Nella festa di S. Andrea apostolo, il Protoclito, su segnalazione volentieri pubblichiamo
questo testo della relazione, in commento al d.d.l. Cirinnà, del prof. don Cesare
Mariano, docente di esegesi del Nuovo Testamento presso la Facoltà Teologica
Pugliese, tenuta in Potenza lo scorso 27 novembre.
Cima da Conegliano, Madonna col Bambino tra i SS. Michele ed Andrea apostolo, 1498-1500, galleria nazionale, Parma |
Mattia Preti, Presentazione della reliquia della testa di Sant'Andrea al Papa Pio II, 1622-28, Chiesa di S. Andrea della Valle, Roma |
Busto reliquiario di S. Andrea, Cattedrale, Amalfi |
Da Protagora a Cirinnà
(Potenza,
27 novembre 2015)
di Cesare
Mariano
Introduzione
«Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa? – si chiede T.S. Eliot nei
“Cori della Rocca” – Perché dovrebbero
amare le sue leggi? / Essa ricorda loro la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero
scordare. / È gentile dove sarebbero duri, e dura dove essi vorrebbero essere
teneri./ Ricorda loro il Male e il Peccato, e altri fatti spiacevoli. / Essi
cercano sempre d’evadere / dal buio esterno e interiore / sognando sistemi
talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’essere buono».
Perché gli uomini
dovrebbero amare la Chiesa? Perché gli uomini dovrebbero amare la sua dottrina?
È a queste domande che cercherò di rispondere nel mio intervento, che si
comporrà delle seguenti quattro parti.
1) la teoria del gender;
2) il ddl Cirinnà;
3) i presupposti
filosofici comuni alle due questioni;
4) l’umanesimo cristiano.
1. Il gender
Il termine gender è stato introdotto nella letteratura scientifica
dal sessuologo (behaviorista) J. Money nel 1955. Il termine gender, corrisponde all’italiano genere ma è ormai divenuto un termine tecnico per indicare il genere sessuale di una persona sulla
base non di evidenze oggettive ma di una percezione soggettiva. Secondo la
dottrina del gender, cioè, il genere
sessuale non attiene alla sfera ontologica (dell’essere) ma a quella
psicologica e decisionale (del sentirsi e
decidersi).
Secondo la dottrina del gender non vi è una distinzione obiettiva
tra uomo e donna, determinata da fattori di carattere fisico, psichico e
spirituale. La differenza genetica tra individui di sesso maschile (in cui i
cromosomi sessuali sono XY) e individui di sesso femminile (in cui i cromosomi
sessuali sono XX) non conta nulla. La diversità tra uomo e donna, secondo i fautori
della dottrina del gender ha origini
di carattere estrinseco: sociali, culturali, politiche. Il genere sessuale (il gender) ha come unico criterio
determinante la scelta del singolo: ciascuno è del sesso che sceglie di avere.
E. Sgreccia rintraccia
le radici della teoria del gender nella filosofia del linguaggio strutturalistica di Lévi-Strauss, secondo
il quale poiché le strutture del pensiero e del linguaggio risentono delle sovrastrutture
di carattere sociale e culturale, compito della scienza è di smantellare queste
sovrastrutture per giungere alla struttura più profonda dell’io che attinge all’inconscio.
In questo senso, Lévi-Strauss arriva ad affermare che «il fine ultimo delle
scienze esatte non è di costituire l’uomo, ma di dissolverlo» (II pensiero
selvaggio, Il Saggiatore, Milano 1964).
Progressivamente, la teoria del gender
ha assunto una pretesa egemonica rispetto alla categoria di genere
sessuale, fino a volerlo sostituire come indicatore della connotazione sessuale
di un individuo. Nella sua opera del 1990 Gender-Trouble: feminisme and the
Subversion of Identity (New-York;
Scambi di genere: Identità, sesso e desiderio, Sansoni, Milano 2004),
Judith Butler, celebre esponente del movimento femminista, rivendica
esplicitamente la carica sovversiva della teoria del genere. Secondo Butler,
infatti, ogni singolo individuo ha il diritto di scegliersi liberamente il
proprio genere sessuale, senza che lo Stato (le leggi) e la Natura (la
struttura corporea connotata sessualmente) possano contrapporre a tale diritto
alcuna pretesa normativa. Con la Butler lo strutturalismo di Lévi-Strauss
approda ad una visione post-strutturalista e decostruttivista, perché secondo
questa studiosa (filosofa, psicanalista, critica letteraria) quello che
tradizionalmente viene definito come genere
sessuale tradizionale consiste in un’identità sessuale culturalmente
costruita, effetto del linguaggio che mediante la ripetizione produce e
stabilizza il significato di “maschile” e “femminile”. A questa stabilizzazione
corrisponde la normalizzazione che relega nell’ambito dell’a-normale e dell’abietto
le identità sessuali non conformi al modello, ossia la lesbica, il gay e più in
generale il queer (ambigue).
