Finalmente un parlare chiaro!
L’Instrumentum laboris, che riprende la Relazione finale dello
scorso Sinodo straordinario e che riesuma – arbitrariamente – anche le
proposizioni che non erano state approvate a maggioranza qualificata, si
presenta nel complesso inaccettabile per un cattolico, in quanto contenente
opinioni erronee, contrarie alla Rivelazione ed alla Tradizione della Chiesa; ovvero proposizioni false ed inesatte, favorevoli all’eresia ed al
peccato, scandalose e temerarie; insomma un documento da rigettare e che nessun cattolico, degno di questo nome e del suo Battesimo, potrà accogliere!
Nella memoria di S. Girolamo, dottore della Chiesa, rilancio questo
contributo dei tre teologi estensori, ringraziandoli per il loro lavoro indefesso a
favore della Verità, nello smontare, pezzo dopo pezzo, gli errori.
Tintoretto, S. Girolamo nel deserto, 1571-72, Kunsthistorisches Museum, Vienna |
Guercino, S. Girolamo nel deserto e la tromba del giudizio, 1650 circa, Hermitage, San Pietroburgo |
Guercino, S. Girolamo nel deserto e la tromba del giudizio, XVII sec., Hermitage, San Pietroburgo |
Francisco Camilo, S. Girolamo frustrato dagli angeli, 1651, museo del Prado, Madrid |
Juan de Valdés Leal, Tentazione di S. Girolamo, 1657, museo de Bellas Artes, Siviglia |
Juan de Valdés Leal, Flagellazione di S. Girolamo, 1657, museo de Bellas Artes, Siviglia |
Alonso Cano, S. Girolamo penitente, 1660 circa, museo del Prado, Madrid |
“Inaccettabile”. Il documento base del sinodo “compromette la verità”
Alla vigilia dell’assise,
tre teologi con il sostegno di cardinali e vescovi criticano e rigettano l’“Instrumentum
laboris”. Ecco il testo integrale del loro atto d’accusa
di Sandro Magister
ROMA, 29 settembre
2015 – Il testo che qui è reso pubblico si aggiunge ai numerosi pronunciamenti
di diverso segno sui temi della famiglia, del matrimonio, del divorzio, dell’omosessualità,
che si sono susseguiti con intensità crescente, nell’avvicinarsi dell’apertura
del sinodo.
Si presenta come
opera collettiva. Non solo perché sono tre i firmatari del testo, ma più ancora
perché esso è nato e cresciuto, nell’arco di quasi un anno, per iniziativa e
con l’apporto di numerosi altri cattolici, sacerdoti e laici, di varie nazioni
d’Europa, e con l’attenzione e il sostegno di vescovi e cardinali, alcuni dei
quali prossimi padri sinodali.
Il testo ha per
oggetto i paragrafi più controversi della “Relatio” finale del sinodo del 2014,
poi confluiti nei “Lineamenta” e nell’“Instrumentum laboris”, riguardanti la
comunione ai divorziati risposati, la cosiddetta “comunione spirituale” e gli
omosessuali.
A giudizio dei
promotori del testo, questi paragrafi qua e là contraddicono la dottrina
insegnata a tutti i fedeli dal magistero della Chiesa e dallo stesso Catechismo
della Chiesa Cattolica, al punto da “compromettere la Verità” e quindi rendere “non
accettabile” l’intero “Instrumentum laboris”, come pure ogni “altro documento
che ne riproponesse i contenuti e fosse posto ai voti alla fine della prossima
assemblea sinodale”.
I tre sacerdoti e
teologi che firmano il testo sono:
– Claude Barthe, 68
anni, Parigi, cofondatore della rivista “Catholica”, esperto di diritto e di
liturgia, promotore dei pellegrinaggi a sostegno della “Summorum Pontificum”,
autore di saggi quali “La messe une forêt de symboles”, “Les romanciers et le
catholicisme”, “Penser l’œcuménisme autrement”.
– Antonio Livi, 77
anni, Roma, decano emerito della facoltà di filosofia della Pontificia Università
Lateranense, socio ordinario della Pontificia Accademia di San Tommaso e
presidente dell’unione apostolica “Fides et ratio” per la difesa della verità
cattolica. La sua ultima opera, del 2012, si intitola: “Vera e falsa teologia”.
