Mentre il Sinodo sulla famiglia - voluto dal vescovo di
Roma, ed ispirato dal “card.” Kasper e dal “teologo” Giovanni Cereti (v. qui),
nonostante, per ironia della sorte, giusto la Scrittura nel giorno di apertura
sinodale mettesse in guardia da possibili novazioni (v. Anteprima del sinodo. Il testo integrale del primo intervento, qui, e Sinodo e omosessualità. La parola a san Paolo, senza censure, qui) e nei giorni seguenti i
Padri della Chiesa ammonissero i pastori della Chiesa dal prurito di voler novare
la prassi slegandola dalla dottrina (C'è un padre sinodale in più: san Gregorio Magno, v. qui) -, sta per terminare, al di là degli esiti
che possa avere, sono rimasti degli evidenti strascichi polemici.
Innanzitutto la polemica dei vescovi belgi nei confronti
dei loro confratelli africani, che avrebbe loro impedito di discutere, in sede
sinodale, delle aperture nei confronti degli omosessuali, tanto da concludere –
con una vena razzista – che nella Chiesa sarebbe cresciuta troppo l’influenza
dell’Africa (Cardinal Sarah blocked discussion of gays, says bishop, v. qui)! E non c’è da meravigliarsi di ciò, visto che molti
vescovi occidentali si sono davvero adoperati per incoraggiare queste “aperture”
(v. Romanian doctor at Synod says Cupich, others giving encouragement to homosexuality is ‘criminal’, qui).
Pensiamo poi all’atteggiamento del “card.” Marx, che sembra
parlare davvero come Lutero (v. Il cardinale Marx? Parla come Lutero, qui).
Pubblichiamo, quindi, quest’interessante riflessione.
Cari cardinali tedeschi, Tommaso Moro e John Fisher sono
morti invano?
L’arcivescovo di Denver, Samuel J. Aquila, sulla comunione
ai divorziati risposati pone qualche domanda a Kasper e Marx.
Pubblichiamo in una nostra traduzione la
riflessione sul Sinodo scritta per il Denver Catholic da
Samuel J. Aquila, arcivescovo di Denver, e intitolata “Tommaso Moro
e John Fisher sono morti invano”?
L’idea che ai
cattolici dovrebbe essere concesso di risposarsi e ricevere la comunione non è
stata avanzata per la prima volta nella lettera firmata dal cardinale
Kasper e da altri membri dell’episcopato tedesco nel 1993. L’episcopato di
un altro paese, l’Inghilterra, ha fatto da pioniere in questo campo della
dottrina cristiana circa 500 anni fa. Al tempo non ci si chiedeva appena
se un cattolico potesse risposarsi, ma se il re potesse farlo, dal momento che
sua moglie non gli aveva generato un figlio.
Come nel caso di
coloro che chiedono la comunione per chi si risposa civilmente, così anche i
vescovi inglesi non volevano autorizzare apertamente il divorzio e le
nuove nozze. Così, scelsero di piegare la legge alle circostanze individuali
del caso che dovevano affrontare e il re Enrico VIII ottenne “l’annullamento”
su basi fraudolente e senza il permesso di Roma.
Se “l’eroismo non è
per il cristiano medio”, per dirla con il cardinale tedesco Walter Kasper,
certamente non lo era per il re di Inghilterra. Al contrario, la felicità
personale e il benessere di un paese costituivano due forti argomenti a favore
del divorzio di Enrico. Ed era difficile che il re si prendesse il
disturbo di saltare la comunione come conseguenza di un matrimonio
irregolare.
Il cardinale di
Inghilterra Wolsey, insieme a tutti i vescovi del paese, con l’eccezione del
vescovo di Rochester, John Fisher, appoggiarono il tentativo del re di
cancellare il suo primo e legittimo matrimonio. Come Fisher, anche Tommaso
Moro, laico e cancelliere del re, gli rifiutò il suo sostegno. Entrambi vennero
martirizzati e in seguito canonizzati.
