alcuni settori della teologia
francescana, a partire da Giovanni Duns Scoto (1265-1308), che esaltava la
superiorità della volontà rispetto alla conoscenza. La teologia francescana ha
condotto una durissima lotta contro l’intellettualismo all’interno del Cattolicesimo,
esaltando sempre la dimensione mistica ed il rapporto amoroso con Dio. È in
questo senso che vanno intese le parole di Duns Scoto, geniale complesso
teologo, che, però, è stato portato alle sue estreme conseguenze e, forse,
stravolto da Guglielmo d’Occam (1285-1347), il vero fondatore del volontarismo
teologico in seno al Cristianesimo. Occam separa in senso assoluto Fede e
ragione, disprezzando ogni tentativo razionale di comprensione.
Dal volontarismo teologico, il passo verso il volontarismo gnoseologico è
breve: se Dio non è razionale e, conseguentemente, non è razionalmente
comprensibile, nemmeno il creato è comprensibile attraverso la ragione. La
conseguenza è l’impossibilità di comprendere il mondo circostante, gli altri
uomini e, in ultima analisi, se stessi. Il vuoto, lasciato dall’eliminazione
della ragione del suo ruolo, viene riempito dalla sovra esaltazione di tutto
ciò che non è razionale: passioni, sentimenti, istinti, potere…
Sul piano della filosofia politica, il passaggio dal volontarismo teologico
a quello gnoseologico e politico avviene con l’Illuminismo, anche se vi sono
tentativi che lo precedono, quali, ad esempio, la scuola giuridica gallicana di
Marsilio da Padova (1275-1342), Niccolò Machiavelli (1469-1527) o tutto il
contrattualismo inglese seicentesco; ma nessuno di questi precursori raggiunge
la completa coerenza dell’irrazionalismo della filosofia dei Lumi. L’Illuminismo
è, dottrinalmente, la completa negazione della capacità della ragione di
conoscere il vero e, conseguentemente, è la dottrina (rectius l’insieme delle dottrine) che porta a più
completo compimento il volontarismo.
Con la filosofia realistica, la politica è parte dell’etica e l’etica
discende dalla conoscenza della realtà, attraverso la ragione. La politica è,
quindi, subordinata al diritto naturale, discende dall’etica naturale, che, a
sua volta, deriva dalla natura stessa dell’uomo. Il fine della politica è il
bene comune, vale a dire l’applicazione alla situazione concreta del diritto
naturale, che, rispecchiando, come abbiamo detto, la natura umana, fa il bene
dei singoli e delle comunità, che, in ultima analisi, coincidono.
Con il volontarismo e, in modo particolare, con l’Illuminismo, è l’attuazione
della volontà del detentore del potere politico; tale volontà diviene bene per
definizione e, quindi, tanto i singoli quanto le comunità debbono piegarsi ad
essa.
Sul piano più squisitamente giuridico, la filosofia realistica conduce al
giusnaturalismo, vale a dire alla diretta applicabilità del diritto naturale
quale norma, diremmo con linguaggio contemporaneo, «di rango sovra
costituzionale», con la conseguenza che una legge che dovesse violare il diritto
naturale non sarebbe, già sul piano giuridico, una legge, bensì un crimine
sotto le mentite spoglie di norma. In quest’ottica, non esiste differenza
concettuale tra le norme interne di un’organizzazione criminale e, ad esempio,
la nazista «Soluzione Finale» o la legge 194 del 1978 per la legalizzazione
dell’aborto in Italia.
Con il volontarismo, invece, come abbiamo visto, non esiste nessun diritto
superiore alla volontà del legislatore (o del detentore del potere politico che
dir si voglia), con l’ovvia conseguenza che, negli esempi fatti sopra, la
«Soluzione Finale» o la legge 194 del 1978 divengono leggi vigenti, con l’obbligo
giuridico di osservarle.
Ecco che, in quest’ottica, chiunque si trovi nella materiale possibilità di
farlo può imporre al resto dei consociati ogni suo capriccio. Ecco che la Corte
Suprema degli Stati Uniti può imporre che in tutta l’Unione la volontà di due
persone del medesimo sesso di consumare stabilmente ripetutamente rapporti
contro natura debba essere definita «matrimonio»[4],
qualora ottenga il timbro governativo.
[1] Quando usiamo il termine «universale»,
sottolineiamo l’aspetto concettuale di questa realtà; quando, invece, usiamo il
termine «natura», sottolineiamo l’aspetto ontologico della medesima realtà.
[3] dal verbo greco φημί (femì), che significa
«parlare», preceduto dall’α, cosiddetto «privativo», che nega il significato
della parola che lo segue.
[4] L’etimologia della parola matrimonio rende
queste affermazioni pseudo giuridiche ancora più ridicole. «Matrimonio» deriva
dall’unione delle parole latine mater (madre) e munus (compito, dovere); il matrimonio è, quindi,
la situazione giuridica che permette alla donna di compiere il suo dovere di
madre, cioè di mettere al mondo dei figli legittimi.
Fonte: Riscossa cristiana, 6.7.2015
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