Lo scorso 30 settembre si
svolgeva, quasi alla vigilia del Sinodo, a Roma, presso la prestigiosa sede
dell’Università Pontificia Angelicum, il convegno internazionale “Permanere
nella verità di Cristo”, evento sponsorizzato anche su questo blog. Relatori erano
i cardinali Carlo Caffarra e Raymond L. Burke, nonché Mons. Cyril Vasil’ ed il
prof. Stephan Kampowski. L’evento è stato ben descritto da alcuni partecipanti (v. qui, qui, qui, qui, qui e qui. Per una sintesi delle relazioni, v. qui, riprodotta anche qui).
Possono anche ascoltarsi gli audio delle relazioni dei cardinali: le uniche, al
momento, disponibili (qui il saluto del Rettore, l'introduzione e la relazione del card. Caffarra; qui quella del card. Burke). Qui di seguito riproduciamo il testo della relazione del
card. Burke, rinviando al seguente link per quella, altrettanto interessante, del card. Caffarra (v. anche qui).
Nella
memoria, dunque, di S. Giovanni Leonardi e del Venerabile Pio XII, il Pastor Angelicus, rilancio
questo contributo, che è riprodotto anche da Chiesa e postconcilio.
Bottega Lucchese, S. Giovanni Leonardi, XVIII-XIX sec., museo diocesano, Lucca |
Il matrimonio è
naturale e sacro
di Raymond Leo
Burke*
Al momento attuale
nella Chiesa non esiste una materia più importante da trattare della verità sul
matrimonio. In un mondo nel quale l’integrità del matrimonio è sotto attacco
già da molti decenni, la Chiesa è rimasta sempre l’araldo fedele della verità
del piano di Dio per l’uomo e la donna, nella unione fedele, indissolubile e
procreativa del matrimonio. Nel presente momento, certamente sotto la pressione
di una cultura totalmente secolarizzata, confusione e perfino errore sono
entrati nella Chiesa e minacciano di indebolire o compromettere gravemente la
testimonianza della Chiesa, a detrimento della intera società.
La confusione e
l’errore sono diventati evidenti a tutti durante la recente sessione della Terza Assemblea
Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, dedicata alla discussione del tema “Le
sfide pastorali sulla famiglia nel contesto della evangelizzazione”, e tenuta
nel mese di ottobre del 2014. La relazione presentata dopo la prima settimana
di discussioni nel Sinodo ha reso spaventosamente chiara la gravità della
situazione. La relazione stessa mancava di qualsiasi riferimento consistente al
costante magistero della Chiesa sul matrimonio e si presentava come un manifesto,
un tipo di incitamento ad un nuovo approccio alle questioni fondamentali della
sessualità umana nella Chiesa, un approccio chiamato rivoluzionario, e non
senza ragione, dai mezzi di comunicazione secolari. Infatti, il documento è
stato rivoluzionario nel senso che è staccato da quello che la Chiesa ha sempre
insegnato e praticato per quanto riguarda il matrimonio.
Adesso alla vigilia
della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi nella quale l’oggetto è “La
vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”,
vorrei offrire delle considerazioni canoniche essenziali. Dico “essenziali”
perché è importante ricordare che l’istituto stesso del Sinodo dei Vescovi ha necessariamente
un aspetto giuridico per garantire che l’istituto serva correttamente al bene
della Chiesa. Il matrimonio e il suo frutto più bello, la famiglia, hanno anche
un essenziale aspetto giuridico che garantisce il giusto rapporto tra gli sposi
che costituiscono il matrimonio e tra gli sposi e tutti quanti che si
rapportano al matrimonio concreto quale istituto pubblico e precisamente quale
istituto fondamentale della società stessa – la prima cellula della società e
la Chiesa domestica.
Prima presenterò
delle considerazioni canoniche sul Sinodo stesso e poi delle considerazioni
canoniche intorno ai temi presentati per la discussione dei Padri Sinodali
tramite l’Instrumentum laboris della XIV Assemblea Generale
Ordinaria.
Considerazioni
canoniche sul Sinodo dei Vescovi
1. La natura del
Sinodo dei Vescovi
Frequentemente
nelle presentazioni vulgate dei lavori del Sinodo dei Vescovi, si è data
l’impressione che la dottrina e la prassi perenne della Chiesa saranno alterate
con una votazione a maggioranza dei Padri Sinodali. Ma il Sinodo dei Vescovi
non ha l’autorità di cambiare dottrina e disciplina. La natura e lo scopo del
Sinodo dei Vescovi sono descritti nel can. 342 del Codice di Diritto Canonico,
che riporto verbalmente:
Il sinodo dei
Vescovi è un’assemblea di Vescovi i quali, scelti dalle diverse regione
dell’orbe, si riuniscono in tempi determinati per favorire una stretta unione
fra il Romano Pontefice e i Vescovi, e per prestare aiuto con i loro consigli
al Romano Pontefice stesso nella salvaguardia e nell’incremento della fede e
dei costumi, nell’osservanza e nel consolidamento della disciplina
ecclesiastica e inoltre per studiare i problemi riguardanti l’attività della
Chiesa nel mondo1 .
Il Sinodo dei
Vescovi non è convocato dal Romano Pontefice per suggerire cambiamenti nella
dottrina e disciplina della Chiesa, ma piuttosto per assistere il Romano
Pontefice nella salvaguardia e nella promozione della sana dottrina riguardante
la fede e i costumi, e nel rafforzamento della disciplina per la quale le
verità della fede sono vissute nella prassi.
