Nella ricorrenza
della festa del Sacratissimo Rosario e della Vergine delle Vittorie, rilancio questo
contributo tratto da Chiesa e postconcilio.
Juan Sánchez Cotán, Apparizione della Vergine del Rosario ad un gruppo
di certosini, XVII sec., Museo de Bellas
Artes, Granada
|
Guillaume Perrier, La Vergine offre il Rosario a S. Domenico alla presenza di altri Santi, XVII sec., Musée des ursulines, Mâcon |
Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato, Madonna del Rosario, 1643, Chiesa di S. Sabina, Roma |
Tiziano Vecellio, Allegoria della battaglia di Lepanto ovvero Filippo II offre al Cielo l'Infante don Fernardo con le insegne di vittoria di Lepanto, 1573-75, Museo del Prado, Madrid |
Tiziano Vecellio, La Spagna soccorre la Religione, con sullo sfondo la Battaglia di Lepanto, 1572-75, museo del Prado, Madrid |
Juan de Toledo e Mateo Gilarte, Battaglia di Lepanto, 1663-65, Chiesa di San Domenico, Murcia |
Rivelazione di S. Pio V e vittoria della Lega Santa a Lepanto, Museo Naval, Madrid |
Juan de Toledo e Mateo Gilarte, Battaglia di Lepanto, 1663-65 circa, Fondazione Murcia, Murcia |
Anonimo, I vincitori di Lepanto: Don Juan de Austria, Marco Antonio Colonna ed il doge Sebastiano Venier, Castello di Ambras, Galleria dei Ritratti, Innsbruck |
Battaglia di Lepanto ovvero Don Giovanni d'Austria riceve le insegne da parte dei cardinali legati, XX sec., Chiesa della Visitazione, Ain Karim |
7 Ottobre 2015 - 444°
Anniversario della Battaglia di Lepanto
Non ci si poteva esimere dal ricordare ancora questa
data, solitamente taciuta dai media, ma anche dalla Chiesa recente, tutta presa
a scusarsi anche di essersi difesa: ha mutato la vita nel nostro
Continente a quel tempo, e per i secoli a venire; e, insieme, ci lascia
misurare con inquietudine quanto la situazione nelle nostre terre sia mutata
oggi, e di segno opposto.
7 ottobre 1571: San
Pio V, il Papa di Lepanto
Da Ludwig von Pastor, “Storia dei Papi. Dalla fine del medio evo”,
Desclée, Roma 1950, vol. 8, pp. 1566-1572
Con indescrivibile
tensione aveva Pio V tenuto gli occhi rivolti all’Oriente. I suoi pensieri
erano continuamente presso la flotta cristiana, i suoi voti la precorrevano di
molto. Giorno e notte egli in ardente preghiera la raccomandava alla protezione
dell’Altissimo. Dopo che ebbe ricevuto notizia dell’arrivo di Don Juan a
Messina, il papa raddoppiò le sue penitenze ed elemosine. Egli aveva ferma
fiducia nella potenza della preghiera, specialmente del rosario.
In un concistoro del 27 agosto Pio V invitò i cardinali a
digiunare un giorno la settimana ed a fare straordinarie elemosine, solo colla
penitenza potendosi sperare misericordia da Dio in sì grande distretta. Sua
Santità – così notificò ai 26 di settembre del 1571 l’ambasciatore spagnuolo –
digiuna tre giorni la settimana e dedica quotidianamente molte ore alla
preghiera: ha ordinato anche preghiere nelle chiese. Per assicurare Roma da un’improvvisa
irruzione di corsari turchi, il papa al principio di settembre aveva comandato
che si terminasse la fortificazione di Borgo. Soltanto molto rare arrivavano
notizie sull’armata cristiana e pertanto alla Curia si stava in penosa
incertezza. Fu quindi come una liberazione l’apprendere finalmente ai primi di
ottobre l’arrivo della flotta della lega a Corfù.
