Per commemorare il Santissimo
Nome di Maria, rilancio questo contributo tratto da Chiesa e post concilio.
Silvio Brachetta. Il
profeta disarmato della misericordia divina che difese la libertà e l’unità
dell’Europa cristiana
La festa di oggi, che
celebra il Santissimo Nome di Maria, fu estesa alla chiesa universale dal Beato
Innocenzo XI in ringraziamento per la vittoria di Vienna del 1683: la
sconfitta dei Turchi musulmani che minacciavano l’Europa cristiana.
Oltre al Beato Marco
d’Aviano, protagonista dell’epico evento, va ricordato anche il paziente e
decisivo lavoro diplomatico di Innocenzo XI nel formare una coalizione di stati
cattolici capaci di sventare il pericolo musulmano. Egli sognava addirittura di
riconquistare Costantinopoli, attraverso un’ardita alleanza tra europei e
persiani che mai si realizzò. Il papa della crociata contro i turchi fu
beatificato da Pio XII nel 1956: cinquant’anni dopo, nel 2006, Benedetto XVI ha
pregato scalzo nella moschea blu di Istanbul, davanti al “mihrab”, la
nicchia che indica la direzione della Mecca.
Silvio Brachetta, per
ricordare la figura del Beato padre Marco d’Aviano, in questo 12 settembre, ha
scritto un mio articolo per Vita Nuova: Il profeta disarmato della
misericordia divina che difese la libertà e l’unità dell’Europa cristiana. Lo
riportiamo di seguito.
Addì 8 settembre 1676
un quarantacinquenne frate cappuccino varcava il portone del monastero
benedettino di San Prosdocimo, presso Padova. Munito dell’apposita patente di
predicazione, ottenuta per una sua peculiare capacità oratoria, era stato
inviato a tenere il consueto Panegirico dell’Assunta, nella chiesa attigua al
monastero. Non tutte le monache, però, assistettero alla funzione: una di esse
- Vincenza Francesconi - benché desiderosa di ascoltare il padre, si trovava
allettata a causa di un male che la tormentava da tredici anni.
Avvertito del
problema, il cappuccino fece proposito di benedirla, eventualmente nel corso di
una sua visita successiva. Venti giorni dopo eccolo di nuovo a San Prosdocimo,
per un discorso sulla natività di Maria. Questa volta era presente anche
Vincenza, sostenuta dalle consorelle. Al termine della preghiera comunitaria il
frate cercò di confortare l’inferma e le disse di confidare in Dio. Infine la
benedisse, come di solito si fa con i malati. L’attimo dopo tutta l’attenzione
dei presenti fu sulla monaca, che cominciò a gridare: «Sono guarita»! Beh -
disse il frate, più stupito delle benedettine - «se è così come dite, andate su
e giù per quelle scale»! E così avvenne: la Francesconi percorse la rampa di
corsa, nel tripudio generale delle presenti.
Guerriero e
taumaturgo
Non fu un avvenimento
isolato. Da quel giorno questo tal frate - al secolo Carlo Domenico Cristofori
(1631-1699) - acquistò dal Cielo il dono particolare della taumaturgia e con la
semplice benedizione era in grado di ridare la vista ai ciechi o di far
camminare gli storpi. E ciò fu sufficiente ad accrescerne la fama poiché, come
nel caso di Gesù Cristo, le folle sono portate a badare a qualcuno specialmente
nel caso ne ricevano un beneficio personale. Il Cristofori dovette così
accettare, suo malgrado e con grande mortificazione, il potente carisma divino.
Se ne fece una ragione, perché sapeva bene che Dio elargisce i sui doni e
manifesta la sua volontà a chi vuole, quando vuole e come vuole, senza dover
per questo preavvisare o rendere conto all’uomo di alcunché.
Nato a Villotta,
presso la città friulana di Aviano, Carlo Domenico Cristofori risentì
fortemente del «clima epico determinato dalla guerra di Candia [Creta],
combattuta in quegli anni tra la Repubblica di Venezia e l’Impero Ottomano»
(dalla scheda sul beato, sito del Vaticano). Abbandonò quindi il collegio dei
Gesuiti di Gorizia dove, adolescente, frequentava gli studi primari e si
diresse verso Capodistria, «disposto a dare anche il suo sangue per la difesa
della fede», contro i turchi (ibid.). Durante la breve permanenza presso un
convento francescano ebbe modo, però, di maturare la propria vocazione,
orientando il suo desiderio di martirio verso la vita religiosa e l’apostolato.
Fu così che nel 1648 entrò come novizio a Conegliano per poi, l’anno seguente,
emettere i voti religiosi, con il nome autoimpostosi di Marco d’Aviano. Solo
dopo il regolare corso settennale di studi filosofici e teologici, fu ordinato
sacerdote a Chioggia, nel 1655.
L’attività di padre
Marco era fondata sulla semplicità, sul nascondimento, sulla costanza e sullo
zelo: predicava un po’ dovunque, soprattutto durante l’Avvento e la Quaresima
e, in modo speciale, nei conventi e nei monasteri. Era bravo e scrupoloso, ma
nulla faceva presagire che, prima del miracolo di San Prosdocimo e dei
successivi, la sua vita da ritirata divenisse pubblica e che fosse tra i
protagonisti di una vicenda notevole per l’Europa e per il futuro stesso del
cristianesimo in Occidente.