È importante
ricordare che il canone stesso è tratto dal Motu proprio Apostolica sollicitudo con
il quale il Beato Papa Paolo VI ha istituto il Sinodo dei Vescovi al termine
del Concilio Ecumenico Vaticano II. Dal Motu proprio e dalle norme che lo hanno
messo in pratica è chiaro che il Sinodo esiste per favorire la comunione nella
Chiesa, dando al Romano Pontefice un particolare istituto perché egli possa
ricevere l’aiuto dell’episcopato disperso in tutto il mondo nel suo servizio
petrino. Ricordo le parole della Costituzione dommatica sulla Chiesa, Lumen
gentium, del Concilio Ecumenico Vaticano II:
Questo sacrosanto
sinodo, seguendo le orme del concilio vaticano primo, insegna e dichiara con
esso che Gesù Cristo, pastore eterno, ha edificato la santa chiesa e ha mandato
gli apostoli come egli stesso era stato mandato dal Padre (cf. Gv. 20, 21), e
ha voluto che i loro successori, cioè i vescovi, fossero fino alla fine dei
tempi pastori nella sua chiesa. Affinché lo stesso episcopato fosse uno e
indiviso, prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il
principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della
comunione2 .
Chiaramente,
l’istituto del Sinodo dei Vescovi è uno strumento privilegiato del rapporto tra i
Vescovi quali successori degli Apostoli e il Romano Pontefice quale successore
di San Pietro. Il rapporto è essenziale alla vita della Chiesa ed è molto
delicato. Per questo motivo, anche se non c’è tempo oggi di farlo, è importante
studiare in profondità l’istituto del Sinodo dei Vescovi, dalla sua
costituzione, per evitare distorsioni dannose per la Chiesa universale.
Considerando le
sfide che gli sposi e la famiglia affrontano nella cultura odierna, è evidente che l’aiuto principale
che il Sinodo dei Vescovi dovrebbe offrire al Romano Pontefice è la discussione
dei mezzi per preparare più profondamente le coppie che intendono sposarsi, per
accompagnarle specialmente nei primi anni di matrimonio, e per aiutare le
coppie che si trovano in difficoltà e perfino in uno stato che non corrisponde
alla verità del matrimonio come Dio l’ha creato dall’inizio, e che Cristo,
insistendo sulla verità del matrimonio, lo ha restituito alla sua bellezza
originale.
Infatti, la
discussione sul matrimonio e sulla famiglia durante l’assemblea del Sinodo nell’ottobre del
2014 è stata presentata in termini di evangelizzazione. L’appello frequente di
Papa Francesco alla Chiesa, di andare nelle periferie, ha come scopo
l’evangelizzazione della gente che vive nelle periferie. Tale evangelizzazione,
secondo l’insegnamento di Papa Giovanni Paolo II, ci porta a raggiungere la
“«misura alta» della vita cristiana ordinaria”3 che è
“raccolta dal Vangelo e dalla viva Tradizione” nella Chiesa4 .
Il Sinodo perciò ha il compito di suggerire i modi per la Chiesa d’essere più
fedele alla verità sul matrimonio e sulla famiglia, insegnataci dal Vangelo e
dalla Tradizione viva. Per quanto riguarda il matrimonio cristiano e la
famiglia, e la chiamata all’evangelizzazione, già nella Familiaris
consortio Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato che “la famiglia
cristiana […] è la prima comunità chiamata ad annunciare il Vangelo alla
persona umana in crescita e a portarla, attraverso una progressiva educazione e
catechesi, alla piena maturità umana e cristiana”5 .
La Chiesa e perciò
il Sinodo devono dare attenzione speciale alla santità del matrimonio, alla fedeltà,
all’indissolubilità e alla procreatività dell’unione matrimoniale. La vita
familiare cristiana è necessariamente nella cultura odierna un segno di contraddizione.
Il Sinodo deve essere l’occasione per la Chiesa universale di dare ispirazione
e forza alle coppie cattoliche per la loro testimonianza alla verità di Cristo,
della quale la nostra cultura ha tanto bisogno. Il Sinodo deve essere un aiuto
alle famiglie cristiane nell’essere, secondo la descrizione antica, Chiesa
domestica, il primo luogo nel quale la fede cattolica è insegnata, celebrata e
vissuta. I fedeli vivendo in un matrimonio in difficoltà certamente devono
godere dell’attenzione particolare della Chiesa che, ad imitazione del
Salvatore, annuncia a loro la verità di Cristo e porta a loro la grazia di
Cristo per vivere fedelmente e generosamente la vocazione matrimoniale fino
alla fine.
2. La “plenitudo
potestatis” e la “potestas absoluta”
Vorrei accennare
anche ad un’altra confusione che è stata diffusa in questo tempo delle due
assemblee del Sinodo dei Vescovi sul matrimonio e sulla famiglia. Nella
discussione sui mezzi per affrontare il frequente naufragio di matrimoni,
alcuni hanno suggerito che la pienezza della potestà (plenitudo potestatis)
del Romano Pontefice significa che egli potrebbe sciogliere qualsiasi
matrimonio, per dare la possibilità agli sposi divorziati di entrare in una
nuova unione.
Un tale
suggerimento non tiene conto della necessaria distinzione tra la pienezza della
potestà e la potestà assoluta. La pienezza di potestà del Romano Pontefice, descritta
nel can. 331 del Codice di Diritto Canonico, è al servizio della verità della
dottrina e della disciplina nella Chiesa universale. Il Santo Padre esercita il
suo potere con totale obbedienza a Cristo e non può prendere provvedimenti contro
la verità di Cristo, appellandosi ad una potestà assoluta e perciò arbitraria.