– Alfredo Morselli,
57 anni, Bologna, parroco, confessore e predicatore di esercizi spirituali
secondo il metodo di sant’Ignazio. Licenziato al Pontificio Istituto Biblico, é
autore di saggi quali “La negazione della storicità dei Vangeli. Storia, cause,
rimedi (2006) e “Allora tutto Israele sarà salvato (2010). Il suo arcivescovo è
il cardinale Carlo Caffarra.
Il testo può essere
letto nella sua integralità, nella lingua originale italiana, in quest’altra
pagina di www.chiesa:
Qui di seguito sono
riprodotti la premessa e due dei quattro capitoli in cui il testo si articola:
il primo sulla comunione ai divorziati risposati e il terzo sull’omosessualità.
__________
OSSERVAZIONI SULL’“INSTRUMENTUM
LABORIS”
di Claude Barthe,
Antonio Livi, Alfredo Morselli
In questo documento
vengono articolate, in maniera puntuale, alla luce del Catechismo della Chiesa
Cattolica e, in generale, del “depositum fidei”, delle perplessità verso la “Relatio
Synodi” dello scorso Sinodo straordinario, ripresa ed ampliata poi nell’”Instrumentum
laboris” per la XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi.
Anzi, è appena il
caso di osservare come l’”Instrumentum” superi la stessa “Relatio”, ampliandone
la portata, sia andato al di là delle intenzioni degli stessi Padri sinodali. In
effetti, questo documento ha avuto cura di riprendere e rielaborare persino
quelle proposizioni, che, non essendo state approvate a maggioranza qualificata
dalla scorsa assise sinodale straordinaria, non dovevano né potevano essere
incluse nel documento finale di quel Sinodo e che, perciò, dovevano reputarsi
respinte.
Pertanto, anche laddove
l’”Instrumentum” appaia adeguarsi alla Rivelazione ed alla Tradizione della
Chiesa, ne risulta, in generale, compromessa la Verità, sì da rendere
complessivamente non accettabile il documento, o altro che ne riproponesse i
contenuti e fosse posto ai voti alla fine della prossima assemblea sinodale.
La pastorale non è l’arte
del compromesso e del cedimento: è l’arte della cura delle anime nella verità.
Per cui, per tutti i Padri sinodali valga il monito del profeta Isaia: “Guai a
coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in
luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro”
(Isaia 5, 20).
Non ultimo, va notato
come l’”Instrumentum” sia stato, in larga misura, svuotato di significato
teologico e superato, dal punto di vista canonico, dai due Motu proprio dello
scorso 15 agosto, resi noti l’8 settembre seguente.
SOMMARIO
1 – Osservazioni sul
§ 122 (52)
A. – Un’ipotesi
incompatibile con il dogma
B. – Un uso improprio
del Catechismo della Chiesa Cattolica, traendone erroneamente argomenti per
suffragare una forma di etica della situazione
C. – Un argomento non
ad rem
2 – Osservazioni sui
§§ 124-125 (53)
Non univocità del
termine “Comunione spirituale” per chi è in grazia di Dio e per chi non lo è
3 – Osservazioni sui
§§ 130-132 (55-56)
“Instrumentum laboris”
e attenzione pastorale verso le persone con tendenza omosessuale: lacune e
silenzi
4 - Comunione
spirituale e divorziati risposati
Studio più
approfondito sulla Comunione spirituale
__________
1 – OSSERVAZIONI SUL
§ 122 (52)
Premessa
La prossima assemblea
del Sinodo dei Vescovi vuole trattare tanti problemi riguardanti la famiglia.
Tuttavia, anche grazie al clamore mediatico e alle grandi attenzioni del Papa
nei confronti dei divorziati risposati, la prossima assise è di fatto
considerata come il Sinodo della Comunione ai divorziati. Uno dei temi che sarà
affrontato sembra essere, di fatto e per i più, il tema del dibattito.
Si sa che, per
risolvere un problema, è essenziale impostarlo bene. Purtroppo abbiamo di che
ritenere che il documento che dovrebbe fornire la corretta impostazione di
tutta la questione – ovvero l’“Instrumentum laboris” – sia invece fuorviante e
pericoloso per la nostra fede.
Presentiamo alcune
osservazioni sul paragrafo più problematico, riguardante la questione dell’ammissione
alla S. Comunione di chi vive “more uxorio” pur non essendo canonicamente
sposato; si tratta del § 122, che ripropone il § 52 della versione definitiva
della “Relatio finalis” dell’assemblea del 2014.
