Secondo
voi come sarà l’anticristo? Nella memoria delle Sante Susanna e Filomena, vergini e martiri, rilancio quest’insegnamento
del compianto card. Biffi:
Giuseppe Bezzuoli, Santa Filomena, 1840, Cattedrale, Pistoia |
L’Anticristo, una persona perbene. La lezione (inascoltata) del grande
Solov’ëv spiegata da Biffi
di Giacomo Biffi
Filantropo,
pacifista, vegetariano, animalista, esegeta, ecumenista. Il Nemico descritto
dal filosofo russo nel 1900 incarna la crisi del cristianesimo odierno
Il 31 luglio del 1900 (13 agosto secondo il calendario gregoriano)
moriva Vladimir Sergeevic Solov’ëv, teologo e filosofo, da molti considerato il
pensatore più importante della storia russa. Quello che segue è l’intervento
pronunciato a Bologna nel centesimo anno dalla scomparsa dall’allora
arcivescovo della città, Giacomo Biffi. Il cardinale, venuto a
mancare sabato 11 luglio, è stato un profondo conoscitore
ed estimatore del pensiero di Solov’ëv.
Questo testo,
pubblicato per la prima volta nel numero 3/2000 de La Nuova Europa, è
riproposto nel numero di Tempi in edicola e
fa parte della serie “Ragione Verità Amicizia”, il manifesto dei nostri
vent’anni e della Fondazione Tempi (una proposta che si può sottoscrivere in questa
pagina).
Vladimir Sergeevic
Solov’ëv è morto cento anni fa, il 31 luglio (13 agosto secondo il calendario
gregoriano) dell’anno 1900. È morto sul limitare del secolo Ventesimo: un
secolo del quale egli, con singolare accuratezza, aveva preannunciato le
vicissitudini e i guai, un secolo che avrebbe però tragicamente contraddetto
nei fatti e nelle ideologie dominanti i suoi più rilevanti e più originali
insegnamenti. È stato dunque, il suo, un magistero profetico e al tempo stesso
un magistero largamente inascoltato.
Un magistero
profetico
Al tempo del grande
filosofo russo, la mentalità più diffusa – nell’ottimismo spensierato della
belle époque – prevedeva per l’umanità del secolo che stava per cominciare un
avvenire sereno: sotto la guida e l’ispirazione della nuova religione del
progresso e della solidarietà senza motivazioni trascendenti, i popoli
avrebbero conosciuto un’epoca di prosperità, di pace, di giustizia, di
sicurezza. Nel ballo Excelsior – una coreografia che negli ultimi anni del
secolo XIX aveva avuto uno straordinario successo (e avrebbe poi dato il nome a
una serie innumerevole di teatri, di alberghi, di cinema) – questa nuova
religione aveva trovato quasi una sua liturgia.
Victor Hugo aveva
profetizzato: «Questo secolo è stato grande, il prossimo secolo sarà felice».
Solov’ëv invece non si lascia incantare da quel candore laicistico e anzi preannunzia
con preveggente lucidità tutti i malanni che poi si sono avverati.
Già nel 1882, nel Secondo discorso sopra Dostoevskij, egli parrebbe aver
presagito e anticipatamente condannato l’insipienza e l’atrocità del
collettivismo tirannico che qualche decennio dopo avrebbe afflitto la Russia e
l’umanità: «Il mondo – afferma – non deve essere salvato col ricorso alla forza
(…). Ci si può figurare che gli uomini collaborino insieme a qualche grande
compito, e che a esso riferiscano e sottomettano tutte le loro attività
particolari; ma se questo compito è loro imposto, se esso rappresenta per loro
qualcosa di fatale e di incombente, (…) allora, anche se tale unità
abbracciasse tutta l’umanità, non sarà stata giusta l’umanità universale, ma si
avrà solo un enorme “formicaio”», quel «formicaio» che in effetti sarebbe stato
poi attuato dall’ideologia ottusa e impietosa di Lenin e Stalin.
Nell’ultima
pubblicazione – I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo,
opera compiuta la domenica di Pasqua del 1900 – è impressionante rilevare la
chiarezza con cui Solov’ëv prevede che il secolo XX sarà «l’epoca delle ultime
grandi guerre, delle discordie intestine e delle rivoluzioni». Dopo di che –
egli dice – tutto sarà pronto perché perda di significato «la vecchia struttura
in nazioni separate e quasi ovunque scompaiano gli ultimi resti delle antiche
istituzioni monarchiche». Si arriverà così alla «Unione degli Stati Uniti
d’Europa».
Soprattutto è
stupefacente la perspicacia con cui descrive la grande crisi che colpirà il
cristianesimo negli ultimi decenni del Novecento. Egli la raffigura nella icona
dell’Anticristo, personaggio affascinante che riuscirà a influenzare e a condizionare
un po’ tutti. In lui, come è qui presentato, non è difficile ravvisare
l’emblema, quasi l’ipostatizzazione, della religiosità confusa e ambigua di
questi nostri anni: egli – dice Solov’ëv – sarà un «convinto spiritualista», un
ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano
osservante, un animalista determinato e attivo.