In altre parole, sarebbe contraddittorio asserire un potere del Romano
Pontefice sopra la legge divina.
Rimane allora vera
anche per il Romano Pontefice la disciplina contenuta nel can. 1141 del Codice di
Diritto Canonico: “Il matrimonio rato e consumato non può essere sciolto da
nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte” 6.
La stessa disciplina, di diritto divino, è contenuta nel can. 853 del Codice
dei Canoni delle Chiese Orientali.
A questo riguardo
si deve anche osservare che
il naufragio di molti matrimoni non significa che tutti o neanche molti sono
naufragati per ragione della nullità del matrimonio. L’esperienza pastorale
insegna che molti matrimoni validi naufragano per il peccato, per la mondanità
e l’egoismo che sono in se stessi nocivi al proseguimento del patto di amore
fedele e duraturo.
3. Il rapporto tra
dottrina e disciplina
Per quanto riguarda
le questioni canoniche sul matrimonio, e specialmente il processo canonico per
la dichiarazione di nullità del matrimonio, è frequentemente asserito che cambiamenti
nella disciplina canonica possono essere introdotti senza intaccare in alcun
modo la dottrina sull’indissolubilità del matrimonio. Anche il falso
suggerimento che il Romano Pontefice possa sciogliere qualsiasi matrimonio in
casi speciali – ovviamente non nei casi del legittimo esercizio del potere
petrino nello scioglimento di un matrimonio “in favore della fede” – pretende
che si possa sciogliere un matrimonio rato e consumato in un caso speciale
senza intaccare la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio.
Ma è più che evidente
che un processo inadeguato per arrivare alla verità su un matrimonio accusato
di nullità comporterebbe una mancanza del dovuto rispetto all’indissolubilità.
Infatti negli Stati Uniti, dal 1971 al 1983, è stato concesso un processo molto
semplificato, con la riduzione della figura del difensore del vincolo e
l’effettiva eliminazione della doppia sentenza conforme. Con il tempo e non
senza ragione, il processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio è
stato qualificato popolarmente come “divorzio cattolico”. In altre parole,
nella percezione comune, mentre la Chiesa dichiarava l’indissolubilità del
matrimonio nella sua dottrina, nella prassi permetteva a parti tenute da un legame
matrimoniale di sposarsi con un’altra persona senza che fosse previamente
dimostrata la nullità del vincolo matrimoniale precedente.
Nello stesso modo,
se fosse possibile – ma non lo è
– per il Romano Pontefice sciogliere un matrimonio rato e consumato, allora la
verità dell’indissolubilità del matrimonio cadrebbe. Anche in quel caso la
percezione popolare dovrebbe concludere che la Chiesa, in qualche modo, non è
coerente nella sua dottrina.
Per quanto riguarda
il rapporto tra la disciplina canonica e la dottrina, mi riferisco alla magistrale
presentazione dell’insostituibile servizio del diritto canonico per la
salvaguardia e la promozione della sana dottrina, che Papa Giovanni Paolo II ha
fatto, specialmente alla luce dell’antinomianismo del periodo postconciliare,
nella Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae leges con la
quale ha promulgato il Codice di Diritto Canonico nel 1983.
Il santo Pontefice
descrisse la natura del diritto canonico, indicando il suo sviluppo organico dalla prima alleanza
di Dio con il Suo santo popolo. Egli ricordò il « lontano patrimonio di diritto
contenuto nei libri del Vecchio e Nuovo Testamento dal quale, come dalla sua
prima sorgente, proviene tutta la tradizione giuridico-legislativa della
Chiesa” 7. In particolare ha notato come Cristo Stesso ha dichiarato
di non essere venuto per distruggere «il ricchissimo retaggio della Legge e dei
Profeti» ma per dargli compimento 8. Il Signore infatti ci
insegna che è la disciplina che apre la via alla libertà nell’amore di Dio e
del prossimo. Così Papa San Giovanni Paolo II ha dichiarato : “In tal modo gli
scritti del Nuovo Testamento ci consentono di percepire ancor più l’importanza
stessa della disciplina e ci fanno meglio comprendere come essa sia più
strettamente congiunta con il carattere salvifico della stessa dottrina
evangelica” 9.
Egli ha articolato
il fine del diritto canonico, cioè, il servizio della fede e della grazia, ricordando
che, lontano da essere un ostacolo alla nostra vita in Cristo, la disciplina canonica
salvaguarda e promuove la vita cristiana:
Stando così le
cose, appare con chiarezza che il Codice non ha come scopo in nessun modo di
sostituire la fede, la grazia, i carismi e soprattutto la carità dei fedeli
nella vita della Chiesa. Al contrario, il suo fine è piuttosto di creare tale
ordine nella società ecclesiale che assegnando il primato all’amore, alla
grazia e ai carismi, rende più agevole contemporaneamente il loro organico
sviluppo nella vita sia della società ecclesiale, sia anche delle singole
persone che ad essa appartengono10 .
È evidente che la
disciplina della Chiesa non
può mai essere in conflitto con la dottrina che ci arriva in una linea
ininterrotta dagli Apostoli. Infatti, come osservò Papa San Giovanni Paolo II,
“in realtà, il Codice di diritto Canonico è estremamente necessario alla
Chiesa”11 . In ragione del rapporto stretto e inseparabile tra
la dottrina e il diritto, ha poi ricordato che il servizio essenziale del
diritto canonico alla vita della Chiesa necessita che le leggi siano osservate
e, al tale fine, “l’espressione delle norme fosse accurata, e perché esse
risultassero basate su un solido fondamento giuridico, canonico e teologico”12.