Il testo in
questione, il § 122 (52):
“122 (52). Si è
riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai
sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Diversi Padri sinodali hanno insistito
a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la
partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo
insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza
non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a
condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e
legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze
ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un
cammino penitenziale sotto la responsabilità del Vescovo diocesano. Va ancora
approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione
oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che «l’imputabilità e la
responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» da diversi
«fattori psichici oppure sociali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735)”.
Ci sono motivi per
ritenere che il § 122 contenga:
A. – Un’ipotesi
incompatibile con il dogma
B. – Un uso improprio
del Catechismo della Chiesa Cattolica, traendone erroneamente argomenti per
suffragare una forma di etica della situazione.
C. – Un argomento non
“ad rem”
A. – Un’ipotesi
incompatibile con il dogma, tale da configurarsi come dubbio volontario in
materia di fede
“Si è riflettuto
sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della
Penitenza e dell’Eucaristia”.
Questa riflessione è
illecita e ricade sotto la specie del dubbio volontario in materia di fede, in
base a quanto ha dichiarato solennemente il Concilio Vaticano I: “coloro che
hanno ricevuto la fede sotto il magistero della Chiesa non possono mai avere
giustificato motivo di mutare o di dubitare della propria fede”. In piena
conformità con tutta la Tradizione della Chiesa, anche il Catechismo della
Chiesa Cattolica pone il dubbio tra i peccati contro la fede:
CCC 2088: “Ci sono
diversi modi di peccare contro la fede. Il dubbio volontario circa la fede
trascura o rifiuta di ritenere per vero ciò che Dio ha rivelato, e la santa
Chiesa ci propone a credere. […] Se viene deliberatamente coltivato, il dubbio
può condurre all’accecamento dello spirito”.
Che l’affermazione “i
divorziati civilmente risposati conviventi ‘more uxorio’ non possono accedere
alla Comunione Eucaristica” appartenga a ciò che è proposto a credere come
rivelato dalla Chiesa – e quindi non possa più essere rimesso in discussione –,
è provato da:
Giovanni Paolo II,
Esort. apost. “Familiaris consortio”, 22 novembre 1981, § 84:
“La Chiesa, tuttavia,
ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla
comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi
ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita
contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa,
significata e attuata dall’Eucaristia”.
Congregazione per la
Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la
recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati,
14 settembre 1994:
“5. La dottrina e la
disciplina della Chiesa su questa materia sono state ampiamente esposte nel
periodo postconciliare dall’Esortazione Apostolica «Familiaris consortio». L’Esortazione,
tra l’altro, ricorda ai pastori che, per amore della verità, sono obbligati a
ben discernere le diverse situazioni e li esorta a incoraggiare la
partecipazione dei divorziati risposati a diversi momenti della vita della
Chiesa. Nello stesso tempo ribadisce la prassi costante e universale, «fondata
sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla Comunione eucaristica i divorziati
risposati» (Esort. apost. Familiaris consortio, n. 84: AAS 74 (1982) 185),
indicandone i motivi. La struttura dell’Esortazione e il tenore delle sue
parole fanno capire chiaramente che tale prassi, presentata come vincolante,
non può essere modificata in base alle differenti situazioni.
“6. Il fedele che
convive abitualmente «more uxorio» con una persona che non è la legittima
moglie o il legittimo marito, non può accedere alla Comunione eucaristica.
Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori, date la gravità
della materia e le esigenze del bene spirituale della persona (Cf. 1 Cor
11,27-29) e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo
che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della
Chiesa (Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 978 § 2). Devono anche ricordare
questa dottrina nell’insegnamento a tutti i fedeli loro affidati”.
Pontificio consiglio
per i testi legislativi, Dichiarazione circa l’ammissibilità alla santa
comunione dei divorziati risposati, 24 giugno 2000:
“Il Codice di Diritto
Canonico stabilisce che: «Non siano ammessi alla sacra Comunione gli
scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena
e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto» (can.
915). Negli ultimi anni alcuni autori hanno sostenuto, sulla base di diverse
argomentazioni, che questo canone non sarebbe applicabile ai fedeli divorziati
risposati. […]
“Davanti a questo
preteso contrasto tra la disciplina del Codice del 1983 e gli insegnamenti
costanti della Chiesa in materia, questo Pontificio Consiglio, d’accordo con la
Congregazione per la Dottrina della Fede e con la Congregazione per il Culto
Divino e la Disciplina dei Sacramenti, dichiara quanto segue:
“1. La proibizione
fatta nel citato canone, per sua natura, deriva dalla legge divina e trascende
l’ambito delle leggi ecclesiastiche positive: queste non possono indurre
cambiamenti legislativi che si oppongano alla dottrina della Chiesa. Il testo
scritturistico cui si rifà sempre la tradizione ecclesiale è quello di San
Paolo: «Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del
Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto,
esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché
chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la
propria condanna» (1 Cor 11, 27-29. Cfr. Concilio di Trento, Decreto sul
sacramento dell’Eucaristia: DH 1646-1647, 1661)”.
