martedì 28 luglio 2015

Se Lutero si traveste da santo e dottore ....

Nella memoria liturgica dei SS. Nazario e Celso, martiri, rilancio quest’interessante studio ricevuto:


Se Lutero si traveste da santo e dottore

di Gaetano Masciullo

Il pensiero agostiniano è stato di importanza capitale per lo sviluppo della teologia cristiana nei primi secoli, sia per difendere l’ortodossia dalle numerose e perniciose eresie che volevano introdurre “novità” nel pensiero cristiano (si pensi alle battaglie teologiche che Agostino rivolse contro manichei, pelagiani, donatisti, semipelagiani…), sia per approfondire meglio alcuni dogmi, come quello della Trinità.
Sant’Agostino di Ippona si avvalse ben presto del titolo, riconosciutogli dalla Chiesa, di Dottore, cioè di autorità indiscussa in teologia, e difatti fece scuola per buona parte del medioevo cristiano, fino a quando non prevalsero l’aristotelismo e la scolastica di san Tommaso d’Aquino.
Tuttavia, soprattutto a partire dal XX secolo, è prevalsa in ambito accademico una corrente esegetica del pensiero agostiniano in verità erronea, che non rende giustizia alle originarie intenzioni del santo vescovo di Ippona. In particolare, Odilo Rottmanner (1841-1907) con la sua opera Agostinismo (1892) affermò che il pensiero di sant’Agostino è da ricondurre fondamentalmente alla “dottrina della predestinazione incondizionata e della volontà salvifica particolare che sant’Agostino ha perfezionato di preferenza nell’ultimo periodo della sua vita”, cioè dal 418 in poi. In cosa consisterebbe dunque questa dottrina?  Tutti gli uomini nascerebbero peccatori e meritevoli della dannazione, a causa del peccato originale, ma Dio sceglierebbe per un atto di misericordia proveniente esclusivamente dalla sua volontà (detta per questo volontà salvifica) chi sottrarre a questa inevitabile e giusta condanna. Da parte degli eletti, cioè dei predestinati alla salvezza, non ci sarebbe alcun merito, sia per quanto riguarda la fede (che è dono esclusivo della grazia divina) sia per quanto riguarda le opere, che sono conseguenze della fede. Dio dunque non vorrebbe salvare tutti gli uomini, ma solo pochi eletti: per questo motivo la volontà salvifica di Dio sarebbe particolare, non universale. Lo scandalo del cristianesimo non consiste nel fatto che la maggioranza degli uomini si dannino, ma nel fatto che pochi riescano a salvarsi. La salvezza degli eletti è un dono gratuito di Dio, assolutamente immeritato.
A questo punto ci chiediamo: questa tesi della predestinazione così esposta non ci ricorda forse la tesi di un altro teologo, vissuto molti anni dopo sant’Agostino? Non furono forse Martin Lutero e Calvino ad affermare che Dio salva per sola grazia pochissimi uomini da lui eletti e che l’uomo senza la grazia è inevitabilmente condannato a compiere il male? Non fu forse Giansenio a muovere contro s. Agostino le stesse accuse dei pelagiani, ormai mutate in lodi? Dunque, Lutero non avrebbe “radicalizzato il pensiero agostiniano”, come si è soliti dire, ma al contrario avrebbe semplicemente ribadito quanto s. Agostino insegnò nelle sue opere. Ma allora, ci chiediamo, perché uno è stato proclamato santo e dottore e l’altro condannato come eresiarca e rivoluzionario contro Dio? Evidentemente, i conti non tornano.
Secondo l’esegesi di Rottmanner, per sant’Agostino la libertà dell’uomo non esiste, se non nei limiti della perseveranza che l’uomo adopera per rimanere nella grazia divina e quindi per conservare la fede donatagli. Padre Agostino Trapé (1915-1987), priore generale dell’Ordine agostiniano, difese a spada tratta la corretta esegesi del pensiero del vescovo ipponate dalle strumentalizzazioni moderniste e “protestantizzanti”. Egli, in un articolo pubblicato nel 1963 sulla rivista Divinitas, dal titolo A proposito di predestinazione: S. Agostino e i suoi critici moderni, scrive: “Si sa quali critiche e quali accuse suscitasse a suo tempo questa dottrina da parte dei pelagiani. Possiamo ridurle a quattro capi, tutti e quattro gravissimi. L'agostinismo - dicevano - nega il libero arbitrio, nega che il battesimo rimetta il peccato originale, proclama il fatalismo, e riduce il pensiero cristiano al manicheismo. S. Agostino rispose, dimostrò l'infondatezza, anzi la malafede, di quelle accuse e ribadì, chiarendola, la sua dottrina. L'agostinismo trionfò. La Chiesa riconobbe come valida, nelle linee essenziali, quella difesa e annoverò il vescovo d'Ippona tra i suoi maestri migliori: inter magistros optimos. Le accuse, anche quelle mosse dai semipelagiani, non tardarono a cadere, ed i teologi, da allora in poi, guardarono a S. Agostino come al Dottore della grazia, la cui autorità era venerabile presso tutti. Con il protestantesimo e con il giansenismo quelle accuse si trasformarono in lodi, lodi non vere, che la Chiesa respinse e S. Agostino aveva respinto ante litteram. Oggi, qua e là, si preferisce tornare alle accuse. Di tanto in tanto, infatti, si propongono interpretazioni di S. Agostino che sono molto vicine, quando non siano proprio identiche, a quelle che ne davano i pelagiani; e non solo da parte dei razionalisti, che fanno del vescovo d'Ippona - com'è noto - il creatore dei dommi del peccato originale e della grazia, ma anche - e la cosa riveste un carattere di particolare gravità - da parte di studiosi cattolici”.