Considerazioni
specifiche
L’Instrumentum
laboris, nel n. 114, che corrisponde al n. 48 del documento finale della
Assemblea dell’ottobre scorso propone due cambiamenti nella disciplina della
Chiesa: 1) “la necessità di rendere più accessibili ed agili, possibilmente del
tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità”, e 2)
“andrebbe considerata la possibilità di dare rilevanza al ruolo della fede dei
nubendi in ordine alla validità del sacramento del matrimonio”13 .
1. La proposta di
radicale modificazione del processo per la dichiarazione di nullità
La prima proposta
assai diffusa di modificare radicalmente il processo per la dichiarazione di
nullità del matrimonio, cosicché le parti in una causa di nullità possano
ricevere più facilmente e più rapidamente una tale dichiarazione, ha già
trovato una risposta, già prima dell’altra Assemblea sinodale, attraverso la
legislazione papale sul processo canonico per l’esame delle accuse di nullità
matrimoniale, emanata l’8 settembre. Non commento la nuova legislazione, ma
tratto la questione per i principi coinvolti.
Nella sua
presentazione al Concistoro Straordinario del 20 e 21 febbraio 2014, il Cardinale Walter Kasper ha
asserito che il processo per la dichiarazione di nullità non è di diritto
divino e perciò potrebbe essere radicalmente alterato14 . Egli
ha suggerito un processo amministrativo, per esempio, un incontro del Vescovo o
di un sacerdote designato dal Vescovo con una parte che accusa il suo
matrimonio di nullità, in base al quale il Vescovo dichiarerebbe la nullità del
matrimonio15 .
Mentre è vero che
il processo nei suoi singoli elementi non è di diritto divino, un processo adatto a scoprire
la verità del matrimonio accusato di nullità è assolutamente richiesto dalla
legge divina. L’attuale processo è il frutto della plurisecolare esperienza
della Chiesa circa il giusto trattamento di una accusa di nullità matrimoniale
e, come ha magistralmente illustrato Papa Pio XII nella sua allocuzione alla
Rota Romana nel 194416 , si compone di vari elementi tutti
adatti a scoprire la verità delle situazioni di naufragio matrimoniale che sono
normalmente assai complesse.
Per i casi più
semplici, per esempio, per
il caso di una persona che ha attentato il matrimonio quando era ancora legata
ad un preesistente matrimonio, esiste un processo documentale, con la celerità
appropriata. Come spiego nel mio contributo, alterare l’attuale processo senza
rispetto della evoluzione storica dello stesso rischia di sottrarre al processo
la possibilità di arrivare al suo giusto fine, un giudizio emanato con certezza
morale, secondo la verità scoperta tramite lo stesso.
Sono stato per
molti anni presso la Segnatura Apostolica, prima quale Difensore del Vincolo dal 1989 al 1995 e,
poi, quale Prefetto dal 2008 fino al novembre dell’anno scorso. In modo consistente
l’esperienza della Segnatura Apostolica insegna che, quando il tribunale ha
personale ben preparato, le cause procedono senza ingiustificati ritardi. Allo
stesso tempo, un processo per arrivare ad una decisione in una materia così
importante e delicata ha, per necessità, i suoi tempi per raccogliere le prove,
per esaminarle, e alla fine per emanare un giudizio con morale certezza. Con amarezza
ho verificato molte volte che il Vescovo diocesano non ha curato
sufficientemente la preparazione del personale necessario per il suo tribunale.
In altre parole, non è il processo che ha bisogno di modifiche, ma la prassi di
alcuni Vescovi di non provvedere per il tribunale gli operatori giusti e
preparati.
2. La fede
requisita per un valido consenso matrimoniale
La natura stessa ci
insegna del matrimonio: l’abbandono della casa familiare da parte di un uomo e
di una donna affinché possano, con l’aiuto di Dio, formare una nuova casa.
Abbandonano le loro proprie famiglie per diventare “un’unica carne”, per formare
una nuova famiglia17 . Quello che la natura ci insegna, quello
che è iscritto in ogni cuore umano, è anche manifestato nel corpo dell’uomo e
della donna. La stessa verità, rivelata nella natura, è anche rivelata nelle
Sacre Scritture e insegnata dal Magistero. Non ci può essere nessuna
contraddizione, infatti, tra quello che Dio ha rivelato attraverso la natura e
quello che Egli ha rivelato nella Sua parola ispirata. Non ci può essere
nessuna contraddizione tra la natura e la grazia, le quali ambedue hanno la
loro origine in Dio e riflettono la Sua verità, bellezza e bontà, delle quali
Egli ha dato una partecipazione alle Sue creature. L’uomo, sopra ogni altra
creatura terrestre, partecipa dell’Essere di Dio, perché Dio ha creato l’uomo,
maschio e femmina, a sua immagine18 .
Il matrimonio,
istituto da Dio fin dall’inizio, ha sofferto gli effetti del peccato originale dal quale
Cristo ci ha salvato nella Sua Incarnazione Redentiva. Ricordiamo come la prima
manifestazione dello stato decaduto di Adamo e Eva è stata la loro vergogna19 .
