Nella memoria di S. Teresa d’Avila, vergine, rilancio questo studio di Cristina Siccardi.
Alberto de Rossi (?), Stendardo originario della canonizzazione, 1622, Museo delle carmelitane scalze, Monasterio de la Anunciación de Nuestra Señora, Alba de Tormes |
Anonimo, S. Teresa patrona di Spagna, 1820 circa, Museo della Santa, Avila |
Anonimo, S. Teresa predica dinanzi ai dignitari della Chiesa, XVIII sec., Monastero di S. Giuseppe, Zamora |
Pedro Orrente, Visione mistica di S. Teresa, XVII sec., Parrocchia di S. Stefano protomartire, Valencia |
Juan de Peñalosa y Sandoval, Visione del collare del 15 agosto 1561, XVII sec., Cattedrale, Astorga |
Luis Juárez, S. Teresa prega per le anime del Purgatorio, Museo Nacional del Virreinato, Tepzotlán |
Cristóbal de Villalpando, Visione della Trinità di S. Teresa, XVIII sec., Museo Soumaya, Città del Messico |
Juan Correa, S. Teresa come pellegrina, XVII sec. |
Felipe Diricksen (o Diriksen o Deriksen), Visione di S. Teresa con donatore, 1630 circa, collezione privata |
Felipe Diricksen (o Diriksen o Deriksen), Visione del collare, 1642 circa, Universidad de Navarra, Pamplona |
Scuola spagnola, S. Teresa abbadessa e martire, XVII sec., collezione privata |
Sepolcro di S. Teresa, Chiesa dell'Annunciazione, Alba de Tormes |
Reliquiario del cuore di S. Teresa, Chiesa dell'Annunciazione, Alba de Tormes |
Il perfetto matrimonio cristiano di sant’Enrico e
santa Cunegonda
di Cristina Siccardi
Enzo Bianchi, il monaco laico, fondatore della Comunità di Bose
riconosciuta non come ordine monastico, ma come Associazione privata di fedeli
(a norma dei canoni 322, 114, 116 e 117 del Codice di diritto canonico),
sostiene le ragioni del riconoscimento delle unioni civili tra persone
omosessuali ed anche la separazione tra coniugi che non vanno più d’accordo.
Lo
ha affermato nel corso di un’assemblea pastorale diocesana tenutasi a Trento,
secondo quanto riporta la testata L’Adige: «La Chiesa non può avvallare il
divorzio, ma se due persone non stanno bene assieme, e si avvelenano
reciprocamente l’esistenza, è meglio che si separino. Diversamente, se due
persone dello stesso sesso si vogliono bene e sono propense ad aiutarsi ed a
sostenersi reciprocamente è giusto che lo Stato preveda una regolarizzazione
del loro rapporto».
E
ha così proseguito: «Dobbiamo chiedere scusa alle famiglie per la presunta superiorità
mostrata dai religiosi nei tempi passati: la vita di coppia è molto difficile,
e noi dobbiamo essere in grado di riconoscere il grande merito di chi sceglie
di costruire un nucleo famigliare. Tuttavia, in una realtà in cui tutto è
precario, dal lavoro alle relazioni, non possiamo aspettarci che l’amore o la
famiglia non lo sia. Su questo, però, non possiamo permetterci in alcun modo di
giudicare, né, tantomeno, di escludere».
Come
i Valdesi non hanno accolto le scuse di Papa Francesco (http://www.riscossacristiana.it), così i cattolici non possono
certo accettare le scuse di Enzo Bianchi: egli, è a fianco di coloro che nel
Sinodo si fanno interpreti di una tragica rivoluzione sui principi
matrimoniali, esterna pretestuose scuse tese a raggiungere formule erronee di
relazioni coniugali, dove la persona non è più responsabile delle proprie
scelte, coscienti e serie, fatte durante il Sacramento nuziale, che non ha
nulla a che vedere con la precarietà del lavoro e la precarietà delle
relazioni. La relazione precaria è relativa ai propri comodi edonisti,
narcisisti e narcinisti non certo al giuramento che si compie di fronte
all’altare.
Assertore
della «famiglia precaria», Enzo Bianchi, giungendo «dal Canavese verde e un po’
eretico (tra Monsignor Bettazzi, il filosofo Piero Martinetti, Adriana Zarri)
dove respira – una testimonianza conciliare lunga mezzo secolo – la Comunità di
Bose» (http://vaticaninsider.lastampa.it), è stato grande amico del
Cardinale Martini, che definisce «pneumatoforo», ambasciatore dello Spirito: «Mi legava a Martini una solida amicizia. Differente, filiale, il
rapporto con padre Pellegrino, che – non esita il Priore – colloco all’apice degli pneumatofori. Ci prese per mano,
quando, agli esordi, la Comunità attirò non poche incomprensioni. Si rivelerà
un vescovo straordinario, senza eguali nell’episcopato italiano odierno: di una
statura da Padre della Chiesa». I Padri della Chiesa, in realtà,
hanno lottato contro errori, eresie e falsi profeti o «pneumatofori»…
L’Imperatore
del Sacro Romano Impero e ultimo esponente della dinastia degli Ottoni
Sant’Enrico II (973 o 978 –
1024) e sua moglie Santa Cunegonda di Lussemburgo (978 ca. – 1039) vissero in
tempi «precari», ma il loro rapporto non fu precario e divenne
di esempio per tutto il mondo occidentale e addirittura si adoperarono per rinnovare
la vita della Chiesa e propagare la fede in Cristo in tutta l’Europa.