Difendendo
pubblicamente l’indissolubilità del matrimonio del re, Fisher sostenne che
«questo matrimonio del re e della regina non può essere dissolto da
alcun potere, umano o divino che sia». Per questo principio, disse, era
disposto a dare la vita. Continuò facendo notare che Giovanni il Battista
non aveva trovato «causa più gloriosa per cui morire che quella del
matrimonio», nonostante allora il matrimonio «non fosse così sacro come lo è
diventato dopo che Cristo ha versato il Suo sangue».
Come Tommaso Moro e
Giovanni il battista, Fisher fu decapitato e come loro fu chiamato “santo”.
Al Sinodo sulla famiglia che si sta svolgendo in questi giorni a Roma,
alcuni vescovi tedeschi insieme ai loro sostenitori stanno facendo
pressione perché la Chiesa permetta a chi ha divorziato, e poi si è
risposato, di ricevere la comunione. Al contrario, altri vescovi da tutto
il mondo insistono che la Chiesa non può cambiare l’insegnamento di Cristo.
Questa situazione impone una domanda: credono i vescovi tedeschi che san
Tommaso Moro e san John Fisher abbiano sacrificato invano le loro vite?
Gesù ci ha mostrato
lungo tutto il suo ministero che per seguirlo è necessario un sacrificio
eroico. Quando si legge il Vangelo con cuore aperto, un cuore che non
mette il mondo e la storia al di sopra del Vangelo e della Tradizione,
si scorge il costo della sequela che tutti i discepoli sono chiamati
a pagare. I vescovi tedeschi farebbero meglio a leggere “Il costo dell’essere
discepoli” del martire luterano, Dietrich Bonhoeffer. Infatti, ciò che
loro promuovono è una “grazia a poco prezzo” invece che una “grazia
onerosa”, e sembrano anche ignorare le parole di Gesù: «Chi mi vuol seguire
rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc. 8: 34, Lc. 14: 25-27,
Gv. 12: 24-26).
Pensiamo, ad esempio,
all’adultera che i Farisei presentarono a Gesù per coglierlo in fallo. La prima
cosa che fece fu proteggerla dai suoi accusatori e la seconda cosa che
fece fu richiamarla. «Va’», comandò, «e non peccare più». Seguendo le
parole di Cristo in persona, la Chiesa cattolica ha sempre insegnato che il
divorzio e le nuove nozze sono solo un altro modo per chiamare l’adulterio.
E poiché la comunione è riservata ai cattolici in stato di grazia,
coloro che vivono in una situazione irregolare non possono partecipare a questo
aspetto della vita della Chiesa, anche se devono sempre essere accolti all’interno
delle parrocchie e anche a Messa.
A maggio, il
cardinale Kasper, in un’intervista a Commonweal Magazine,
ha affermato che «non possiamo dire se l’adulterio è in corso» quando un un
cristiano divorziato e pentito intrattiene «rapporti sessuali» in una nuova
unione. Piuttosto, lui ritiene che «l’assoluzione sia possibile». Ma, ancora,
Cristo ha chiaramente chiamato adulterio il risposarsi e ha detto che l’adulterio
è peccato (Mt. 5:32, Mc. 10:12, Lc. 16:18). Nel caso della Samaritana (Giovanni
4:1-42), Gesù ha anche confermato che risposarsi non può essere valido neanche
quando è un gesto dettato da fedeltà e sentimenti sinceri.
Se si aggiunge all’equazione
l’alto tasso di fallimenti delle nuove nozze in seguito a un divorzio,
nessuno può dire a che cosa potrebbero portare i ragionamenti del cardinale Kasper.
Per esempio, la comunione sacramentale dovrebbe essere ammessa solo per
coloro che si risposano una volta? E per coloro che si risposano due o tre
volte? Ed è ovvio che gli argomenti usati per ammorbidire il divieto di Cristo
di risposarsi potrebbero essere utilizzati anche per l’uso dei
contraccettivi o per innumerevoli altri aspetti della teologia cattolica,
che il mondo moderno e auto-referenziale giudica “difficili”.