La Seconda Persona della Santissima Trinità, prendendo la nostra natura umana,
ha purificato e elevato il matrimonio, costituendolo nella dignità di
Sacramento, affinché gli sposi possano più facilmente e pienamente vivere secondo
il piano di Dio voluto per loro fin dall’inizio.
Il matrimonio è una
realtà naturale e fa parte della creazione di Dio. Con la sua istituzione Dio lo
ha dotato delle caratteristiche naturali: un’unione tra un uomo e una donna che
è esclusiva, permanente e aperta alla vita. Un’unione che manca o esclude una
di queste proprietà non è un vero matrimonio nel senso naturale. Nella nuova alleanza,
il matrimonio tra i battezzati è anche una realtà soprannaturale, un
sacramento. Ma l’elevazione del matrimonio a sacramento non toglie la realtà
naturale. Infatti, il matrimonio sacramentale mantiene tutte le sue proprietà
naturali20 .
L’aggettivo
“naturale” applicato al matrimonio può avere due sensi. Può riferirsi alla bellezza e
integrità del matrimonio dall’inizio, dal momento della creazione dell’uomo e
della donna da parte di Dio. Può anche riferirsi alla natura decaduta dell’uomo
dopo il peccato originale, agli effetti del peccato originale che rendono più
difficile per gli sposati di vivere la verità della loro unione coniugale.
La catechesi sulla
grazia matrimoniale conferita sugli sposi è la chiave per affrontare l’attuale confusione
nella Chiesa. In una società totalmente secolarizzata esiste la tendenza di
vedere il matrimonio da un punto di vista puramente naturale, nel senso dello
stato decaduto dell’uomo e così di ridurre l’insegnamento di Cristo sul
matrimonio alla espressione di un ideale che è impossibile raggiungere per la
maggioranza. Ma la verità è che Cristo, fedele alle Sue promesse, rimane sempre
in mezzo a noi nella Chiesa21 . Egli non cessa mai di effondere
in abbondanza la grazia divina nei nostri cuori, affinché noi possiamo vivere
in Lui in ogni fibra del nostro essere, in ogni dimensione della nostra vita.
La nostra catechesi
sul matrimonio deve essere
centrata sulla replica di Cristo al tentativo dei Farisei di confonderLo sulla
questione del divorzio. Dobbiamo ricordare anche che la catechesi centrata
sull’insegnamento di Cristo è sempre accompagnata dalla Sua grazia a vivere la
verità enunciata nel Suo insegnamento.
Il contratto
matrimoniale è, per natura, sacro, perché è stato istituto da Dio per unire un uomo e una
donna nel Suo amore fedele e duraturo del quale il frutto incomparabile è la
procreazione ed educazione dei Suoi figli. Così, anche prima che Cristo
elevasse il matrimonio alla dignità di sacramento, il matrimonio ha sempre
coinvolto non soltanto gli sposi ma anche Dio, quale Autore vivo del
matrimonio. Per questa ragione, il contratto matrimoniale è anche chiamato
alleanza, perché è una fondamentale e più bella manifestazione dell’alleanza
tra Dio e uomo, e, specialmente come insegna San Paolo nella Lettera agli
Efesini, dell’alleanza tra Cristo, lo Sposo, e la Chiesa, Sua Sposa22 .
Questo è il senso di chiamare matrimonio un sacramento naturale.
Deve essere allora
chiaro che l’elevazione del matrimonio legittimo a sacramento non
costituisce per gli sposi un nuovo contratto; il matrimonio continua ad essere
costituito dal loro originale atto del consenso matrimoniale. Allo stesso tempo
è chiaro che la validità del consenso matrimoniale dei battezzati non dipende
dal livello della loro fede nel Sacramento del matrimonio. È stato suggerito
che molti matrimoni sono nulli per la mancanza di fede o per la fede
insufficiente nel Sacramento del matrimonio. La mancanza o la debolezza della
fede di uno o ambedue gli sposi può significare che uno o ambedue non
rispondono pienamente alla grazia del Sacramento, ma certamente non rende il
matrimonio nullo.
La sacramentalità,
applicata al matrimonio,
deve essere giustamente intesa. Talvolta si parla della sacramentalità come una
qualche addizione al matrimonio per renderlo cristiano, ma questo non è vero.
La sacramentalità non è un elemento o una proprietà del matrimonio. È piuttosto
la forza soprannaturale che permea e vivifica ognuno degli elementi e proprietà
del matrimonio, elevandoli all’ordine della efficacia soprannaturale. La
sacramentalità coincide con il matrimonio stesso, che, per il Sacramento del
battesimo, fa parte dell’economia della salvezza23 .
Chiaramente è la
fede e il battesimo che fanno sacramentale il matrimonio. Il matrimonio è sacramentale
quando gli sposi sono vivi in Cristo per il battesimo. Così Papa San Giovanni
Paolo II ha insegnato nella Esortazione postsinodale Familiaris
Consortio:
Infatti, mediante
il battesimo, l'uomo e la donna sono definitivamente inseriti nella Nuova ed
Eterna Alleanza, nell'Alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa. Ed è in ragione
di questo indistruttibile inserimento che l'intima comunità di vita e di amore
coniugale fondata dal Creatore, viene elevata ed assunta nella carità sponsale
del Cristo, sostenuta ed arricchita dalla sua forza redentrice24 .
In altre parole, il
battesimo dà alla persona un nuovo rapporto ontologico con Dio. Il matrimonio dà ad un uomo e a
una donna un nuovo rapporto con se stessi. Se scelgono liberamente di stabilire
questo nuovo rapporto tra se stessi, questo riguarda anche il già esistente
rapporto ontologico con Dio. Quello che succede supera la loro volontà.