Sant’Agostino fu per secoli chiamato Doctor Gratiae et Libertatis. Per il santo vescovo il rapporto tra libertà e grazia non si trasforma in un dilemma, in una scelta esclusiva tra le due, ma in un binomio, una coesistenza. La grazia non annulla la libertà umana, né la libertà umana annulla la libertà divina, che si manifesta appunto nella grazia. San Tommaso d’Aquino bene spiega nell’opera Contra errores graecorum il motivo per il quale alcune opere dei Padri della Chiesa possano sembrare ambigue (come ambiguo potrebbe sembrare, ad una superficiale lettura, il pensiero di s. Agostino sul rapporto tra libertà e grazia): “Ci sono, a mio avviso, due ragioni per cui alcune affermazioni degli antichi Padri Greci risultano ambigue se paragonate alle nostre contemporanee. Primo, perché una volta che gli errori riguardanti la fede si manifestavano, i santi Dottori della Chiesa divenivano più circospetti nel modo di esporre i punti della fede, così da escludere tali errori. È chiaro, per esempio, che i Dottori che sono vissuti prima dell’eresia ariana non parlavano così espressamente dell’unità dell’essenza divina come hanno fatto invece i Dottori successivi. E lo stesso si è verificato nel caso di altri errori. Ciò è abbastanza evidente non solo riguardo ai Dottori in generale, ma anche riguardo ad un Dottore in particolare, Agostino. Nei libri che questi pubblicò dopo l’ascesa dell’eresia pelagiana, si parla molto più cautamente della libertà della volontà umana rispetto a quanto se ne parla nei libri pubblicati prima dell’ascesa di tale eresia. In queste prime opere, mentre Agostino difendeva il concetto di volontà contro i manichei, egli ha adoperato affermazioni che i pelagiani, che rigettavano la grazia divina, hanno poi usato in supporto ai propri errori”.
Qual era dunque il pensiero, pienamente cattolico, di sant’Agostino?
Già i pelagiani accusarono s. Agostino di aver sostenuto che il libero arbitrio è perito nell’uomo con il peccato di Adamo, ma lo stesso s. Agostino risponde: “Chi di noi poi direbbe che per il peccato del primo uomo sia sparito dal genere umano il libero arbitrio? Certo per il peccato sparì la libertà, ma la libertà che esisteva nel paradiso di possedere la piena giustizia insieme all'immortalità. Per tale perdita la natura umana ha bisogno della grazia divina, secondo le parole del Signore: Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero” (Contro le due lettere dei pelagiani, I, 2.5). Si va dunque delineando una differenza fondamentale per il pensiero agostiniano tra libertà intesa come libero arbitrio, che è il mezzo della vita umana, e la libertà vera, ossia il fine della vita umana, che è la libertà di aderire pienamente alla verità e di fare il bene. Quest’ultimo tipo di libertà era presente prima del peccato originale (S. Agostino la definisce con la formula posse non peccare, ossia “poter non peccare”) e sarà confermata nell’eternità del paradiso (definita con la formula non posse peccare, ossia “non poter peccare”). La realtà attuale, intermedia, successiva al peccato originale e alla redenzione, ma antecedente al giudizio personale ed universale, non è priva del libero arbitrio, ma della libertà come sopra intesa. Tuttavia, ciò non impedisce all’uomo di cercare la verità ed il bene. Qui interviene la grazia, ossia l’azione gratuita di Dio che sopperisce alle mancanze della “giustizia piena ed immortalità”, presenti nell’eden. Con la grazia l’uomo si santifica (gratia gratum faciens, dirà san Tommaso successivamente), nonostante le imperfezioni psico-fisiche, conseguenze della caduta dei progenitori. Il primo ed importante dono che Dio fa dunque all’uomo è la fede. In seguito, il battesimo e i sacramenti in generale, che sono i mezzi ordinari con cui la grazia divina agisce nell’uomo. “Ripeto che nessuno fu o può essere giusto se non è giustificato dalla grazia di Dio per mezzo di N. S. Gesù Cristo, e questo crocifisso. Difatti la stessa fede, che ha salvato i giusti nell'antichità, salva anche noi, la fede nel Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, la fede nel suo sangue, la fede nella sua croce, la fede nella sua morte, la fede nella sua resurrezione. Avendo dunque lo stesso spirito di fede, anche noi crediamo, ed è per questo che parliamo”, scrive s. Agostino in De natura et gratia, 44,51. 