Giunta ai 13 di
ottobre la nuova che la flotta turca trovavasi a Lepanto e che quella della
lega si sarebbe messa in movimento il 30 settembre, non v’aveva dubbio che il
cozzo era imminente. Il papa, sebbene fermamente fiducioso della vittoria delle
armi cristiane, ordinò tuttavia straordinarie preghiere diurne e notturne in
tutti i monasteri di Roma: egli poi in simili esercizi andava avanti a tutti
col migliore esempio. La sua preghiera doveva finalmente venire esaudita. Nella
notte dal 21 al 22 ottobre arrivò un corriere mandato dal nunzio a Venezia
Facchinetti e rimise al cardinal Rusticucci che dirigeva gli affari della
segreteria di Stato una lettera del Facchinetti contenente la notizia portata a
Venezia il 19 ottobre da Giofrè Giustiniani della grande vittoria ottenuta
presso Lepanto sotto l’ottima direzione di Don Juan. Il cardinale fece tosto
svegliare il papa, che prorompendo in lagrime di gioia pronunziò, le parole del
vecchio Simeone:”nunc dimittis servum tuum in pace”. Si alzò subito per ringraziare
Iddio in ginocchio e poi ritornò in letto, ma per la lieta eccitazione non poté
trovar sonno.
La mattina seguente
si recò a S. Pietro per nuova calda preghiera di ringraziamento, ricevendo
poscia gli ambasciatori e cardinali ai quali disse che ora dovevansi fare nel
prossimo anno gli sforzi estremi per continuare la guerra turca. In quest’occasione
egli alludendo al nome di Don Juan ripeté le parole della Scrittura: “fuit homo
missus a Deo, cui nomen erat Ioannes”. (…) Tanto Colonna quanto il papa avevano chiara
coscienza di quanto mancasse ancora per raggiungere la grande meta dell’abbattimento
della potenza degli ottomani: ambedue erano così concordi sui passi da intraprendersi
che Pio V associò il suo esperimentato ammiraglio ai cardinali deputati per gli
affari della lega, che dal 10 dicembre tenevano quasi ogni giorno coi
rappresentati di Spagna, Requesens e Pacheco, e cogli inviati di Venezia due
sedute, spesso della durata di cinque ore.
Sotto pena di
scomunica riservata al papa tutto era tenuto rigorosissimamente segreto, perché
il sultano aveva mandato a Roma degli spioni parlanti italiano. Nelle consulte
ordinate dal papa nei mesi di ottobre e novembre era venuta in prima linea la
provvista dei mezzi finanziarii; ora trattavasi principalmente dello scopo dell’impresa
da compiersi nella prossima primavera. E qui solo malamente i rappresentanti
sia di Spagna, sia di Venezia potevano nascondere la gelosia e avversione, che
nutrivano a vicenda. Gli interessi particolari dei due alleati emersero sì
fortemente che venne messa in forse qualsiasi azione comune. I veneziani
volevano servirsi della lega non solo per riavere Cipro, ma anche per fare
nuove conquiste in Levante. Filippo II, invece, avverso ad ogni rafforzamento
della repubblica di S. Marco, fece dichiarare dal Requesens che la lega doveva
in primo luogo muovere contro gli stati berbereschi dell’Africa, perché questi
tornassero in possesso della Spagna. In questa proposta i veneziani videro una
trappola per impedirli dalla riconquista di Cipro ed esporli al pericolo di
perdere anche Corfù mentre la loro flotta combatteva gli stati berbereschi pel
re di Spagna. A Venezia ritenevasi ora sicuro che Filippo II volesse trarre il
maggior utile possibile nel suo proprio interesse dalle forze della lega.
Non può dirsi con
certezza quanto le lagnanze per ciò sollevate siano giustificate. Per giudicare
rettamente il re di Spagna va in ogni modo tenuto conto del contegno della Francia,
il cui governo fu abbastanza svergognato da proporre al sultano subito dopo la
battaglia di Lepanto un’alleanza diretta contro la Spagna. Filippo II era
perfettamente a giorno delle trattative che la Francia conduceva non solo col
sultano, ma anche cogli ugonotti, i capi della rivoluzione neerlandese e con
Elisabetta d’Inghilterra. In conseguenza egli doveva fare i conti con un
contemporaneo attacco d’una coalizione franco-neerlandese-inglese-turca. Non fu
pertanto solo gelosia verso Venezia quella che guidò il re cattolico. Del resto
lo stesso Don Juan confessò ch’era contro il tenore del patto della lega
rinunciare alla guerra contro il sultano a favore di un’impresa in Africa.