Sarà, tra l’altro,
anche un esperto esegeta: la sua cultura biblica gli propizierà addirittura una
laurea «honoris causa» della facoltà di Tubinga. Soprattutto, si dimostrerà un
eccellente ecumenista, capace di dialogare «con parole piene di dolcezza,
saggezza ed eloquenza». Nei confronti di Cristo non avrà «un’ostilità di
principio»; anzi ne apprezzerà l’altissimo insegnamento. Ma non potrà
sopportarne – e perciò la censurerà – la sua assoluta «unicità»; e dunque non
si rassegnerà ad ammettere e a proclamare che egli sia risorto e oggi vivo.
Si delinea qui, come
si vede, e viene criticato, un cristianesimo dei «valori», delle «aperture» e
del «dialogo», dove pare che resti poco posto alla persona del Figlio di Dio
crocifisso per noi e risorto, e all’evento salvifico. Abbiamo di che riflettere.
La militanza di fede ridotta ad azione umanitaria e genericamente culturale; il
messaggio evangelico identificato nel confronto irenico con tutte le filosofie
e con tutte le religioni; la Chiesa di Dio scambiata per un’organizzazione di
promozione sociale: siamo sicuri che Solov’ëv non abbia davvero previsto ciò
che è effettivamente avvenuto, e che non sia proprio questa oggi l’insidia più
pericolosa per la «nazione santa» redenta dal sangue di Cristo? È un interrogativo
inquietante e non dovrebbe essere eluso.
Un magistero
inascoltato
Solov’ëv ha capito
come nessun altro il secolo Ventesimo, ma il secolo Ventesimo non ha capito
lui. Non è che gli siano mancati i riconoscimenti. La qualifica di massimo
filosofo russo non gli viene di solito contestata. Von Balthasar ritiene il suo
pensiero «la più universale creazione speculativa dell’epoca moderna» e arriva
perfino a collocarlo sullo stesso piano di Tommaso d’Aquino. Ma è innegabile
che il secolo Ventesimo, nel suo complesso, non gli ha prestato alcuna
attenzione e anzi si è puntigliosamente mosso in senso opposto a quello da lui
indicato.
Sono lontanissimi
dalla visione solov’ëviana della realtà gli atteggiamenti mentali oggi
prevalenti, anche in molti cristiani ecclesialmente impegnati e acculturati.
Tra gli altri, tanto per esemplificare: l’individualismo egoistico, che sta
sempre di più segnando di sé l’evoluzione del nostro costume e delle nostre
leggi; il soggettivismo morale, che induce a ritenere che sia lecito e perfino
lodevole assumere in campo legislativo e politico posizioni differenziate dalla
norma di comportamento alla quale personalmente ci si attiene; il pacifismo e
la non-violenza, di matrice tolstoiana, confusi con gli ideali evangelici di
pace e fraternità, così che poi si finisce coll’arrendersi alla prepotenza e si
lasciano senza difesa i deboli e gli onesti; l’estrinsecismo teologico che, per
timore di essere tacciato di integrismo, dimentica l’unità del piano di Dio,
rinuncia a irradiare la verità divina in tutti i campi, abdica a ogni impegno
di coerenza cristiana.
In special modo il
secolo Ventesimo – nei suoi percorsi e nei suoi esiti sociali, politici,
culturali – ha contraddetto clamorosamente la grande costruzione morale di
Solov’ëv. Egli aveva individuato i postulati etici fondamentali in una triplice
primordiale esperienza, nativamente presente in ogni uomo: vale a dire nel
pudore, nella pietà verso gli altri, nel sentimento religioso. Ebbene, il
Novecento – dopo una rivoluzione sessuale egoistica e senza saggezza – è
approdato a traguardi di permissivismo, di ostentata volgarità e di pubblica
spudoratezza, che sembra non avere paragoni adeguati nella vicenda umana.
È stato poi il secolo
più oppressivo e più insanguinato della storia, privo di rispetto per la vita
umana e privo di misericordia. Non possiamo certo dimenticare l’orrore dello
sterminio degli ebrei, che non sarà mai esecrato abbastanza. Ma sarà bene
ricordare che non è stato il solo: nessuno ricorda il genocidio degli Armeni a
cavallo della Prima Guerra Mondiale; nessuno si avventura a fare il conto delle
vittime sacrificate inutilmente nelle varie parti del mondo all’utopia comunista.
Quanto al sentimento
religioso, durante il secolo Ventesimo in Oriente è stato per la prima volta
proposto e imposto su una vasta parte di umanità l’ateismo di Stato, mentre
nell’Occidente secolarizzato si è diffuso un ateismo edonistico e libertario,
fino ad arrivare all’idea grottesca della «morte di Dio».
In conclusione,
Solov’ëv è stato indubbiamente un profeta e un maestro; ma un maestro, per così
dire, inattuale. Ed è questa, paradossalmente, la ragione della sua grandezza e
della sua preziosità per il nostro tempo. Appassionato difensore dell’uomo e
allergico a ogni filantropia; apostolo infaticabile della pace e avversario del
pacifismo; propugnatore dell’unità tra i cristiani e critico di ogni irenismo;
innamorato della natura e lontanissimo dalle odierne infatuazioni ecologiche;
in una parola, amico della verità e nemico dell’ideologia. Proprio di guide
come lui abbiamo oggi un estremo bisogno.
Fonte: Tempi, 10.8.2015
Fonte: Tempi, 10.8.2015
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