Anche il Catechismo
della Chiesa Cattolica “ribadisce la prassi costante e universale «fondata
sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla Comunione eucaristica i divorziati
risposati»“ e “gli insegnamenti costanti della Chiesa in materia”:
CCC 1650: «Oggi, in
molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le
leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene,
per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (“Chi ripudia la propria moglie e ne
sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito
e ne sposa un altro, commette adulterio”: Mc 10,11-12 ), che non può
riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se
i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che
oggettivamente contrasta con la legge di Dio. Perciò essi non possono accedere
alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per
lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La
riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata
se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e
della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa
continenza».
Conclusioni del § A.
Il § 122 dell’”Instrumentum
laboris” ammette la possibilità di ciò che, per un cattolico, è del tutto
impossibile. L’accesso alla comunione sacramentale ai divorziati risposati è
presentata come una legittima possibilità, quando, invece, tale possibilità è
stata già definita illecita dal magistero precedente (FC, CdF 1994, CCC, Pont.
C. Testi Legislativi); è presentata come una possibilità non solo del tutto
teorica (ragionando “per impossibile”), ma reale, quando invece l’unica
possibilità reale per un cattolico coerente con la Verità rivelata è affermare
l’impossibilità che lecitamente i divorziati risposati accedano alla comunione
sacramentale. La questione è presentata come teologicamente aperta, quando è
stata già dottrinalmente e pastoralmente chiusa (Ibidem); è presentata come se
si partisse dal nulla del magistero precedente, quando, invece, il magistero
precedente si è pronunciato con tale autorevolezza, da non ammettere più
discussioni in merito (Ibidem).
Se qualcuno si
ostinasse a voler ridiscutere ciò che viene proposto a credere come rivelato
dalla Chiesa, formulando delle ipotesi che risultano incompatibili con il
dogma, indurrebbe i fedeli a un dubbio volontario in materia di fede.
B. – Uso improprio
del Catechismo della Chiesa Cattolica, traendone erroneamente argomenti per
suffragare una forma di etica della situazione
“Va ancora
approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione
oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che «l’imputabilità e la
responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» da diversi
«fattori psichici oppure sociali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735)”.
In queste ultime
righe del § 122 dell’”Instrumentum laboris”, si rimanda al § 1735 del
Catechismo della Chiesa Cattolica per suffragare “la distinzione tra situazione
oggettiva di peccato e circostanze attenuanti”, in vista di un’eventuale
ammissione ai sacramenti dei “divorziati risposati”. Che cosa dice in realtà il
§ 1735 del Catechismo? Leggiamolo per intero:
“L’imputabilità e la
responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate dall’ignoranza,
dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti
smodati e da altri fattori psichici oppure sociali”.
E adesso cerchiamo di
spiegare questo testo: ipotizziamo il caso di una povera ragazza in India o in
Cina che viene sterilizzata subendo pressioni, o una ragazza di oggi in Italia
che viene indotta ad abortire dai parenti suoi e del fidanzato... In questi
casi sicuramente l’imputabilità è sminuita o annullata, ma non direttamente
(simpliciter) per le tristi circostanze, ma per l’imperfezione dell’atto: un
atto moralmente giudicabile – un atto umano, in termini più precisi – deve
essere libero e consapevole.
Oggi, anche in
Italia, con la cattiva educazione che si riceve fin dalla scuola materna, una
ragazza può benissimo non rendersi conto che l’aborto è un omicidio: inoltre
potrebbe essere psicologicamente fragile e non avere caratterialmente la grinta
per andare contro tutti e tutto. È chiaro che la responsabilità morale di
questa ragazza è attenuata.