Votato
inizialmente ad una carriera ecclesiastica, ricevette un’educazione scrupolosa
presso la scuola capitolare di Hildersheim e a Ratisbona presso il santo
vescovo Wolfango. Là acquisì una
profonda pietà ed una precisa conoscenza dei problemi religiosi. Enrico ebbe un
fratello, Bruno, che rinunciò agli agi della vita di corte per divenire pastore
di anime come vescovo di Augusta, nonché due sorelle: Brigida, che si fece
monaca, e Gisella, che andò in sposa al celebre Santo Stefano d’Ungheria.
Nel
995 Enrico II succedette al padre quale duca di Baviera e nel 1002 al cugino
Ottone III come re di Germania. Contro Enrico insorse il celebre Arduino d’Ivrea, che dopo tante fatiche
aveva ottenuto la corona d’Italia, ma questi lo sconfisse con un’armata e poi
raggiunse Roma con sua moglie Cunegonda per ricevere nel 1004 la corona
d’Italia da Papa Benedetto VIII. Nel 1014 il Pontefice lo consacrò imperatore
del Sacro Romano Impero.
Segnata
dall’impronta del realismo e della chiaroveggenza, la politica di Enrico II fu caratterizzata
dall’abbandono delle grandiose mire universaliste di Ottone III e rafforzò
l’alleanza del potere imperiale con la Chiesa. Sovrano consacrato alla più alta
carica religiosa, presidente dei sinodi episcopali, canonico di alcune
cattedrali, accrebbe l’autorità del clero. Restaurò nel 1004 l’Arcivescovado di
Merseburg e nel 1007 fondò, con i propri beni, quello di Bamberg. Fu assai
sensibile ad un sano rinnovamento della vita monastica, appoggiando alcuni
riformatori come Riccardo di Saint-Vanne, sostenendo l’Abbazia di Cluny e il
suo Abate Odilone.
Nel
1022 presiedette, insieme a Papa Benedetto VIII, il Concilio di Pavia, a conclusione del quale
vennero emanati sette canoni contro il concubinato dei sacerdoti e la difesa
dell’integrità dei patrimoni ecclesiastici: questo Concilio è considerato un
momento importante del processo di riforma delle Chiesa dell’XI secolo.
Durante
il regno ebbe al suo fianco Cunegonda, incoronata regina nel 1002 a Paderborn. Le fonti attestano che ella svolse un ruolo
politico di primo piano. Fondò il monastero femminile di Kaufungen, vicino a
Kassel, nel 1021. La coppia imperiale non ebbe figli e la causa viene rimandata
a due ipotesi: voto di castità dei coniugi oppure sterilità. Alla fine dell’XI
secolo sorse la tradizione della castità degli sposi. I primi a descriverla
furono alcuni monaci dell’abbazia di Monte Cassino, molto legati
all’Imperatore, Amato e Leone d’Ostia.
Secondo
altre fonti, contemporanee ai fatti storici, viene attestata la sterilità di
Santa Cunegonda. Le prime
conoscenze sul matrimonio imperiale poggiano su tre brevi testi. Il cronista
Titmaro di Merseburg riferisce la dichiarazione fatta da Enrico II al Sinodo di
Francoforte del 1007: «(…) per mia ricompensa divina, ho scelto
Cristo come erede, poiché non mi resta più alcuna speranza di avere una
discendenza». Il secondo testo è una lettera del Vescovo Arnoldo di
Halberstat (novembre 1007) ad un suo confratello di Würzburg: «(…) rifiutandogli una discendenza umana, farà di Dio, a Lui
piacendo, il suo erede». Infine il monaco cluniacense Rodolfo il
Glabro lascia scritto (prima del 1047): «Vedendo che da Cunegonda egli
non poteva avere figli, non se ne separò a causa di questo, ma accordò alla
Chiesa di Cristo tutto il patrimonio che avrebbe dovuto a dei figli».
Nell’alto
Medioevo, una simile situazione terminava spesso con il ripudio della sposa. Come dimostra Rodolfo il Glabro, il fatto
essenziale che colpì i contemporanei e fondò i termini per la reputazione di
santità, fu l’inaudito rifiuto dell’Imperatore di ripudiare la moglie. La
ragione di tale scelta è stata cercata nella profonda pietà cattolica
dell’Imperatore, pietà che gli veniva da una tradizione ottoniana: i
comportamenti matrimoniali costituirono un punto capitale delle relazioni fra
gli Ottoni e la Chiesa. Infatti i suoi predecessori osservarono sempre una
condotta matrimoniale esemplare: una stretta monogamia, unioni canonicamente
irreprensibili, l’assenza di figli illegittimi e ripudi caratterizzarono la
loro vita familiare. Emblematica una biografia commissionata dallo stesso
Enrico II, la Vita della sua bisavola Santa
Matilde, dove il sacramento matrimoniale primeggia: l’unione sponsale è qui
celebrata come indissolubile e spiritualmente benefica per ogni coniuge. Ne
emerge una coppia di sposi di stampo evangelico, modello di vita coniugale.
Enrico
II non volle essere da meno della sua antenata e fu deciso nel credere e
testimoniare l’indissolubilità matrimoniale, e tenne per sposa la sua Cunegonda. Ben diversa, ma similissima alle
ribellioni odierne alle leggi di Dio, le scelte di un altro sovrano, Enrico
VIII, il quale per ripudiare-divorziare dalla propria moglie preferì
ripudiare-divorziare dalla Chiesa di Roma. E il Papa di allora, Clemente VII,
non venne a patti con il ribelle d’Inghilterra. Che cosa deciderà di fare Papa
Francesco con gli attuali ribelli di Cristo?
Nessun commento:
Posta un commento