Di fronte al
contrasto degli interessi spagnuoli e veneziani Pio V continuò a rappresentare
la concezione più vasta e sommamente disinteressata: egli pensava alla
liberazione di Gerusalemme, a
cui doveva precedere la conquista di Costantinopoli. Ma, come scrisse Zúñiga
all’Alba il 10 novembre 1571, un colpo efficace nel cuore della potenza
ottomana era possibile soltanto in vista di un attacco contemporaneo e all’impensata
per terra e per mare. Di qui i continuati sforzi di Pio V per arrivare a una
coalizione europea contro i Turchi. Se a questo riguardo nulla era da sperarsi
dalla Francia, che nel luglio aveva mandato un ambasciatore in Turchia, egli
tuttavia sperava di guadagnare all’idea almeno altre potenze, prima di tutti l’imperatore,
poi Polonia e Portogallo. A dispetto di tutti gli insuccessi finallora
incontrati egli coi suoi legati e nunzi continuò a spingere sempre a questa
meta.
Pio V cercava di
utilizzare al possibile a questo riguardo il più leggero segno di buona
volontà. Così prese occasione dalle frasi generiche, con cui Massimiliano II
assicurò di essere disposto ad aiutare la causa cristiana, per dargli l’aspettativa
da parte degli alleati di un aiuto di 20,000 uomini a piedi e di 2000 a
cavallo. L’imperatore ringraziò ai 25 di gennaio del 1572 dell’offerta
deplorando di non potere subito decidersi in un negozio di tale importanza. A
Roma il duca di Urbino fece risaltare che c’era poco da sperare da Massimiliano
ed anzi nulla dai principi tedeschi, specialmente dai protestanti. In un
memoriale del papa del gennaio 1572 egli sostenne con buone ragioni l’idea che
la guerra dovesse condursi là dove esercito e flotta potessero operare
congiunte e dove «noi siamo padroni della situazione», quindi principalmente
colla flotta in Levante. Se i Turchi venissero attaccati in Europa dall’imperatore
e dalla Polonia, tanto meglio; ma la cosa principale è che si attacchi tosto, perché
chi semplicemente si difende non combatte; chi vuole conquistare deve andare
avanti risoluto.
La lega quindi si
volga contro Gallipoli aprendosi così lo stretto dei Dardanelli. Ma per tale
impresa era incondizionatamente necessaria una intesa della Spagna con Venezia,
mentre invece i loro rappresentanti da mesi altercavano a Roma nel modo più
spiacevole. Quando finalmente i veneziani fecero la proposta, conforme alle
clausole del patto della lega del maggio 1571, di far decidere dal papa i punti
contestati, anche la Spagna non osò fare opposizione.
Decise Pio V che la
guerra della lega dovesse continuarsi nel Levante, che nel marzo la flotta
pontificia si riunisse con la spagnuola a Messina e s’incontrasse con la veneta
a Corfù, donde le tre forze unite dovevano procedere secondo gli ordini dei loro
ammiragli, che gli alleati aumentassero, potendolo, le loro galere fino a 250 e
procurassero secondo la proporzione prescritta nel patto della lega 32,000
soldati e 500 cavalieri oltre alla corrispondente artiglieria e munizioni e che
alla fine di giugno dovessero trovarsi riuniti a Otranto 11,000 soldati (1000
pontifici, 6000 spagnuoli e 4000 veneziani). Ognuno degli alleati doveva
preparare vettovaglie per sette mesi. Queste convenzioni vennero sottoscritte
il 10 febbraio 1572.
Il 16 Pio V ammonì il
gran maestro dei Gerosolimitani di tenere pronte le sue galere a Messina. I
preparativi nello Stato pontificio, pei quali il denaro venne procurato
principalmente col Monte della Lega, furono spinti avanti sì alacremente che
nello stesso giorno si poté inviare ad Otranto 1800 uomini. A Civitavecchia
erano pronte tre galere ed altre là erano attese da Livorno. Il papa era tutto
pieno del pensiero della crociata: egli viveva e movevasi nel progetto, di cui
fin dal principio era stato da solo l’anima.
