Nella memoria liturgica di Santa Giovanna Francesca Frémiot de Chantal, figlia spirituale di San Francesco di Sales, coraggiosa avversaria dell'eresia calvinista, prima monaca dell'Ordine della Visitazione fondato nel 1610 ad Annecy, nel Ducato di Savoia, e di San Bernardo Tolomei, abate, confessore e
fondatore dell’Ordine degli Olivetani, rilancio questo contributo di Massimo
Viglione.
Pierre Parrocel, S. Giovanna de Chantal in gloria, XVIII sec., collezione privata |
Sodoma, Tre fondatori dell’ordine olivetano (Patrizio Patrizi, Bernardo Tolomei e Ambrogio Piccolomini), 1505 circa, chiostro dell’Abbazia territoriale di S. Maria Monte Oliveto Maggiore, Ascano |
Benoit Farjat, S. Bernardo Tolomei (da un dipinto di Giacinto Brandi), 1700 circa, collezione privata |
Fabrizio Carolari, S. Benedetto appare a S. Bernardo Tolomei, 1773, Abbazia territoriale di S. Maria Monte Oliveto Maggiore, Ascano |
Pompeo Batoni, S. Bernardo Tolomei assiste i malati di peste, 1745, San Vittore al Corpo, Milano |
La luce che manca – di Massimo
Viglione
di Massimo Viglione
Il fatto di essere cattolico, e cattolico
“tradizionalista” – oggi occorre specificare che tipo di cattolico si è, a meno
di mentire a noi stessi e al prossimo, data la drammatica crisi che la Chiesa
da cinquant’anni e oltre vive che comporta inevitabilmente la divisione interna
al suo popolo, una divisione sempre più radicale e radicata in rapporto
all’acuirsi della crisi stessa – e il fatto di vivere a Roma, e il fatto di
conoscere la storia e presumere di capire qualcosa di politica, mi hanno sempre
portato a provare dentro di me in maniera del tutto particolare un sentimento
profondo quanto istantaneo di forza interiore ogni volta che la passeggiata
serale mi conduceva in Piazza San Pietro e mi faceva vedere la luce accesa
dell’ufficio papale, sebbene il medesimo sentimento era sempre macchiato dal
dolore – questo nient’affatto istantaneo – misto a rabbia per i tanti errori di
cui i precedenti pontefici sono stati responsabili negli ultimi decenni (solo
per citarne uno a nome di tutti per rendere l’idea: la follia – sia teologica
che liturgica, dottrinale che storico-politica – ecumenista, di cui in questi
giorni iniziamo a raccogliere i frutti avvelenati del tradimento del clero
dinanzi all’invasione della nostra terra).
Sebbene fortemente critico verso i due pontefici delle
mie passeggiate serali negli anni Novanta e nei primi tredici anni di questo
secolo, e specie verso il primo dei due, il fatto stesso comunque di arrivare
nella piazza centro del mondo e della storia umana e trovare, anche a sera
molto avanzata, la luce accesa aveva comunque un significato forte: la luce… è
accesa. Comunque, nonostante tutto.
Come detto, si potevano trovare tante ragioni per
criticare non pochi dei frutti di quel lavoro serale. Ma la luce… era accesa.
Al di là delle questioni strettamente teologiche, dottrinali, liturgiche, ecc,
era un sentimento che emanava dal cuore: nella notte profondissima e sempre più
tragicamente tenebrosa dei nostri giorni, nonostante tutto, la luce dell’umanità,
per quanto troppo spesso acquiescente a tali tenebre, era accesa. Quella
finestra illuminata, nonostante tutto, rappresentava qualcosa. Nonostante
tutto, riconduceva a Qualcuno.
Chiunque, cattolico o no, romano o no, arrivava nella
Piazza, vedeva quella luce accesa in quella stanza, che a prescindere è e
rimane centro di speranza, di fede e di Verità su questa terra.
Da due anni e mezzo, chi arriva in Piazza San Pietro non
trova più, mai, in nessun caso, quella luce accesa. Trova il buio in quella
finestra e in quella stanza, come in tutte le altre finestre e stanze del
palazzo pontificio.
La luce si è spenta, perché il Vescovo di Roma ha scelto,
come tutti sanno, di vivere in un convitto, chiamato Santa Marta, all’interno
delle mura vaticane.
Il lettore non trovi esagerato quanto ora sto per dire.