Altro è il caso di un
divorziato, risposato civilmente, che ha ritrovato la fede a giochi fatti:
ipotizziamo sia stato abbandonato dalla moglie, che si sia risposato con l’errata
idea di rifarsi una famiglia, e che non possa più ritornare con la prima vera unica
moglie (magari questa si è riaccompagnata con un altro uomo e ha avuto dei
figli da lui); questo fratello, pur pregando e partecipando attivamente alla
vita della parrocchia, benvoluto dal parroco e da tutti i fedeli, consapevole
del suo stato di peccato e neppure ostinato a volerlo giustificare, vive more
uxorio con la moglie sposata civilmente, non riuscendo a vivere con lei come
fratello e sorella. In questo caso, la scelta di accostarsi alla nuova moglie è
un atto perfettamente libero e consapevole, e quanto detto dal § 1735 del
Catechismo della Chiesa Cattolica non si può applicare nel modo più assoluto.
Lo stesso Catechismo
insegna infatti, al § 1754:
“Le circostanze, in
sé, non possono modificare la qualità morale degli atti stessi; non possono
rendere né buona né giusta un’azione intrinsecamente cattiva”.
E Giovanni Paolo II,
nell’enciclica “Veritatis splendor”, al § 115, affermava:
“È la prima volta,
infatti, che il Magistero della Chiesa espone con una certa ampiezza gli
elementi fondamentali di tale dottrina, e presenta le ragioni del discernimento
pastorale necessario in situazioni pratiche e culturali complesse e talvolta
critiche.
“Alla luce della
Rivelazione e dell’insegnamento costante della Chiesa e specialmente del
Concilio Vaticano II, ho brevemente richiamato i tratti essenziali della
libertà, i valori fondamentali connessi con la dignità della persona e con la
verità dei suoi atti, così da poter riconoscere, nell’obbedienza alla legge
morale, una grazia e un segno della nostra adozione nel Figlio unico (cf. Ef
1,4-6). In particolare, con questa Enciclica, vengono proposte valutazioni su
alcune tendenze attuali nella teologia morale. Le comunico ora, in obbedienza
alla parola del Signore che a Pietro ha affidato l’incarico di confermare i
suoi fratelli (cf. Lc 22,32), per illuminare e aiutare il nostro comune
discernimento.
“Ciascuno di noi
conosce l’importanza della dottrina che rappresenta il nucleo dell’insegnamento
di questa Enciclica e che oggi viene richiamata con l’autorità del successore
di Pietro. Ciascuno di noi può avvertire la gravità di quanto è in causa, non
solo per le singole persone ma anche per l’intera società, con la
riaffermazione dell’universalità e della immutabilità dei comandamenti morali,
e in particolare di quelli che proibiscono sempre e senza eccezioni gli atti
intrinsecamente cattivi”.
Conclusioni del § B.
Le parole di San
Giovanni Paolo II sono inequivocabili: con l’autorità del successore di Pietro
vengono riaffermate l’universalità e l’ immutabilità dei comandamenti morali, e
in particolare di quelli che proibiscono sempre e senza eccezioni gli atti
intrinsecamente cattivi. Inoltre viene confutata la artificiosa e falsa
separazione di chi pretende di lasciare inalterata la dottrina immutabile, ma poi
di conciliare l’inconciliabile, ovvero di comportarsi pastoralmente in modo non
consequenziale con la dottrina stessa.
Infatti lo stesso
santo Pontefice non ha scritto l’enciclica come un’esercitazione speculativa
fuori dal mondo, ma ha voluto offrire le ragioni del discernimento pastorale
necessario in situazioni pratiche e culturali complesse e talvolta critiche.
Certamente un
divorziato risposato, come quello descritto nell’esempio precedente (caso
assolutamente non raro), va amato, seguito, accompagnato verso la conversione
completa e solo allora potrà ricevere la SS. Eucaristia. Questa conversione va
annunciata come realmente possibile con l’aiuto della grazia, con la pazienza e
la misericordia di Dio, senza contravvenire a una verità indiscutibile della
nostra fede, per cui non si può fare la S. Comunione in stato di peccato
mortale.
C. – Un argomento non
“ad rem”
“… casi irreversibili
e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze
ingiuste”.
L’ammissione ai
Sacramenti non ha niente a che vedere con le situazioni irreversibili, in cui
non è più possibile ricostituire il primo e vero matrimonio.
In queste situazioni,
il principale obbligo morale che i divorziati risposati hanno nei confronti dei
figli è quello di vivere in grazia di Dio, per poterli meglio educare; l’ammetterli
o non ammetterli ai sacramenti non c’entra niente con gli obblighi nei
confronti della prole. A meno che non si voglia negare che invece la Chiesa “con
ferma fiducia crede anche quanti si sono allontanati dal comandamento del
Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia
della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera,
nella penitenza e nella carità” (Familiaris consortio, 84).
