Dopo la memoria di
san Mauro, che abbiamo celebrato ieri, ecco un altro figlio spirituale del
Patriarca dei monaci d’Occidente, il quale, sul grande tronco della vita monastica,
innestò un ramo speciale di vita semi-anacoretica (cfr. per una rilettura
moderna ed aggiornata della figura di san Bruno, Pietro De Leo (a cura di), San Bruno di
Colonia: un eremita tra Oriente ed Occidente, Catanzaro 2004, passim).
Questo grande riformatore
dell’istituto eremitico alla fine dell’XI sec., che, all’autorità del
padre sapeva congiungere la tenerezza della madre (Si tratta di un
verso di un breve componimento dedicatorio, di sette versi, che apparve in
alcune edizioni intorno al 1515 dell’Epistola dei monaci certosini calabresi,
scritta dopo la morte del Santo, e con la quale chiedevano suffragi per l’anima
del loro fondatore: … Cum terrore [le
versione moderne usano: vigore, ndr.] patris
monstravit viscera matris…,
cioè «Bruno … alla severità di un padre si associò la
tenerezza viscerale di una madre. …»: Epistola
encyclica a S. Brunonis obitum quaquaversum nuntiarunt ejus in Turritana eremo
discipuli, solitaque pro illius anima suffragia postularunt, in PL 152, col. 553-554, nt.
252), ha, d’altronde, un titolo speciale nei fasti agiografici della Chiesa
romana. Risiedé a Roma per qualche tempo, a fianco del beato Urbano II, allo
scopo di aiutarlo con i suoi consigli e con la sua collaborazione (cfr. Pietro De Leo (a cura di), L’Ordine
certosino e il papato dalla fondazione allo scisma d’Occidente,
Catanzaro 2004, passim). Ma affinché, nella capitale del mondo
cattolico, il Santo ritrovasse in un certo qual modo l’atmosfera di devoto
raccoglimento che circondava la sua prima fondazione certosina della diocesi di
Grenoble, secondo la leggenda, Bruno chiese ed ottenne dal papa, nel 1091,
l’antica chiesa del titulus Cyriaci alle terme di Diocleziano,
che erano all’epoca assolutamente deserte e desolate (così ricorda M. Armellini, Le chiese di Roma dal
secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, p. 820). La
chiesa sorgeva dove ora si trova il Ministero delle Finanze e se ne sono
riconosciute le vestigia gettando le fondamenta del nuovo palazzo nel 1874
(cfr. ibidem, p. 819; C. Huelsen, Le
Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, p. 246). Dopo questa donazione,
più o meno leggendaria, sarebbe nata l’aspirazione dei Certosini di fondare un
convento sulle rovine delle limitrofe Terme di Diocleziano.
Dopo aver eretto,
nel 1370, una certosa a Santa Croce in Gerusalemme – che però per l’afflusso di
pellegrini e per la sua posizione malsana – la rendevano poco adatta alla vita
semi-eremitica dei figli di san Bruno, finalmente i certosini riuscirono, dopo
vari tentativi, ad ottenere le Terme di Diocleziano ottenendo dal papa Pio IV
l’autorizzazione a trasferire la Certosa da Santa Croce alle Terme,
che si trovavano all’epoca in uno stato pietoso e che l’incuria aveva quasi
raso al suolo (cfr. M. Armellini, op.
cit., p. 797).
La certosa di Santa
Maria degli angeli alle Terme (S. Mariæ Angelorum in Thermis Diocletiani)
(per riferimenti sulla Chiesa e sulla relativa certosa, cfr. ibidem,
pp. 821-822; C. Huelsen, op.
cit., p. 535), dapprima chiusa sotto Napoleone Bonaparte nel 1810, fu
riaperta nel 1814 col ritorno del papa a Roma. Nel 1873 allorché furono estese
a Roma le leggi eversive dell’asse ecclesiastico e di soppressione degli ordini
religiosi contemplativi, la Certosa fu incamerata dal governo italiano. Alcuni
monaci continuarono coraggiosamente ancora ad abitarla con grandi difficoltà
non potendovi esercitare la loro vocazione solitaria. Quel luogo, un tempo
aperta campagna, si andava popolando di palazzi moderni; nelle vie circostanti
la circolazione diventava sempre più intensa; per di più gran parte del
monastero era stato trasformato in museo che attirava folle di visitatori. Di
conseguenza il Capitolo Generale, nel 1884, ordinò ai monaci di lasciare Roma.
Dopo la
soppressione della Certosa, il Procuratore Generale visse con qualche
confratello in un modesto appartamento di Via Palestro, sino alla fine della
seconda guerra mondiale, quando la Procura fu trasferita in Via Cassia alla
Tomba di Nerone.
L’intero Convento,
con gli opportuni adattamenti, è stato sede del Museo Nazionale Romano e della
Soprintendenza alle Antichità di Roma fino agli anni ‘90 del XX sec., ospitando
tra l’altro, nel chiostro piccolo, la celebre collezione di sculture
“Ludovisi”, poi trasferita insieme alla maggior parte dei reperti a Palazzo
Massimo sul fianco destro della Stazione Termini e quindi poco lontano dalla
vecchia Certosa.
Nel 2000 tutto il
Convento è stato ristrutturato, lasciando intatti all’esterno, sia il chiostro
grande che quello piccolo, che hanno continuato ad ospitare, all’interno del
piano superiore, ultramoderno, le collezioni che non avevano trovato posto a
Palazzo Massimo.
Le parti più
trascurate del Convento e quelle più visibili a tutti dal suo esterno sono i
giardinetti e le loggette che compongono le antiche celle dei monaci, in Via
Cernaia, non avendo ancora la Soprintendenza alle Belle Arti, messo mano al
loro restauro.
La Roma cristiana
ha dedicato nel 1990 (benché eretta nel ‘64) una chiesa a questo santo nel
suburbio gianicolense.
La messa è la stessa
del 23 gennaio, per san Raimondo, salvo la prima colletta.
San Bruno, che
abbandona il mondo e la sua gloria e si ritira in una profonda solitudine per
pregare, per digiunare e per prepararsi a ben morire, ci offre una grande
lezione di forza cristiana. Nel mondo, così numerose sono le opportunità che ci
portano al male, poiché è molto difficile conservare l’innocenza e
santificarsi. Che cosa fanno allora le anime generose? Come Israele fugge per
sfuggire alla corruzione degli egiziani; come la colomba di Noè, non trovando
dove posarsi sulla terra tutta ricoperta di fango, tornò verso il santo
Patriarca nell’arca, così queste anime preoccupate di assicurare la loro
salvezza coi mezzi più efficaci e più sicuri, abbandonano il mondo e si
rifugiano nel chiostro. Agendo così, esse si salvano e, col loro esempio,
assicurano, con un immenso merito per esse stesse, anche la salvezza di un gran
numero.
Girolamo Marchesi, S. Bruno, 1525 circa, Walters Art Museum, Baltimora |
Juan Sánchez Cotán, S. Bruno in preghiera, Museo de Bellas Artes, Granada |
Francisco de Zurbarán, Apoteosi di S. Bruno, 1637-39, Museo de Bellas Artes, Cadice |
Nicolas Mignard, S. Bruno in preghiera nel deserto, 1638, Musée Calvet, Avignone |
Jusepe de Ribera, Visione di S. Bruno, 1643, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli |
Sebastiano e Marco Ricci, Visione di S. Bruno, 1700 circa, collezione privata |
Petrus Bombelli, S. Bruno, 1785 |
Nessun commento:
Posta un commento