In corso di Sinodo, verificato
che la maggior parte dei Circuli minores (eccezion fatta, probabilmente,
per quello tedesco) avevano espresso perplessità per l’Instrumentum laboris,
avanzando proposte più o meno incisive di modifiche, che ne avrebbero stravolto
l’impianto e forse l’avrebbero reso … meno eterodosso (sull’eterodossia dell’Instrumentum,
v. le riflessioni dei Tre teologi e da noi riportate qui, nonché il Dossier redatto
da Voice of the family, v. qui e qui. Sul lavoro dei Circuli,
v. qui, qui, qui e qui), in corso di Sinodo si diceva, si è deciso di mutare alcune
regole, pur discusse e discutibili che erano state rese note alla vigilia della
sua apertura. Così, ad es., contrariamente a quanto era stato chiarito all’inizio
(v. Briefing del card. Baldisseri), non ci sarà, probabilmente, come annunciato
dal card. Tagle, alcuna relazione finale, salvo contraria suprema decisione (v. qui). Altra
decisione assunta in corso di lavori è quella di “anticipare” la discussione
sulla terza parte dell’Instrumentum (quella cioè più controversa) già alla seconda
settimana di lavori (laddove questa doveva avvenire, secondo le originarie previsioni fissate nel calendario dei lavori,
solo nella terza). Ed ancora, dopo lo smacco ricevuto dai progressisti dalla
relazione introduttiva di presentazione dei temi del card. Péter Erdő, che ha spiazzato le loro attese (v.
qui; qui; qui e qui), a questi non è stato più consentito – contrariamente a quelle che
erano le regole originariamente fissate – di poter tenere una nuova relazione introduttiva
– questa volta sulla seconda parte dell’Instrumentum – a cui avrebbe
fatto seguito, la prossima settimana, una terza, come previsto nel calendario dei lavori.
Una rottura della
legalità sinodale – peraltro già messa in discussione dalle nuove regole di cui
si è dato conto alla vigilia del Sinodo – non molto diversa da quella che
avvenne all’esordio del Concilio Vaticano II.
Nella festa della
solenne chiusura del Concilio di Efeso e della proclamazione del dogma della
Divina Maternità di Maria; festa che fu estesa alla Chiesa Universale da Papa
Pio XI con l’enciclica Lux Veritatis del 1931, nel XV centenario del Concilio
efesino e con la quale venne affermato il vero senso dell’ecumenismo verso gli
Orientali scismatici («… Ma sopra ogni altra cosa, un particolare e
certamente importantissimo beneficio desideriamo che da tutti venga implorato,
mediante la intercessione della celeste Regina. Ella cioè, che è tanto amata e
tanto devotamente onorata dagli Orientali dissidenti, non permetta che questi
miseramente continuino a stare staccati dall’unità della Chiesa e quindi dal
Figlio suo, del quale Noi facciamo le veci sulla terra. ….»), rilanciamo
quest’analisi della prof.ssa Guarini sulle segnalate novità sinodali.
Icona della Madre di Dio, 1878, Monastero, Valaam |
Sinodo: ‘manovre’ e
disincanti. E la verità?
Mai così segreti i
lavori dell’assise. Inservibili le notizie fornite dai canali ufficiali.
Inesistenti le traduzioni per i padri che non conoscono l’italiano. Il
simbolico gesto di rottura dei vescovi polacchi[1]
Prendo spunto dall’articolo di oggi con
cui Sandro Magister puntualizza con molti e precisi dettagli le dinamiche presenti
nello svolgimento del Sinodo in corso e i loro aspetti più rilevanti emersi
fino ad oggi. Cito Magister:
Già il Concilio Vaticano II aveva mostrato come il controllo delle procedure sia un fattore decisivo per governare e indirizzare un’assemblea. Per far tacere la protesta, la mattina del secondo giorno del sinodo è intervenuto papa Francesco in persona. Che ha rivendicato a sé la decisione sulle procedure adottate e ha chiesto ai padri di “non cedere all’ermeneutica cospirativa, che è sociologicamente debole e spiritualmente non aiuta”. C’è voluto però un tweet di un gesuita membro del sinodo, padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”, perché si avesse notizia di queste precise parole di Francesco, che padre Federico Lombardi, il portavoce autorizzato, anche lui gesuita, s’era guardato dal citare, nel riassumere alla stampa l’intervento papale. [...] [Nei precedenti Sinodi] uno squadrone di parecchie decine di traduttori, molti chiamati apposta da fuori d’Italia, era messo all’opera 24 ore su 24 per assicurare un’istantanea versione in più lingue di tutti i testi sinodali, ma proprio tutti, dalla relazione introduttiva ai rapporti dei “circuli minores” alle proposizioni finali, comprese le sintesi scritte di ciascun intervento in aula. Oggi, di questo cantiere non c’è più nemmeno l’ombra. La relazione introduttiva del cardinale Erdõ – pur avvertita di capitale importanza da favorevoli e avversari – è stata letta in aula in italiano. E così è rimasta, nonostante molti dei 270 padri sinodali non siano affatto a loro agio con la lingua di Dante. Se alcune ore dopo è stata messa in rete una sua traduzione integrale in inglese, lo si deve non agli uffici vaticani, bensì alla Catholic News Agency, degli Stati Uniti. Molti padri sinodali temono che lo stesso avverrà per i rapporti dei circoli linguistici minori, redatti ciascuno nella rispettiva lingua e destinati a restare così, senza traduzioni di sorta. Ma il peggio avverrà con la relazione finale, da votare punto per punto nelle convulse battute conclusive del sinodo. “Se sarà letta e messa ai voti solo in italiano, in tanti rischiamo di non essere ben sicuri su ciò che andremo a votare”, ha lamentato in conferenza stampa l’arcivescovo di Philadelphia Charles Chaput. Già nel sinodo dell’ottobre del 2014 accadde questo. Per non dire delle scorrettezze che avvennero dietro le quinte nel pieno dei lavori, quando chi aveva il controllo delle procedure – la segreteria speciale del sinodo in primo luogo – si avvalse di questo per produrre quell’artefatto documento che portava il titolo di “Relatio post disceptationem”, poi smascherato in pubblico dallo stesso cardinale Erdõ e travolto in aula dalle successive discussioni [vedi]. Una più dettagliata ricostruzione di quella e di altre manovre è in questo E-Book di Edward Pentin, edito da Ignatius Press: The Rigging of a Vatican Synod? [vedi] “L’ermeneutica cospirativa” contro cui papa Francesco si è scagliato non è purtroppo priva di appigli.