[…]
3 – “INSTRUMENTUM
LABORIS” E ATTENZIONE VERSO LE PERSONE CON TENDENZA OMOSESSUALE: LACUNE E
SILENZI
L’attenzione pastorale
verso le persone con tendenza omosessuale non è certo una novità nel magistero
della Chiesa. L’“Instrumentum laboris”, rispetto alla “Relatio finalis” del
2014, rintuzza la lacuna più grave di quest’ultimo documento, ponendo più
attenzione alle famiglie comprendenti persone omosessuali (famiglie quasi
completamente dimenticate nella “Relatio”). Una pur giusta raccomandazione di
evitare discriminazioni ingiuste alle persone con tendenza omosessuale,
accennando appena alle loro famiglie, è quasi un “off-topic”, in un sinodo
sulla famiglia.
Nella redazione dell’“Instrumentum
laboris”, da un lato è stato aggiunto un paragrafo (il § 131) che raccomanda
attenzione a questi nuclei familiari, tuttavia non c’è traccia di importanti e
fondamentali indicazioni ribadite dal Magistero ordinario in materia.
Riteniamo che in un
sinodo sulla famiglia, affrontare la problematica della omosessualità
limitandosi a dire che non bisogna trattare male gli omosessuali e non lasciare
sole le loro famiglie, sia un peccato di omissione.
Ecco il testo in
questione:
“L’attenzione
pastorale verso le persone con tendenza omosessuale
“130. (55) Alcune
famiglie vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con orientamento
omosessuale. Al riguardo ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia
opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa:
«Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure
remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la
famiglia». Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono
essere accolti con rispetto e delicatezza. «A loro riguardo si eviterà ogni
marchio di ingiusta discriminazione» (Congregazione per la Dottrina della Fede,
Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra
persone omosessuali, 4).
“131. Si ribadisce
che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va
rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza, sia nella
Chiesa che nella società. Sarebbe auspicabile che i progetti pastorali
diocesani riservassero una specifica attenzione all’accompagnamento delle
famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale e di queste stesse
persone.
“132. (56) È del
tutto inaccettabile che i Pastori della Chiesa subiscano delle pressioni in
questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti
finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio”
fra persone dello stesso sesso”.
Ci sembra che al
suddetto testo si possano fare le osservazioni che riportiamo di seguito.
Lacune e silenzi
Visto che siamo
santamente esortati a metterci nella “condizione di ospedale da campo che tanto
giova all’annuncio della misericordia di Dio”, è opportuno ricordare che, in
ogni ospedale che si rispetti, i medici fanno il loro dovere quando: 1)
diagnosticano la malattia, 2) somministrano la cura, 3) seguono il paziente
fino alla guarigione; inoltre la Chiesa, “conoscendo le insidie d’una
pestilenza”, mentre “si consacra alla guarigione di coloro che ne sono colpiti”,
“cerca di guardare sé e gli altri da tale infezione”.
Ridurre (o tacere di
tutto il resto) l’opera della Chiesa ad accogliere le persone con tendenze
omosessuali con “rispetto e delicatezza” può essere assimilato tutt’al più –
sempre seguendo la metafora dell’ospedale da campo – a una cura palliativa.
Inoltre ricordare
solo il dovere di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione, senza dire
altro, può sembrare un accodarsi alla propaganda contro la cosiddetta omofobia,
che sappiano bene essere un grimaldello per introdurre nelle legislazioni norme
esiziali, e nella coscienze l’accettazione della teoria del “gender”.
La Congregazione per
la Dottrina della Fede faceva saggiamente osservare, nel 1986, che “una delle
tattiche usate è quella di affermare, con toni di protesta, che qualsiasi critica
o riserva nei confronti delle persone omosessuali, delle loro attività e del
loro stile di vita, è semplicemente una forma di ingiusta discriminazione”.
Quando si parla di
ingiusta discriminazione della persone omosessuali è dunque opportuno anche spiegare
con chiarezza che cosa sia veramente ingiusta discriminazione e che cosa sia
invece la doverosa denuncia del male.
Sempre la stessa
Congregazione ribadiva che “ogni allontanamento dall’insegnamento della Chiesa,
o il silenzio su di esso, nella preoccupazione di offrire una cura pastorale,
non è forma né di autentica attenzione né di valida pastorale. Solo ciò che è
vero può ultimamente essere anche pastorale”.