Vienna sotto l’assedio
turco
Fermare l’avanzata
verso nord degli ottomani, nell’Europa del secolo XVII, sembrava un’impresa del
tutto irrealizzabile. O, almeno, non c’era alcuna sicurezza che in futuro l’Occidente
avrebbe potuto reggere stabilmente l’offensiva. L’Europa usciva indebolita
dalla guerra dei Trent’anni, che aveva opposto cattolici e protestanti. Dopo la
pace di Westfalia (1648) il continente europeo era un mosaico costituito da
centinaia di stati, staterelli e regni, per nulla omogenei. Senza contare l’indebolimento
causato da carestie e pestilenze varie. Gli avvenimenti precipitarono durante l’estate
del 1683: il gran visir Kara Mustafa Pasha radunò un esercito di
centocinquantamila uomini alle porte di Vienna, cingendola d’assedio. Già tutta
la Grecia, i Balcani, la Moldavia e la Transilvania erano in mano ai turchi,
contrastati però dalla Casa d’Austria negli anni precedenti.
Solo un sodalizio
provvidenziale, tra i diversi poteri della cristianità, avrebbe potuto salvare
l’Europa dalla catastrofe: serviva un qualche uomo di genio, di sintesi, che
sapesse vedere oltre gli interessi di parte. E la Provvidenza, anche in questo
caso, diresse gli eventi in modo prodigioso. Non una, ma più personalità s’imposero
sulla scena. Il pontefice Innocenzo XI, in particolare, ebbe il ruolo decisivo:
s’impegnò in una martellante azione diplomatica per formare una coalizione tra
Leopoldo I d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo V, duca di
Lorena, Giovanni III (Jan Sobieski), re di Polonia ed Eugenio di Savoia,
generale sabaudo. Tutti cristiani, tutti uomini di forte idealità e - forse fu
questo l’elemento decisivo - tutti venuti in contatto con Marco d’Aviano.
Disfatta dei turchi
A seguito della sua
crescente fama di santità, il frate era stato inviato dal papa a compiere dei
lunghi viaggi missionari per l’Europa, durante i quali aveva anche il permesso
di amministrare l’indulgenza plenaria. Missionario apostolico a Vienna, nel
1682, divenne direttore spirituale di Leopoldo I. Le sue prediche erano
seguitissime dal popolo, chiare, dirette. Parlava della gravità del peccato,
della conversione e tornava spesso sui temi dell’inferno e del purgatorio. Ma
tutto questo non destava paura nella gente, quanto piuttosto sincero
pentimento. Padre Marco, allora, confessava, assolveva e comunicava le persone,
magnificando le lodi della divina Misericordia e della vita in grazia di Dio.
Riuscì dunque a porsi
come intermediario tra i «rissosi comandanti degli eserciti cristiani» (Antonio
Borrelli), che confluirono nella “Lega santa”. Vienna era allo stremo, per via
della fame, e non c’era tempo da perdere. Quindi l’armata cristiana giunse a
scaglioni nei pressi della città austriaca, in settembre. All’alba di domenica
12 settembre 1683, padre Marco celebrò la S. Messa alla presenza dell’esercito,
di Sobieski e di Carlo V. Egli riuscì a legare i capi e le truppe, mediante un’empatia
soprannaturale. Dopo aver benedetto anche i principi protestanti, scoppiò la
battaglia: Sobieski attaccò immediatamente da sud, mentre Carlo di Lorena scese
da nord. Nel frattempo le forze di Baviera e Sassonia sfondavano frontalmente
le guarnigioni turche.
Alle ore sette del
pomeriggio i giannizzeri di Kara Mustafa Pasha cominciavano a ritirarsi, per
poi abbandonare definitivamente la scena di quella che fu, per gli ottomani, un’umiliante
sconfitta. Nella fuga abbandonarono vettovaglie in quantità, sacchi di caffè,
molti schiavi e donne che si erano portati appresso.
Gli ultimi anni
Ma per Marco d’Aviano
le fatiche non erano finite. Innocenzo XI riconobbe il suo ruolo insostituibile
e lo inviò in missioni anti turche per ben quattordici volte. Seguirono grandi
successi militari: nel 1686 fu liberata Buda e, due anni dopo, Belgrado. Nel
maggio del 1699 il padre fu inviato a Vienna, su invito di Leopoldo I, per
alcune questioni sulla dichiarazione di pace firmata in gennaio tra l’Europa e
l’Impero Ottomano. Fu l’ultimo suo viaggio. Confidò a padre Cosma da
Castelfranco, suo compagno di viaggio e biografo: «Mi trovo in pessimo stato di
salute… et pure devo in eccesso faticare. Se mi viene un pocho di febre, son
perduto. Faci Dio tutto quello è di sua gloria; altro non desidero». Cedette in
agosto e cadde malato. Spirò serenamente il 13 agosto 1699, alla presenza dei
confratelli cappuccini e di Leopoldo I.
Alla morte del frate
seguirono numerosi miracoli e la gente ne esaltava il ricordo e la fama di
santità. Il 27 aprile 2003, Giovanni Paolo II lo proclamava beato. Di lui
disse: «[…] rifulse per santità il beato Marco d’Aviano, nel cui animo ardeva
il desiderio di preghiera, di silenzio e di adorazione del mistero di Dio. […]
Profeta disarmato della misericordia divina, fu spinto dalle circostanze ad
impegnarsi attivamente per difendere la libertà e l’unità dell’Europa
cristiana. Al continente europeo […] il beato Marco d’Aviano ricorda che la sua
unità sarà più salda se basata sulle comuni radici cristiane» (Omelia di
beatificazione).
Silvio
Brachetta
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