Oggi il
calendario tradizionale ci propone la memoria di san Luigi (o Ludovico) IX, re
di Francia. Ecco un re sul quale il Cristo crocifisso impresse
profondamente le stigmate della sua Passione. Per dimostrare che la virtù non
ha sempre la sua ricompensa in questo mondo, Luigi, che la sua pietà spingeva
senza tregua verso l’Oriente, alla riconquista dei luoghi santificati dal
sangue della Redenzione, raccolse, al posto di palme e di allori, disfatte e
cattività; così che, ricomprato dai suoi, tornò a Parigi, riportando come un
trofeo simbolico delle sue campagne la corona di spine del divin Salvatore.
Morì vittima dell’epidemia sotto le mura di Tunisi, che si preparava ad
assediare, il 25 agosto 1270. Le notizie della vita di questo re ci sono state
tramandate da Guglielmo di Nangis, nelle Gesta Ludovici IX, e da Jean
de Joinville nella sua Livre des saintes paroles et des bons faiz de
nostre saint roy Looÿs. Su Luigi IX, cfr. Benoît Grévin, Luigi
IX, Re di Francia, Santo, in Enciclopedia Federiciana, vol.
II, 2005; Jacques Le Goff, Saint Louis, trad. it. Aldo Serafini (a cura di), San
Luigi, Torino 2007, passim.
Roma
cristiana gli ha dedicato un tempio insigne non lontano dallo stadium Domitiani, denominata San Luigi dei
Francesi (Cfr. M. Armellini, Le
chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma
18912, pp. 436-437), famosa per le tele del Caravaggio sul ciclo di
san Matteo nella cappella Contarelli, e chiesa nazionale dei Francesi nell’Urbe.
Oggi la
Chiesa, con questa memoria liturgica tradizionale, ricorda, in maniera
particolare, ai fedeli il senso della dignità regale che, con la nostra
incorporazione al Cristo Re e Sacerdote, abbiamo ottenuto nel sacramento del
Battesimo. Se i cristiani appartengono tutti a questa dinastia sacra istituita
dal Cristo, regale sacerdotium, conviene
che sappiano dominarsi e tenere le loro passioni assoggettate. Si attribuisce a
san Colombano una bella espressione che si riferisce a questa libertà regale
che deve custodire intatta il cristiano. Questo santo abate, nel 610 d.C., ebbe
un duro scontro con i sovrani-tiranni di Borgogna, in special modo la regina
Brunechilde, o Brunilde, e suo nipote Teodorico II.
Questa
sovrana merovingia, per la verità, ebbe ottimi rapporti con san Gregorio Magno,
il quale le inviò per ricompensa alcune reliquie di san Pietro. Ella appoggiò
inoltre l’azione missionaria di sant’Agostino di Canterbury. San Gregorio di
Tours la definì come donna bella, intelligente, istruita e di sani principi e
che, da ariana, si convertì alla fede cattolica (San Gregorio di Tours, Historia Francorum, lib.
IV, cap. XXVII, in PL 71, col. 291: «Erat
enim puella elegans opere, venusta aspectu, honesta moribus atque decora,
prudens consilio, et blanda colloquio. ... Et quia Arianæ legi subjecta erat,
per prædicationem sacerdotum, atque ipsius regis commonitionem conversa, beatam
in unitate confessa Trinitatem credidit, atque chrismata est, quæ in nomine
Christi catholica perseverat»). Era
cognata (moglie del fratello) di san Gontranno. Ciò non le risparmiò le
critiche di san Colombano, in quanto donna pure eccessivamente ambiziosa ed
avida di potere, la quale, come una nuova Gezabele, a tale scopo, nonostante i
suoi rapporti col Papa, cercò di tenere sotto controllo il clero disponendo a
suo piacimento delle sedi vescovili. Anche il santo vescovo di Vienne,
Desiderio, poi celebrato come santo, per aver rimproverato alla regina i
costumi suoi e quelli di Teodorico, fu dapprima esiliato e poi ucciso.
Per
mantenere il potere ed il controllo sul nipote, peraltro, Brunechilde
assecondava le passioni di Teodorico, facendogli tenere a servizio, pur
coniugato (con la principessa visigota Ermenberga), moltissime ancelle, che in
verità erano vere e proprie concubine (Per le vicende di Brunechilde, Teodorico
e san Colombano, le notizie ci sono fornite dal monaco Giona di Bobbio.
Cfr. Jonae, Vitæ Columbani abbatis discipulorumque ejus libri duo, in B. Krusch (a cura di), Mon. Germ. Hist., Script.
Rerum Merovingicarum, Passiones vitæque Sanctorum Ævi Merovingici,
t. IV, Hannoveræ et Lipsiæ 1902, lib. I, capp. XVIII e XX, pp. 86 ss.).
Dicevamo
di san Colombano. Questi, dal porto di Nantes, mentre stava per essere
imbarcato in stato di arresto e ricondotto verso l’Irlanda, scrivendo ai suoi
monaci di Luxeuil (in realtà ad Attala, suo probabile successore, a cui il
nostro Santo irlandese si rivolse ad personam nel corpus della
stessa lettera per tornare al “voi” verso la fine), così si esprimeva: si aufers libertatem, aufers dignitatem (o si tollis libertatem, tollis
dignitatem), cioè se elimini la libertà, elimini la dignità (San Colombano, Epistola IV, Ad
Discipulos et Monachos suos, § 5, in PL 80, col. 273,
ora anche in Id., Le
opere, con Introduzioni di Inos Biffi e Aldo Granata, Milano 2001, Lettera
IV Ai suoi monaci, § 6, pp. 68-69).
Ecco il
grande dono che Dio ha accordato all’umanità e che il Cristo gli ha in seguito
restituito. Dobbiamo custodire gelosamente questa prerogativa della nostra
dignità di figli di Dio, senza mai assoggettarci alla servitù degradante delle
passioni, senza compiacere gli uomini. La libertà è ordine ed armonia; e per
gioire dei frutti di questa vera libertà, bisogna dominare se stessi e mettere
spontaneamente sulle spalle il giogo soave della legge del Cristo, liberandoci
anche dal desiderio di piacere agli uomini. San Paolo provò a farlo, ma lui
stesso scrisse: Si adhuc
hominibus placerem, Christi servus non essem (Gal. 1,
10). Il Salmista ha una parola molto forte contro queste vigliacche vittime del
rispetto umano: disperdet
ossa eorum qui hominibus placent, quoniam Deus sprevit eos (Sal. 53,
6).
La vicenda
umana del santo odierno è proprio paradigmatica di quanto si è venuto dicendo.
Umanamente parlando le sue imprese militari soprattutto, la sua crociata,
furono dei fallimenti. Ma, agli occhi di Dio, furono dei successi, perché il
santo re mise da parte ogni ricerca di rispetto umano (a differenza di quanto
fece, anni dopo, ad es., un Federico II di Svevia …), ed è, per questo,
esaltato in cielo e per questo è annoverato tra i difensori della Chiesa in terra.
Non
desta meraviglia, perciò, che numerosi sono coloro che rievocano con passione i
nomi dei sovrani delle antiche dinastie francesi. Il nome di san Luigi IX,
però, esprime ancora, per questa nazione, tutto un programma ed un ideale di
fede, di purezza, di giustizia, di valore e di onore che eleva i gigli della
vera Francia cattolica tanto più alto di quanto sia scesa nel fango con la
fazione giacobina avversa, distruttrice della sua propria patria.
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