Per dieci anni, così
si espresse Pio V col cardinale Santori, deve farsi guerra ai Turchi per mare e
per terra. La bolla del
giubileo, in data 12 marzo 1572, concedeva a tutti coloro, che prendevano essi
stessi le armi o volevano equipaggiare un altro o contribuire con denaro, le
stesse indulgenze che per il passato avevano acquistate i crociati; i beni di
quelli, che partivano per la guerra, dovevano essere sotto la protezione della
Chiesa nè potevano venire pregiudicati da chicchessia; tutte le loro liti
dovevano sospendersi fino al loro ritorno o a che ne fosse accertata la morte
ed essi dovevano restare esenti da ogni tributo.
Da una notizia del 15
marzo 1572 appare quanto la faccenda tenesse occupato il papa: in questa
settimana si sono tenute in Vaticano niente meno che tre consulte in proposito.
Per infervorare Don Juan, alla fine di marzo del 1572 gli vennero mandati come
speciale distinzione lo stocco e il berretto benedetti a Natale. Con nuove
speranze Pio V guardava al futuro: buona ventura gli risparmiò di vedere che la
gloriosa vittoria di Lepanto rimanesse senza immediate conseguenze strategiche
e politiche a causa della gelosia e dell’egoismo degli spagnuoli e veneziani,
che dal febbraio 1572 disputarono sulle spese della spedizione dell’anno
passato. Tanto più grandi furono però gli effetti mediati.
Quanto profondamente
venisse scosso l’impero del sultano, risulta dal movimento che prese i suoi
sudditi cristiani. Non era affatto ingiustificata la speranza d’una
insurrezione di cui sarebbe stata la base la popolazione cristiana di Costantinopoli
e Pera, che contava 40,000 uomini. Aggiungevasi la sensibile perdita della
grande flotta, che d’un colpo era stata annientata con tutta l’artiglieria e l’equipaggio
difficile a surrogarsi.
Se anche, in seguito
della grandiosa organizzazione dell’impero e della straordinaria attività di
Occhiali, si riuscì a creare un nuovo equivalente, l’avvenire doveva tuttavia insegnare
che dalla battaglia di Lepanto data la lenta decadenza di tutta la forza
navale di Turchia: era stato messo un termine al suo avanzare e l’incubo della
sua invincibilità era stato per la prima volta distrutto. Ciò sentì
istintivamente il mondo cristiano ora respirante più agevolmente. Di qui la
letizia interminabile, che passò rumorosa per tutti i paesi. «Fu per noi tutti
come un sogno», scrisse l’11 novembre 1571 a Don Juan da Madrid Luis de
Alzamara; “credemmo di riconoscere l’immediato intervento di Dio”.
Le chiese de’ paesi
cattolici risuonarono dell’inno di ringraziamento, il Te Deum. Primo fra
tutti Pio V richiamò il pensiero al cielo: nelle medaglie commemorative, che
fece coniare, egli pose le parole del salmista: “la destra del Signore ha fatto
cose grandi; da Dio questo proviene”. Poiché la battaglia era stata guadagnata
la prima domenica d’ottobre, in cui a Roma le confraternite del rosario
facevano le loro processioni, Pio V considerò autrice della vittoria la potente
interceditrice, la misericordiosa madre della cristianità e quindi ordinò che
ogni anno nel giorno della battaglia si celebrasse una festa di ringraziamento
come “commemorazione della nostra Donna della vittoria”.
Addì 1° aprile 1573
il suo successore Gregorio XIII stabilì che la festa venisse in seguito
celebrata come festa del Rosario la prima domenica d’ottobre. In Ispagna e
Italia, i paesi più minacciati dai Turchi, sorsero ben presto chiese e cappelle
dedicate a Maria della Vittoria. Il senato veneto pose sotto la rappresentazione
della battaglia nel palazzo dei dogi le parole: “né potenza e armi né duci, ma
la Madonna del Rosario ci ha aiutato a vincere”. Molte città, come ad es.
Genova, fecero dipingere la Madonna del Rosario sulle loro porte ed altre
introdussero nelle loro armi l’immagine di Maria che sta sulla mezza luna.
Nessun commento:
Posta un commento