Da sabato 3 ottobre i mass-media sono praticamente completamente
catalizzati dalla vicenda “pruriginosa” del “coming out” del “monsignore”
dell’ex Sant’Uffizio e docente di teologia dogmatica in alcuni
prestigiosi atenei pontifici della Capitale, autore di numerose ed impeccabili pubblicazioni (tra queste una significativa e perfettamente ortodossa sull'immutabilità di Dio: v. qui), sbandierata ai quattro venti da
una sua intervista al Corriere della sera (v. qui) e
poi da una sua “conferenza stampa”, nel corso della quale ha anche presentato
il suo partner convivente (v. qui, qui, qui e qui), che non ha mancato di rilasciare - c'era da aspettarselo - un'intervista sempre al Corriere (v. qui). Sulla vicenda, v. anche il commento di S. Em.za il card. Ruini (v. qui, qui e qui).
Krysztof Charamsa durante una messa |
La
vicenda, come facile intuire, ha conosciuto un clamore mediatico davvero senza
pari (v. qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui e qui) ed è servito anche da improvvida “cassa di risonanza” ad un altro evento,
parallelo e vigiliare del Sinodo, che probabilmente sarebbe passato in sordina
e dedicato appunto al tema de quo, vale a dire una conferenza a
porte chiuse, svoltasi a Roma, di “cattolici” LGBT (v. qui; qui e, per la traduzione inglese, qui).
La Santa Sede, tramite il Direttore della Sala Stampa, P.
Lombardi, pur esprimendo rispetto per «le vicende e le situazioni
personali e le riflessioni su di esse», lamentava come la stessa
rappresentasse un’indebita pressione sul Sinodo giusto alla vigilia della sua
apertura (alcuni hanno avanzato l'ipotesi che trattasi addirittura in "golpe omosessualista": v. qui, il cui scopo è quello di trasformare il Sinodo in un evento gay-friendly: v. qui); dichiarava peraltro che il predetto prelato non potesse più svolgere
alcun incarico presso la Congregazione per la dottrina della fede e presso le
università pontificie, rimettendo ogni altra valutazione al vescovo della
diocesi presso cui il monsignore era incardinato (v. qui testo della
dichiarazione di P. Lombardi).
Krysztof Charamsa con il suo partner |
Tale dichiarazione è stata un’occasione mancata per la Sala
Stampa, che, lungi dall’esprimere “rispetto” (????), avrebbe, al contrario,
dovuto esprimere tutto il suo disappunto e rammarico per questa vicenda di
tradimento del celibato sacerdotale ed al contempo esprimere l’assoluta
incompatibilità tra omosessualità e sacerdozio cattolico, richiamando ad es.
l’Istruzione della Congregazione per l’educazione cattolica «circa i criteri
di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in
vista della loro ammissione al seminario e agli ordini sacri» del
31.8.2005-4.11.2005 (v. il testo qui. V. qui anche l'intervista al card. Zenon Grocholewski) e tutto il relativo magistero (v. qui).
Un’occasione persa, peraltro, proprio in relazione al Sinodo, che si stava
aprendo, ed a cui il clamore mediatico della vicenda del monsignore sembra
chiaramente preordinato ad esercitare indebite pressioni. Un’occasione persa,
ancora, anche per chiarire il magistero della Chiesa alla luce delle uscite
recenti di alcuni prelati e partecipanti al Sinodo e non, che, non senza
scandalo, con dichiarazioni estemporanee ed improvvide, hanno tentato di
“normalizzare” o “compatire”, anche all’interno della Chiesa, le relazioni
omosessuali (v. le recenti dichiarazioni del “card.” Kasper, v. qui e qui; del
“vescovo” di Modena, Castellucci, v. qui e qui, e quelle del rag. Bianchi, che abbiamo già
trattato qui). Un’occasione chiarificatrice mancata, inoltre, anche per
denunciare come, oggigiorno, come ricordava in epoca non sospetta lo stesso
scrittore cattolico Vittorio Messori, nei seminari vengano ammessi, o per lo
meno tollerati, candidati al sacerdozio, che presentino tendenze omosessuali
profondamente radicate (v. intervista a V. Messori del 2007, qui), che si
manifestano, con grave scandalo per la Chiesa, sovente anche dopo l’ordinazione
presbiterale a suon di vicende scandalistiche rilanciate puntualmente dai
media.
Un’occasione persa anche per denunciare la totale assenza di fede – non
intesa in senso sentimentalistico, ma come virtù teologica e teologale – in
molti candidati al sacerdozio, che, privi del sacro timore di Dio, del Suo
giudizio (prima ancora della riprovazione degli uomini!), della possibilità di
una condanna eterna, compiono azioni contrarie al loro status o mancano, nella
migliore delle ipotesi, della necessaria gravitas sacerdotale e della responsabilità che
hanno, dinanzi al gregge affidato, quali ministri di Dio.
Krysztof Charamsa con il suo partner durante la conferenza stampa |
Per questo, è bene rileggere con attenzione e con la dovuta pietà,
come suggerisce l’autore del contributo che segue, il testo di san Pier
Damiani, il Liber Gomorrhianus,
nel quale viene mostrata chiaramente come la Chiesa debba curare questa grave
situazione del clero: non certo a suon di “rispetti” quasi conniventi e
giustificativi o di false “misericordie” attente alla felicità ed ai piaceri
terreni piuttosto che al destino eterno dell’uomo. Al contrario, ribadendo con
maggior forza e giusto rigore la santa legge di Dio, ripristinandolo dei suoi
diritti, da cui, stoltamente e con superbia diabolica, l’uomo ha pensato di
distoglierlo.