1 - Riteniamo che si
debba con chiarezza diagnosticare la malattia, come per esempio ha fatto la
Congregazione per la Dottrina della Fede, nel 2003; vediamo come la questione
dell’ingiusta discriminazione è trattata in un contesto assai chiaro:
“Gli atti
omosessuali, infatti, «precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non
sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun modo
possono essere approvati» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2357).
“Nella Sacra Scrittura
le relazioni omosessuali «sono condannate come gravi depravazioni... (cf. Rm 1,
24-27; 1 Cor 6, 10; 1 Tm 1, 10). Questo giudizio della Scrittura non permette
di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano
personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono
intrinsecamente disordinati» (Congregazione per la Dottrina della Fede,
Dichiarazione ‘Persona humana’, 29 dicembre 1975, n. 8).
“Lo stesso giudizio
morale si ritrova in molti scrittori ecclesiastici dei primi secoli (Cf. per
esempio S. Policarpo, Lettera ai Filippesi, V, 3; S. Giustino, Prima Apologia,
27, 1-4; Atenagora, Supplica per i cristiani, 34) ed è stato unanimemente
accettato dalla Tradizione cattolica.
“Secondo l’insegnamento
della Chiesa, nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali «devono
essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si
eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Catechismo della Chiesa
Cattolica, n. 2358; cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla
cura pastorale delle persone omosessuali, 1º ottobre 1986, n. 10). Tali persone
inoltre sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità (Cf.
Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2359; Congregazione per la Dottrina della
Fede, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1º ottobre 1986,
n. 12). Ma l’inclinazione omosessuale è «oggettivamente disordinata»
(Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2358) e le pratiche omosessuali «sono
peccati gravemente contrari alla castità» (Ibid., n. 2396)”.
Inoltre deve essere
ammessa la possibilità del peccato da parte di persone con tendenze
omosessuali, non escludendo la confessione come aiuto soprannaturale talvolta
necessario:
“Dev’essere comunque
evitata la presunzione infondata e umiliante che il comportamento omosessuale
delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione e
pertanto senza colpa. In realtà anche nelle persone con tendenza omosessuale
dev’essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona
umana e le conferisce la sua particolare dignità. Come in ogni conversione dal
male, grazie a questa libertà, lo sforzo umano, illuminato e sostenuto dalla
grazia di Dio, potrà consentire ad esse di evitare l’attività omosessuale”.
L’amore si mostra
anche svelando prospettive di falsa felicità:
“Come accade per ogni
altro disordine morale, l’attività omosessuale impedisce la propria
realizzazione e felicità perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio.
Quando respinge le dottrine erronee riguardanti l’omosessualità, la Chiesa non
limita ma piuttosto difende la libertà e la dignità della persona, intese in
modo realistico e autentico”.
2 - In secondo luogo
è necessario prescrivere la cura:
a) prevenendo le
infezioni dello spirito del mondo…
“… Coloro che si
trovano in questa condizione dovrebbero essere oggetto di una particolare
sollecitudine pastorale perché non siano portati a credere che l’attuazione di
tale tendenza nelle relazioni omosessuali sia un’opzione moralmente accettabile”.
“[La Chiesa] si
preoccupa sinceramente anche dei molti che non si sentono rappresentati dai
movimenti pro-omosessuali, e di quelli che potrebbero essere tentati di credere
alla loro ingannevole propaganda”.
b) … facendo ricorso
anche alle scienze umane: la cura prescritta non deve essere solo di carattere
morale: come la Chiesa, per favorire il retto uso del matrimonio, promuove la
costituzione di consultori dove si insegnano i metodi naturali, così è opportuno
che la Chiesa favorisca tutte quella forme di supporto psicologico, che in
questi anni sono state fornite, con incoraggianti successi:
“In particolare i
Vescovi si premureranno di sostenere con i mezzi a loro disposizione lo
sviluppo di forme specializzate di cura pastorale per persone omosessuali. Ciò
potrebbe includere la collaborazione delle scienze psicologiche, sociologiche e
mediche, sempre mantenendosi in piena fedeltà alla dottrina della Chiesa”.
c) … e infondendo
speranza: bisogna accompagnare le persone con orientamento omosessuale in un
itinerario anche culturale, inteso a smascherare tutte le teorie omosessualiste
(quali la teoria del “gender”) e slogan tipo “si nasce omosessuali”; questo
slogan assopisce la coscienza di chi vuole restare così, e sopprime la speranza
di chi vorrebbe uscirne.