Per predire a che
cosa porterà tutto questo non serve conoscere il futuro, è sufficiente osservare
il passato. Dobbiamo solo guardare la Chiesa anglicana, che ha aperto la porta
alla contraccezione (e poi l’ha abbracciata) nel 20esimo secolo e per oltre un
decennio ha permesso ai divorziati di risposarsi in alcuni casi.
Il “Piano B” dei
vescovi tedeschi, cioè fare “a modo loro” in Germania, anche a costo di
andare contro gli insegnamenti della Chiesa, presenta le stesse falle. Ed è “anglicanamente”
inquietante. Consideriamo le parole del presidente della Conferenza episcopale
tedesca, il cardinale Marx, che secondo la citazione riportata dal National Catholic Register sostiene che mentre la
Chiesa tedesca può restare in comunione con Roma per quanto riguarda la
dottrina, per quanto riguarda invece la cura pastorale dei singoli casi, «il
Sinodo non può prescrivere nel dettaglio ciò che dobbiamo fare in Germania».
Enrico VIII sarebbe stato sicuramente d’accordo.
«Non siamo appena una
succursale di Roma», ha affermato il cardinale Marx. «Ogni conferenza
episcopale è responsabile per la cura pastorale nella sua cultura e deve
proclamare il Vangelo a modo suo. Non possiamo aspettare che il Sinodo
decida qualcosa, mentre dobbiamo occuparci qui del ministero del matrimonio e
della famiglia». Anche gli anglicani hanno ricercato una simile autonomia,
anche se questa ha portato come risultato a crescenti divisioni interne e a uno
svuotamento delle comunità.
È innegabile che la
Chiesa debba raggiungere con misericordia coloro che si trovano ai margini
della fede, ma la misericordia parla sempre il linguaggio della verità, non
condona mai il peccato, e riconosce che la Croce è al cuore del Vangelo. Si
potrebbe richiamare papa san Giovanni Paolo II, citato da papa Francesco
alla sua canonizzazione come “il Papa della famiglia”, che scrisse
estensivamente della misericordia, dedicandole un’intera enciclica e
istituendo la festa della Divina misericordia. Per san Giovanni Paolo II,
la misericordia era un tema sì centrale, ma che necessitava di essere
letto alla luce della verità e della scrittura, piuttosto che in contrasto
con esse.
Per quanto riguarda
le nuove nozze, e molte altre questioni, nessuno può dire che gli
insegnamenti della Chiesa, che sono quelli di Cristo, siano facili. Ma Cristo
stesso non è sceso a compromessi con i suoi principali insegnamenti per impedire
ai discepoli di andarsene – che si trattasse dell’Eucaristia o del matrimonio
(Gv 6: 60-71; Mt 19: 3-12). Neanche John Fisher è sceso a compromessi per
mantenere cattolico il re. Per cercare un modello su questo tema, non
dobbiamo andare oltre le parole di Cristo e san Pietro che troviamo nel
capitolo 6 del vangelo di Giovanni, un passaggio che ci ricorda che gli
insegnamenti sull’Eucaristia sono spesso difficili da accettare per i credenti.
«“È lo Spirito che dà
la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e
vita. Ma vi sono alcuni tra voi che non credono. (…) Per questo vi ho detto che
nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio”. Da allora
molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con
lui. Disse allora Gesù ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?”. Gli
rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”».
Come i discepoli, noi siamo sempre chiamati ad ascoltare la voce di Gesù prima che la voce del mondo, della cultura e della storia. La voce di Gesù illumina le tenebre del mondo e delle culture. Preghiamo affinché tutti prestino ascolto a queste parole di vita eterna, a prescindere dalla loro difficoltà!
Come i discepoli, noi siamo sempre chiamati ad ascoltare la voce di Gesù prima che la voce del mondo, della cultura e della storia. La voce di Gesù illumina le tenebre del mondo e delle culture. Preghiamo affinché tutti prestino ascolto a queste parole di vita eterna, a prescindere dalla loro difficoltà!
Fonte: Tempi, 23.10.2015
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