Infatti, l’unico modo con il quale due cristiani che si sposano potrebbero
veramente escludere la sacramentalità sarebbe quello di cessare di essere
cristiani – ma questo non lo possono fare. La volontà umana non è onnipotente,
non ha il potere di cambiare l’ordine dell’essere stabilito da Cristo, ma deve
cooperare con lui25 .
È sufficiente che
gli sposi intendano fare quello che la Chiesa intende, perché gli sposi stessi, non la
Chiesa, sono i ministri e i recipienti del Sacramento. L’intenzione richiesta
per il valido conferimento del Sacramento del matrimonio è semplicemente
l’intenzione della realtà naturale, cioè l’intenzione di sposarsi. Se questa è
la loro intenzione, ambedue vivendo in Cristo, ricevono quello che intendono
elevato, anche senza che si rendano conto, a livello sacramentale, arricchito e
trasformato dalla grazia. Gli sposi devono avere l’intenzione di sposarsi. Per
quanto riguarda la sacramentalità, non è richiesta alcuna ulteriore intenzione26 .
Nell’allocuzione
alla Rota Romana del 1º febbraio 2001, Papa San Giovanni Paolo II ha spiegato sinteticamente
l’argomento al riguardo. Vale la pena di citare la sua chiara spiegazione:
Quasi all’inizio
del mio pontificato, dopo il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia del 1980 nel
quale fu trattato, mi sono pronunciato al riguardo nella Familiaris consortio, scrivendo:
«Il sacramento del matrimonio ha questo di specifico fra tutti gli altri: di
essere il sacramento di una realtà che già esiste nell’economia della
creazione, di essere lo stesso patto coniugale istituito dal Creatore al
principio». Di conseguenza, per identificare quale sia la realtà che già dal
principio è legata all’economia della salvezza e che nella pienezza dei tempi
costituisce uno dei sette sacramenti in senso proprio della Nuova Alleanza,
l’unica via è quella di rifarsi alla realtà naturale che si è presentata dalla
Scrittura nella Genesi. È ciò che ha fatto Gesù parlando dell’indissolubilità
del vincolo coniugale, ed è ciò che ha fatto San Paolo illustrando il carattere
di «mistero grande» che ha il matrimonio «in riferimento a Cristo e alla Chiesa».
Del resto dei sette
sacramenti il matrimonio, pur essendo un «signum significans et conferens
gratiam», è il solo che non si riferisce ad un’attività specificamente
orientata al conseguimento di fini direttamente soprannaturali. Il matrimonio,
infatti, ha come fini, non solo prevalenti ma propri «indole sua naturali», il
bonum coniugum e la prolis generatio et educatio.
In una diversa
prospettiva, il segno sacramentale consisterebbe nella risposta di fede e vita
cristiana dei coniugi, per cui esso sarebbe privo di una consistenza oggettiva
che consenta di annoverarlo tra i veri sacramenti cristiani. Perciò,
l’oscurarsi della dimensione naturale del matrimonio, con il suo ridursi a mera
esperienza soggettiva, comporta anche l’implicita negazione della sua
sacramentalità. Per contro, è proprio l’adeguata comprensione di questa sacramentalità
nella vita cristiana ciò che spinge verso una rivalutazione della sua
dimensione naturale.
D’altra parte,
l’introdurre per il sacramento requisiti intenzionali o di fede che andassero
al di là di quello di sposarsi secondo il piano divino del «principio» – oltre
ai gravi rischi che ho indicato nella Familiaris consortio: giudizi infondati e
discriminatori, dubbi sulla validità di matrimoni già celebrati, in particolare
da parte di battezzati non cattolici – , porterebbe inevitabilmente a voler separare
il matrimonio dei cristiani da quello delle altre persone. Ciò si opporrebbe
profondamente al vero senso del disegno divino, secondo cui è proprio la realtà
creazionale che è un «mistero grande» in riferimento a Cristo e alla Chiesa27 .
Dal punto di vista
psicologico, queste parole
possono essere difficili da capire ed accettare. La loro comprensione dipende
dalla comprensione dell’effetto ontologico, dal carattere sacramentale impresso
nell’anima dal Sacramento del battesimo.
Certamente, lo
sposo cristiano deve intendere quello che la Chiesa intende, che non è differente, nella sua
essenza, dal sacramento naturale, se anche è arricchito e perfezionato dalla
grazia sacramentale. Se quelli che si preparano a sposarsi dimostrano che non
intendono quello che la Chiesa intende, poi, come ci ha insegnato Papa San Giovanni
Paolo II nella Familiaris consortio, “il pastore delle anime non
può ammetterli alla celebrazione”28 .
In questo senso si
deve osservare che un
argomento forte per la validità di un matrimonio celebrato nella Chiesa è il
rito stesso, specialmente gli elementi centrali del rito, che tutti
sottolineano la natura del patto matrimoniale “con cui l’uomo e la donna
stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al
bene dei coniugi e alla generazione e educazione della prole”29 ,
e le sue proprietà essenziali, cioè l’unità e l’indissolubilità30 .
3. Nota sulla “via
penitenziale”
Il tempo non mi
permette di affrontare una discussione ampia della “via penitenziale” che è
presentata nei nn. 122 e 123 dell’Instrumentum Laboris31 .