Sarebbe auspicabile
che le proteste dei Padri sinodali, che risultano mosse fin dalla prima
congregazione generale e diffuse attraverso i loro siti o altri luoghi della
Rete, fossero formalizzate con più coesa determinazione (analogamente a quanto
avvenne nel Vaticano II con il rigetto degli Schemi preparatori redatti dalla
Curia) e venisse creato il ‘caso’ : sarebbe forse l’unico modo di uscire da una
situazione anomala e rischiosa per una autentica continuità.
Siamo forse di fronte
ad una minoranza non altrettanto determinata quanto la “Scuola renana”,
artefice di quel comportamento rivoluzionario che cambiò le sorti del Concilio
e della Chiesa?
Di fatto invece, più
realisticamente, dobbiamo considerare che la Scuola renana -
come del resto il manipolo progressista oggi - era forte dell’appoggio del Papa
(sia in quel momento topico Giovanni XXIII, che nel prosieguo e in conclusione
Paolo VI; mentre nel post-concilio sono stati determinanti anche i successivi applicatori).
Credo che sia questo l’elemento che discrimina e rende meno efficace ogni
attuale iniziativa di chi vive ed esprime la fedeltà al Depositum fidei.
A questo si aggiunge
una osservazione di non poco rilievo, già formulata, che giova ribadire. Alcune
figure di riferimento della gerarchia ecclesiale, che si sono levate
focalizzando il discorso sui noti temi caldi del sinodo, giustamente sottolineano
che non si può sganciare la morale dalla verità dalla quale la morale
scaturisce e affermano che la pastorale non può essere sganciata dalla dottrina;
ma ignorano completamente le distorsioni innescate dai punti controversi del
Concilio. Non saprei dire se per prudenza – vista l’aria che tira – o
per assuefazione da mitridatizzazione. E quindi c’è da chiedersi se e quando
potranno venire al pettine i nodi, generati proprio da quei semi di
trasformazione subdolamente indotta in chiave di una ‘continuità’ dichiarata ma
in termini sofisti, oggi ben individuati (più volte espressi, sviluppati e documentati),
sui quali tuttavia, in ambito ecclesiale, è di fatto preclusa ogni discussione
e rifiutato il confronto. È evidente che se non si riconoscono le radici del
male non si possono attuare i rimedi [vedi].
Le analogie della Sinodalità
recidiva con alcune distorsioni conciliari erano state messe bene in evidenza qui - qui - qui - qui. Ma senza alcun effetto, come senza effetto sono rimaste
le ‘suppliche’ di varia estrazione e provenienza. La tattica è quella di
ignorare e lasciar cadere tutto ciò che non rientra nell’ottica rivoluzionaria
in corso; e così vanificarlo, delegittimando con le emarginazioni e procedendo
senza remore con ostinazione invincibile (umanamente). Del resto per Bergoglio,
nell’Evangelii Gaudium: “Riformare vuol dire avviare processi aperti...”.
Cos’altro è se non l’ermeneutica della continuità storicista?
Maria Guarini
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1. Leggiamo sul Secolo XIX del 9 ottobre che i padri sinodali polacchi
sono stati richiamati all’ordine dal segretario generale, Lorenzo Baldisseri,
perché avrebbero vìolato la riservatezza sui lavori del Sinodo: secondo quanto
spiegato dal portavoce del Vaticano, padre Federico Lombardi, «la pubblicazione
di sintesi degli interventi fatti dai padri sinodali per iniziativa di altri
non è permessa. Ognuno può pubblicare il suo intervento autonomamente, ma non è
previsto che faccia conoscere gli interventi degli altri. Si tratta di una
norma comune, e tutti debbono rispettarla».
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