Ma Dio conosce dall’eternità chi intraprende questo cammino di redenzione e si salva e chi rimane reprobo e si danna (prescienza)? Oppure egli stesso, da sé, decide dall’eternità, senza il consenso dell’uomo, chi salvare, riducendo il numero degli eletti a pochissimi? In quest’ultimo caso, Dio non vorrebbe la salvezza di tutti gli uomini, ma solo di una ristretta èlite.
Per comprendere bene il pensiero agostiniano riguardo al peccato originale e alla giustificazione bisogna metterlo a confronto con quanto sostenevano pelagiani e semipelagiani.
Agostino schiaccia Pelagio,
Katholische Pfarrkirche Maria Rosenkranzkönigin,
Schretzheim
Pelagio affermava che il peccato originale colpì solamente Adamo e che non è trasmesso biologicamente a tutti gli uomini. Pertanto il battesimo non cancella il peccato originale, ma semplicemente ammette nella Chiesa. Da qui la polemica che i pelagiani mossero contro sant’Agostino sulla necessità del battesimo per i bambini e sul destino dei bambini morti senza di esso. Pelagio affermava che i bambini morti senza battesimo si salvano in quanto privi di qualsivoglia peccato, sia originale sia personale, ma sant’Agostino obiettava che i bambini morti senza battesimo non possono salvarsi, in quanto il peccato originale ha definitivamente rotto il legame tra l’uomo e Dio, legame ricostituito dal sacrificio di Cristo, che pertanto è Salvatore dell’umanità, anche dei bambini. “Non può appartenere a Cristo – scrive il santo Dottore – chi non ha bisogno di essere salvato”. L’uomo da sé liberamente decide se credere in Dio e può salvarsi anche fuori dalla Chiesa, compiendo opere buone.
Giovanni Cassiano e i monaci provenzali, iniziatori del semipelagianesimo, per conciliare Agostino e Pelagio, affermavano che l’uomo liberamente sceglie se credere e dunque l’inizio della fede e della giustificazione non esige il dono della grazia, così la perseveranza finale è frutto delle opere dell’uomo. La grazia divina serve a sostenere l’uomo in questo cammino, dal momento in cui l’uomo aderisce alla fede fino a quando muore. Analogamente a quanto sostenuto da Pelagio, il peccato originale colpì solamente Adamo e i bambini morti senza battesimo si salvano egualmente.
Sant’Agostino, Dottore della grazia e della libertà, sosteneva che il peccato originale è trasmesso biologicamente da Adamo a tutti gli uomini. Dunque sono trasmesse sia la colpa sia le conseguenze spirituali (impossibilità di accedere in paradiso dopo la morte) e temporali (mortalità, caducità, propensione al vizio) del peccato originale. Per cancellare la colpa e le conseguenze spirituali del peccato originale è necessario il battesimo, che attua i meriti della redenzione di Cristo salvatore, ma rimangono le conseguenze temporali. L’uomo da sé sceglie con il libero arbitrio se cercare o meno la verità e dunque il bene, ma la fede (ossia l’adesione ai meriti del sacrificio di Cristo che redime) e dunque l’inizio della giustificazione, così come la perseveranza finale, sono doni gratuiti di Dio, che si ottengono con la preghiera propria o altrui. Del resto, lo stesso sant’Agostino diede il merito della propria conversione alle preghiere e alle lacrime della madre, santa Monica. I meriti personali accrescono la grazia. Dio predestina alla salvezza coloro che liberamente aderiscono alla Chiesa, ricevono da Dio la fede e accrescono i meriti per grazia. Dio vuole la salvezza di tutto il genere umano, ma condanna coloro che ostinatamente perseguono il male.
Martin Lutero e Calvino ripresero le accuse di Pelagio e dei semipelagiani, tramutandole in lodi. Vi fu dunque una errata esegesi del pensiero di sant’Agostino, oggi tornato in voga presso alcuni autori. Per costoro, la fede è dono di Dio e i meriti personali non esistono. Senza il battesimo, tutti sono inevitabilmente condannati all’inferno. Dio ha già predestinato dall’eternità il numero di coloro che si salveranno, condannando il resto degli uomini. Il libero arbitrio non esiste, che è servo del peccato originale. Ma già dal V secolo, il prete Lucido della Gallia meridionale, credendo di seguire la dottrina di sant’Agostino, giunge a sostenere che “Cristo, Signore e Salvatore nostro, non è morto per la salvezza di tutti” e che “la prescienza di Dio spinge l’uomo violentemente verso la morte, e chiunque si perde, si perde per volontà di Dio”. Ma questa tesi fu confutata da san Fausto di Riez, discepolo dello stesso Dottore, e condannata dai concili di Arles (473, 574), ricondannata al II concilio di Orange (529) e dal papa Adriano I (785/791).
Gli errori di Pelagio furono condannati da papi e concili (cfr. DS 222, 238, 371, 1520, 2616), gli errori dei semipelagiani dal II concilio di Orange (529), gli errori dei protestanti dal concilio di Trento (1545-1563).

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