Tale “via penitenziale” ha un carattere giuridico perché tocca la realtà
pubblica del matrimonio. Infatti, la “via penitenziale”, come proposta non è
stata mai parte della disciplina canonica della Chiesa Cattolica, ma sembra
essere una versione della prassi nelle Chiese Ortodosse. LaRelatio Synodi,
n. 122 dell’Instrumentum Laboris, la descrive come “una
accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni
particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili
e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze
ingiuste” 32.
La “via
penitenziale” soffre di tutte le difficoltà che la prassi delle Chiese Ortodosse soffre. Al
tale riguardo, mi riferisco all’eccellente studio della questione della prassi
ortodossa di S.E.R. Mons. Cyril Vasil’, S.I., Segretario della Congregazione
per le Chiese Orientali, nel libro Permanere nella verità di Cristo:
Matrimonio e comunione nella Chiesa Cattolica33 .
Per il momento,
osservo soltanto che è molto
difficile capire come la “via penitenziale” è coerente con la verità insegnata
da Cristo sul caso dei divorziati che attentano il matrimonio. È anche
difficile capire come è veramente penitenziale, perché esclude l’intenzione
ferma di emendare la vita, che è essenziale alla penitenza.
Si deve anche
chiarire il senso dei “casi irreversibili”, perché la terminologia in se stessa non è coerente con
la realtà della grazia conferita con il consenso matrimoniale. Alla fine,
senza, in nessun senso, sottovalutare la sofferenza dei bambini in tali
situazioni, non si può dire che la loro sofferenza è ingiusta, come se
l’insegnamento della verità di Cristo generasse situazioni di ingiustizia. È
piuttosto il frutto naturale della situazione dei loro genitori.
Conclusione
Ci sono altri
aspetti canonici della discussione sinodale che potrei segnalare. Ho voluto
almeno indicare le considerazioni più centrali.
Per concludere:
viviamo in un tempo nel quale il
matrimonio è sotto un attacco veramente feroce, che cerca di offuscare e
macchiare la bellezza sublime dello stato matrimoniale come Dio lo ha voluto
dall’inizio, dalla creazione. Il divorzio è diventato comunissimo, come è anche
comunissima la pretesa di rimuovere dall’unione coniugale, con ogni mezzo esterno,
la sua essenza procreativa. E adesso la cultura è andata ancora oltre nel suo
affronto a Dio e alla Sua legge, pretendendo di dare il nome di matrimonio ai
rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso.
Perfino nella
Chiesa c’è chi oscura la verità dell’indissolubilità del matrimonio. Ci sono
anche quelli che negano che gli sposati ricevono la grazia particolare per
vivere eroicamente un amore fedele, duraturo e procreativo, mentre il Signore
stesso ci ha assicurato che Dio dà agli sposati la grazia per vivere
quotidianamente la loro vita, il mistero della loro unione, secondo la verità
evangelica.
Nella attuale
situazione, la testimonianza
della Chiesa allo splendore della verità del matrimonio deve essere limpida e
coraggiosa. Una parte, forse minima ma certamente essenziale, è il rispetto per
l’aspetto giuridico del matrimonio. È impossibile che la Chiesa salvaguardi e
promuova la vita matrimoniale senza osservare la giustizia, senza la quale non
ha senso parlare dell’amore, che è l’essenza del matrimonio e che san Paolo ha
chiamato un grande mistero perché è una partecipazione nell’amore di Cristo,
Sposo, per la Chiesa, Sua Sposa34.
* Patrono del
Sovrano Militare Ordine di Malta, questo pubblicato da La Nuova Bussola
Quotidiana è il suo intervento nell'ambito di: Permanere nella
Verità di Cristo, Convegno Internazionale in preparazione del Sinodo sulla
famiglia, Angelicum - Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino, 30 settembre
2015
NOTE
1. “Can. 342 - Synodus Episcoporum coetus est Episcoporum
qui, ex diversis orbis regionibus selecti, statutis temporibus una conveniunt
ut arctam coniunctionem inter Romanum Pontificem et Episcopos foveant, utque
eidem Romano Pontifici ad incolumitatem incrementumque fidei et morum, ad
disciplinam ecclesiasticam servandam et firmandam consiliis adiutricem operam
praestant, necnon quaestiones ad actionem Ecclesiae in mundo spectantes
perpendant.” Versione italiana: Codice di diritto canonico commentato, 3ª ed. Riveduta,
ed. Redazione di Quaderni di diritto ecclesiale (Milano: Àncora Editrice,
2009). [CDCC].
2. “Haec Sacrosancta Synodus, Concilii Vaticani primi vestigia
premens, cum eo docet et declarat Iesum Christum Pastorem aeternum sanctam
aedificasse Ecclesiam, missis Apostolis sicut Ipse missus erat a Patre (cfr.
Io. 20, 21); quorum successores, videlicet Episcopos, in Ecclesia sua usque ad
consummationem saeculi pastores esse voluit. Ut vero Episcopatus ipse unus et
indivisus esset, beatum Petrum ceteris Apostolis praeposuit in ipsoque
instituit perpetuum ac visibile unitatis fidei et communionis principium et
fundamentum”. Sacrosanctum Concilium Oecumenicum Vaticanum II, Constitutio
dogmatica Lumen gentium, “De Ecclesia”, 21 Novembris 1964, Acta Apostolicae
Sedis 57 (1965), 22, n. 18. Versione italiana: Enchiridion Vaticanum, vol. 1,
pp. 157 e 159, n. 329.
3. “… «superiorem modum» ordinariae vitae christianae”.