Sinodo: perché
rileggere il Liber Gomorrhianus dopo il “coming out” del monsignore
vaticano
di Giulio Ginnetti
Krysztof Charamsa con il compagno Eduard (Ansa/Del Castillo) |
«Se questo vizio assolutamente ignominioso e
abominevole non sarà immediatamente fermato con un pugno di ferro, la spada
della collera divina calerà su di noi, portando molti alla rovina», scrive san Pier Damiani nel Liber Gomorrhianus, riferendosi
alla sodomia diffusa tra il clero del suo tempo. Queste parole hanno
un’impressionante attualità alla luce delle dichiarazioni rilasciate, alla
vigilia del Sinodo, al
“Corriere della Sera” da monsignor Krzysztof Charamsa, ufficiale della
Congregazione per la Dottrina della Fede e segretario aggiunto della
Commissione Teologica Internazionale vaticana, oltre che docente alla
Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum.
Il prelato polacco ha dichiarato tra
l’altro: “Voglio che la Chiesa e la mia comunità sappiano chi sono: un
sacerdote omosessuale, felice e orgoglioso della propria identità. Sono pronto
a pagarne le conseguenze, ma è il momento che la Chiesa apra gli occhi di
fronte ai gay credenti e capisca che la soluzione che propone loro, l’astinenza
totale dalla vita d’amore, è disumana”. La sodomia è stata purtroppo
praticata nel corso dei secoli, ma nessun sacerdote, della Curia Romana è mai
arrivato a vantarsene pubblicamente e nessuna assemblea di vescovi ha mai messo
all’ordine del giorno dei suoi lavori la comprensione e la “misericordia” verso
le coppie omosessuali. E’ questa una buona ragione per rileggere le pagine
infuocate del Liber Gomorrhianus, (Edizioni Fiducia, Roma 2015, euro 10), con
un’introduzione di Roberto de Mattei.
Nel suo coming out il teologo
vaticano si rivolge esplicitamente ai padri sinodali invitandoli a rivedere le
loro posizioni nei confronti dell’ampia comunità LGBT:
“(…) vorrei dire al Sinodo che l’amore omosessuale è un amore familiare, che
ha bisogno della famiglia. Ogni persona, anche i gay, le lesbiche o i
transessuali, porta nel cuore un desiderio di amore e familiarità. Ogni persona
ha diritto all’amore e quell’amore deve essere protetto dalla società, dalle
leggi. Ma sopratutto deve essere curato dalla Chiesa”.
Charmasa giustifica quindi la
liceità del comportamento omosessuale, rivendicando l’esistenza di una presunta
natura omosessuale: “(…) una coppia di lesbiche o di omosessuali deve poter
dire alla propria Chiesa: noi ci amiamo secondo la nostra natura (…). La Bibbia
non parla mai di omosessualità. Parla invece degli atti che io definirei
“omogenitali”. Possono essere compiuti anche da persone eterosessuali, come
succede in molte prigioni. In questo senso potrebbero essere un momento di
infedeltà alla propria natura e quindi un peccato. Quegli stessi atti compiuti
da una persona omosessuale esprimono invece la sua natura. Il sodomita biblico
non ha niente a che fare con due omosessuali che oggi in Italia si amano e
vogliono sposarsi”.
In tale prospettiva, secondo il
teologo vaticano, non vi è una natura umana oggettiva ma esisterebbero tante
nature quante sono le soggettive tendenze sessuali e in questo senso, stravolgendo
a proprio piacimento l’insegnamento cattolico, il peccato non consiste nel
tradire la suprema legge naturale ma nel tradire la propria personale natura.
Charmasa dopo aver, come se
nulla fosse, reso noto di “avere un compagno che lo aiuta a trasformare le
ultime paure nella forza dell’amore”, conclude la sua intervista,
sottolineando come “su questi temi la Chiesa sia in ritardo rispetto alle
conoscenze che ha raggiunto l’umanità. E’ già successo in passato: ma se si è
in ritardo sull’astronomia le conseguenze non sono così pesanti come quando il
ritardo riguarda qualcosa che tocca la parte più intima delle persone. La
Chiesa deve sapere che non sta raccogliendo la sfida dei tempi”.
Tuttavia, se la società ha
mutato il suo giudizio e atteggiamento nei confronti dell’omosessualità nel
corso dei secoli, lo stesso non è avvenuto per la Chiesa cattolica in quanto
essa è sempre rimasta fedele al suo immutabile Magistero dottrinale. In questo
senso, la Chiesa ha incessantemente insegnato che la pratica dell’omosessualità
è un abominevole vizio contro natura, che provoca non solo la corruzione
spirituale e la dannazione eterna degli individui, ma anche la rovina morale
della società, colpita da un germe mortale che avvelena le radici stesse della
vita civile. Nel corso dei secoli tale insegnamento è stato trasmesso e
confermato interrottamente dalla Sacra Scrittura, dai Padri della Chiesa, dai
santi Dottori e dai Pontefici.
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