3 - In terzo luogo
bisogna seguire il paziente fino alla guarigione, che è la vita di grazia e la
santità stessa; qualunque cosa, prescindendo dalla fede, viene chiamata
disagio, è – per il credente – occasione provvidenziale di santificazione: “Diligentibus
Deum, omnia cooperantur in bonum” (Rm 8, 28). Anche per questo aspetto, non
troviamo parole migliori di quelle della Congregazione per la Dottrina della
Fede:
“Che cosa deve fare
dunque una persona omosessuale, che cerca di seguire il Signore?
Sostanzialmente, queste persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio
nella loro vita, unendo ogni sofferenza e difficoltà che possano sperimentare a
motivo della loro condizione, al sacrificio della croce del Signore. Per il
credente, la croce è un sacrificio fruttuoso, poiché da quella morte provengono
la vita e la redenzione. Anche se ogni invito a portare la croce o a intendere
in tal modo la sofferenza del cristiano sarà prevedibilmente deriso da
qualcuno, si dovrebbe ricordare che questa è la via della salvezza per tutti coloro
che sono seguaci di Cristo.
“In realtà questo non
è altro che l’insegnamento rivolto dall’apostolo Paolo ai Galati, quando egli
dice che lo Spirito produce nella vita del fedele: «amore, gioia, pace,
pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé» e più oltre:
«Non potete appartenere a Cristo senza crocifiggere la carne con le sue
passioni e i suoi desideri» (Gal 5, 22. 24).
“Tuttavia facilmente
questo invito viene male interpretato, se è considerato solo come un inutile
sforzo di auto-rinnegamento. La croce è sì un rinnegamento di sé, ma nell’abbandono
alla volontà di quel Dio che dalla morte trae fuori la vita e abilita coloro,
che pongono in Lui la loro fiducia, a praticare la virtù invece del vizio.
“Si celebra veramente
il Mistero Pasquale solo se si lascia che esso permei il tessuto della vita
quotidiana. Rifiutare il sacrificio della propria volontà nell’obbedienza alla
volontà del Signore è di fatto porre ostacolo alla salvezza. Proprio come la
croce è il centro della manifestazione dell’amore redentivo di Dio per noi in
Gesù, così la conformità dell’auto-rinnegamento di uomini e donne omosessuali
con il sacrificio del Signore costituirà per loro una fonte di auto-donazione
che li salverà da una forma di vita che minaccia continuamente di distruggerli.
“Le persone
omosessuali sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità. Se si
dedicano con assiduità a comprendere la natura della chiamata personale di Dio
nei loro confronti, esse saranno in grado di celebrare più fedelmente il
sacramento della Penitenza, e di ricevere la grazia del Signore, in esso così
generosamente offerta, per potersi convertire più pienamente alla sua sequela”.
4 - Infine cercare di
guardare sé e gli altri da tale infezione:
“La coscienza morale
esige di essere, in ogni occasione, testimone della verità morale integrale,
alla quale si oppongono sia l’approvazione delle relazioni omosessuali sia l’ingiusta
discriminazione nei confronti delle persone omosessuali. Sono perciò utili
interventi discreti e prudenti, il contenuto dei quali potrebbe essere, per
esempio, il seguente: smascherare l’uso strumentale o ideologico che si può
fare di questa tolleranza; affermare chiaramente il carattere immorale di
questo tipo di unione, richiamare lo Stato alla necessità di contenere il
fenomeno entro limiti che non mettano in pericolo il tessuto della moralità
pubblica e, soprattutto, che non espongano le giovani generazioni ad una
concezione erronea della sessualità e del matrimonio, che le priverebbe delle
necessarie difese e contribuirebbe, inoltre, al dilagare del fenomeno stesso”.
Conclusioni
Il richiamo del tema
dell’aiuto alle famiglie con figli con tendenza omosessuale offre occasione di
interrogarsi sul perché di questa menzione a discapito di altri disagi ben più
diffusi che le famiglie vivono; inoltre la tematica è posta in modo da
scivolare da problema della famiglia a problema delle persone omosessuali
tout-court, “off-topic” rispetto all’oggetto proprio del sinodo.
Inoltre, il paragrafo
in questione, pur dovendosi quantitativamente mantenere nello spazio di poche
righe, omette il richiamo delle vere problematiche legate alla pastorale delle
persone omosessuali; questo silenzio è tanto più colpevole quanto spaventosa è
oggi l’avanzata dell’ideologia del “gender”.
[…]
__________
Il documento base del
sinodo, oggetto delle “Osservazioni”:
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