Ioannes Paulus PP. II, Epistula Apostolica Novo millennio ineunte, “Magni
Iubilaei anni MM sub exitum”, 6 Ianuarii 2001, Acta Apostolicae Sedis 93
(2001), 288, n. 31. [NMI]. Versione italiana: EV, vol. 20, p. 69, n. 31.
[NMIIt].
4. “… quod de Evangelio derivatur semper vivaque Traditione.”
NMI, 285, n. 29. Versione italiana: NMIIt, p. 63, n. 58.
5. “… christiana enim familia est prima communitas, cuius
est Evangelium personae humanae crescenti annuntiare eamque progrediente
educatione et catechesi ad plenam maturitatem humanam et christianam
perducere.” Ioannes Paulus PP. II, Adhortatio Apostolica Familiaris
consortio, “De Familiae Christianae muneribus in mundo huius temporis”, 82,
n. 2. [FC]. Versione italiana: Enchiridion Vaticanum, vol. 7, p.
1391, n. 1525. [FCIt].
6. “Can. 1141 - Matrimonium ratum et consummatum nulla
humana potestate nullaque causa, praeterquam morte, dissolvi potest”. Versione
italiana: CDCC.
7. “... longinqua illa hereditas iuris, quae in libris
Veteris et Novi Testamenti continetur, ex qua tota traditione iuridica et
legifera Ecclesiae, tamquam a suo primo fonte, originem ducit.” Ioannes Paulus
PP. II, Constitutio Apostolica Sacrae disciplinae leges, 25 Ianuarii 1983, Acta
Apostolicae Sedis 75, Pars II (1983), p. x. [SDL]. Versione italiana: Codice di
Diritto Canonico commentato, ed. Redazione di Quaderni di diritto ecclesiale,
3ª ed. riv. (Milano: Àncora Editrice, 2009), p. 61. [SDLIt].
8. Cf. Mt 5, 17.
9. “Sic Novi Testamenti scripta sinunt ut nos multo magis
percipiamus hoc ipsum disciplinae momentum, utque ac melius intellegere
valeamus vincula, quae illud arctiore modo contingunt cum indole salvifica
ipsius Evangelii doctrinae.” SDL, pp. x-xi. Versione italiana: SDLIt, p. 63.
10. “Codex eo potius spectat, ut talem gignat ordinem in ecclesiali
societate, qui, praecipuas tribuens partes amori, gratiae atque charismati,
eodem tempore faciliorem reddat ordinatam eorum progressionem in vita sive
ecclesialis societatis, sive etiam singulorum hominum, qui ad illam pertinent.”
SDL, p. xi. Versione italiana: SDLIt, p. 63.
11. “Ecclesiae omnino necessarius est.” SDL, p. xii. Versione
italiana: SDLIt, p. 64.
12. “... canonicae leges suapte natura observantiam exigent…accurate
fieret normarum expressio…in solido iuridico, canonico ac theologico fundamento
inniterentur.”SDL, p. xiii. Versione italiana: SDLIt, p. 66.
13. Sinodo dei Vescovi, XIV Assemblea Generale Ordinaria, “La
vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”,
Instrumentum Laboris (Città del Vaticano: Segreteria Generale del Sinodo dei
Vescovi e Libreria Editrice Vaticana, 2015), p. 64, n. 114. [IL]
14. Cf. Walter Kasper, Il vangelo della famiglia (Brescia:
Edizioni Queriniana, 2014), p. 45. [Walter Kasper].
15. Cf. Walter Kasper, p. 45.
16. Cf. Pius PP. XII, Allocutio, “Ad Praelatos Auditores ceterosque
officiales et administros Tribunalis S. Romanae Rotae necnon eiusdem Tribunalis
advocatos et procuratores,” 2 Octobris 1944, Acta Apostolicae Sedis 36 (1944),
281-290.
17. Cf. Gen 2, 24; Mt 19, 5; Mc 10, 7; 1Cor 6, 16; Ef 5, 31.
18. Cf. Gen 1, 27.
19. Cf. Gen 3, 7.
20. Cf.
Cormac Burke, The Theology of Marriage: Personalism, Doctrine, and
Canon Law (Washington, DC: The Catholic University of America Press,
2015), pp. 1-2. [Cormac Burke].
21. Cf. Mt 28, 20
22. Cf. Ef 5, 21-32
23. Cf. Ef 5, 21-32
24. FC, p. 95, n. 13. Versione italiana: FCIt, p. 1415, n.
1568
25. Cf. Cormac Burke, p. 6
26. Cf. Cormac Burke, p. 11
27. Ioannes Paulus PP. II, Allocutio “Ad Romanae Rotae
tribunal,” 1 Februarii 2001, Acta Apostolicae Sedis 93 (2001), 363-364, n. 8
28. FC, p. 165, n. 68. Versione italiana: FCIt, p. 1739, n.
68
29. Can. 1055, § 1
30. Cf. can. 1056
31. Cf. IL, pp. 67-68, nn. 122-123
32. IL, p. 67, n. 122
33. Cf. Cyril Vasil’, Separazione, divorzio,
scioglimento del vincolo matrimoniale e seconde nozze. Approcci teologici e pratici
delle Chiese Orientali, Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e
comunione nella Chiesa cattolica, ed. Robert Dodaro (Siena: Edizioni
Cantagalli, 2014), pp. 87-118.
34. Cf. Ef 5, 32.
Fonte: La nuova bussola quotidiana, 7.10.2015. Il testo è anche qui.
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