Abbia invece il coraggio morale, intellettuale e soprattutto spirituale di
capire e ammettere a se stesso di capire. Capire cosa? Capire che, per un
cattolico romano (anche non romano ma romano di fede apostolica) arrivare in
Piazza San Pietro e trovare sempre, per settimane, per mesi, per anni, sempre,
sempre, sempre, la luce spenta, è in qualche modo la versione secolare di
quello che si prova nell’entrare in una chiesa odierna e trovare un’altra luce
spenta.
Queste sono cose che solo i cattolici possono capire. E
pertanto non spenderò parole a descrivere la sensazione: chi la può capire la
capisce, e chi non la può o non la vuole capire, non la capirà certo per quello
che io potrei scrivere, né la vorrà mai capire e tanto meno ammetterà di aver
capito.
La luce s’è spenta in Vaticano. È finita in un convitto
al piano terra, dove si parla di interviste celebrative a noti giornalisti
anticattolici e relativisti, di telefonate a mostri famelici di sangue umano,
di condizionatori e di problemi con Gaia; di tanto in tanto ci dice che
dobbiamo essere aperti alle novità dottrinali e morali che stanno per arrivare
e di non importunare il macchinista con discorsi di stampo moralistico sul
genere “principi non negoziabili” o magari avanzando pretese di difesa per i
nostri fratelli massacrati nelle terre islamiche, che dobbiamo perdonare ogni
cosa a prescindere dal vero pentimento e dalla relativa richiesta di perdono
per poi ricordarci che Dio non è cattolico… E ci propone al contempo di tornare
di 40-50 indietro nella storia, marciando con gli Inti-Illimani guidati da una
croce e martello. Ma è meglio non cominciare neanche la ormai inesauribile
litania della nuova chiesa al piano terra… Non serve a chi capisce e non
servirebbe mai, per quanto lunga e inoppugnabile, a chi non vuole o fa finta di
non capire.
Quando negli anni Novanta e nel primo decennio di questo
secolo passeggiavo la sera per San Pietro, avevo tante ragioni per adirarmi e/o
rattristarmi. Ma poi potevo pensare anche all’Evangelium Vitae, alla Veritatis
Splendor, alla strenua difesa della vita sacra umana, alla difesa, almeno
dottrinale, della centralità di Cristo in un’Europa ormai apostata e devastata,
potevo pensare al baluardo dei principi non negoziabili, al ritorno della Messa
di sempre nella Chiesa, a – in qualche modo – una sapienza di governo, basata
sugli ultimi rimasugli della millenaria gestione della Chiesa stessa, che dava
senso ancora a quella luce accesa, sebbene macchiata da troppi, troppi, cedimenti
a un mondo che non si voleva ammettere essere fino in fondo nemico di Cristo e
dell’uomo e che si corteggiava con i fraintendimenti pericolosi sui diritti
umani e sul dialogo con quel nulla sistematico che sono l’eresia e le false
religioni.
Ma oggi, quella luce, non c’è più, la finestra è chiusa.
Oggi ci sono altri che ballano la loro danza macabra e infame, che si chiamino
Maradiaga, Kasper, Marx, Galantino, Mogavero, Forte, Baldisseri, e tanti altri
ancora: sono costoro i danzatori delle tenebre, gli odiatori di Piazza San
Pietro, gli approfittatori del buio intervenuto, i traditori della finestra
illuminata. Ma, occorre dire, tutti costoro non sono venuti dal nulla. Qualcuno
li ha fatti salire in alto, anche quando la luce era accesa e qualcun altro ora
sta dando loro il potere.
Questo qualcun altro è colui che ha spento la luce e se
n’è andato al convitto, per far vedere di fare a meno del lusso dei palazzi
rinascimentali, ma portandosi ben stretto il telefono che lo collega al lusso
di questa società infernale e ai suoi riflettori da ribalta.
Ma noi, fedeli cattolici romani che nulla possiamo
eccetto la nostra preghiera e la nostra testimonianza, andremo ancora in Piazza
San Pietro la sera, e ancora, e ancora, nella incrollabile certezza che quella
luce verrà di nuovo riaccesa e splenderà come mai in precedenza. E quel giorno,
sia che saremo ancora su questa terra, sia che ce ne saremo già andati, quel
giorno, potremo dire dinanzi a Dio: io ho continuato ad andare in Piazza San
Pietro e ho continuato ad aspettare fino alla fine la Tua nuova luce, in una
certezza intellettuale e morale che trovava il suo incrollabile fondamento
nella Tua promessa: “Portae Inferi non praevalebunt”.
Solo i furbi e gli stolti, gli ipocriti e i bugiardi,
possono non cogliere il significato simbolico delle luci che si spengono. E
delle finestre che rimangono chiuse, con le loro stanze vuote.
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