Dalle aule universitarie il termine gender
si è rapidamente diffuso sui tavoli del dibattito filosofico, politico e
mediatico. Il
6 settembre del 1995, l’allora First Lady
of USA, Hillary Clinton, alla Conferenza dell’ONU di Pechino, propose di
sostituire la differenza tra uomini e donne con cinque “generi”: eterosessuale
maschile, eterosessuale femminile, omosessuale maschile, omosessuale femminile,
bisessuale. La proposta non passò perché la S. Sede riuscì a organizzare un
ampio fronte di paesi in dissenso con questa proposta. Tuttavia, la teoria del gender ha continuato a camminare, anzi a
correre ad un ritmo impetuoso, tanto che la proposta della Clinton appare come
ridicolmente retrograda se paragonata alla recente iniziativa del pervasivo
Social Network Facebook di proporre agli utenti degli Stati Uniti la scelta tra
56 versioni di gender. Chi si iscrive
può selezionare oltre ai tradizionali “male” e “female”, anche l’opzione “personalizza”
che permette di scegliere altri 56 (1. Agender; 2. Androgyne;
3. Androgynous; 4. Bigender; 5. Cis; 6. Cisgender; 7. Cis Female; 8. Cis Male;
9. Cis Man; 10. Cis Woman; 11. Cisgender; 12. Female; 13. Cisgender Male; 14.
Cisgender Man; 15. Cisgender Woman; 16. Female to Male; 17. FTM; 18. Gender
Fluid; 19. Gender Nonconforming; 20. Gender Questioning; 21. Gender Variant;
22. Genderqueer; 23. Intersex; 24. Male to Female; 25; MTF; 26. Neither; 27.
Neutrois; 28. Non-binary; 29. Other; 30. Pangender; 31. Trans; 32. Trans*; 33.
Trans Female; 34. Trans* Female; 35. Trans Male; 36. Trans* Male; 37. Trans
Man; 38. Trans* Man; 39. Trans Person; 40. Trans* Person; 41. Trans Woman; 42.
Trans* Woman; 43. Transfeminine; 44. Transgender; 45. Transgender Female; 46.
Transgender Male; 47. Transgender Man; 48. Transgender Person; 49. Transgender
Woman; 50. Transmasculine; 51.
Transsexual; 52. Transsexual Female; 53. Transsexual Male; 54. Transsexual Man;
55. Transsexual Person; 56. Transsexual Woman; 57. Two-Spirit.).
2. Il ddl
Cirinnà
On.le Monica Cirinnà, PD, promotrice ed autrice del d.d.l. che ne porta il suo nome |
Passiamo ora ad
esaminare rapidamente il ddl Cirinnà che si propone – cito dal testo dei
proponenti al Senato – di «disciplinare l’istituto delle unioni civili»,
cioè quei rapporti «tra da due persone maggiorenni, anche dello
stesso sesso, che vogliano organizzare la loro vita in comune».
Nell’intento dei proponenti, la disciplina «intende fornire ai
cittadini che scelgano forme non tradizionali di convivenza la necessaria
tutela delle relative situazioni giuridiche soggettive, evitando così ogni
forma di discriminazione ai loro danni. È infatti necessario dare un
riconoscimento giuridico a una realtà così rilevante socialmente da non poter
più essere ignorata dalla legge». Si vuole evitare la «la
rigida alternativa tra il vincolo (sacramentale o legale) del matrimonio e l’assoluta
irrilevanza giuridica delle forme di vita associata che da tale modello
prescindano (soluzione obbligata, questa, per chi, come gli omosessuali, non
possa sposarsi). In questo senso, il riconoscimento di forme plurali di
convivenza, anziché violare, rafforza piuttosto il principio di cui all’art. 29 della Costituzione, che nasceva non tanto per imporre un solo e cogente
modello di convivenza, ma per limitare l’ingerenza statale sul terreno delle
relazioni familiari, tipica delle politiche demografiche di regimi totalitari
come quello fascista ».
I proponenti del ddl
Cirinnà si propongono dunque non solo di rispettare ma di corroborare il
principio che sta a fondamento dell’art. 29 Cost. Consideriamo,
dunque, questo art. 29 che il ddl Cirinnà vorrebbe rafforzare: «La Repubblica riconosce
i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio».
Il verbo scelto dai padri costituenti è “riconosce”: lo Stato non istituisce la famiglia, non crea
la famiglia, non lo plasma a suo piacimento ma riconosce un dato oggettivo, un dato che precede la legge positiva
perché corrisponde a quanto si trova nella natura stessa dell’uomo.
D’altra parte, in modo
analogo, lo stesso Sacramento del matrimonio è stato istituito da Cristo
elevando alla dignità di Sacramento (segno sensibile ed efficace dell’unione
sponsale di Cristo e della Chiesa) l’unione naturale tra l’uomo e la donna.
Attraverso il dettato costituzionale «la famiglia – osserva l’avvocato
Amato, Presidente dell’Associazione Giuristi
per la vita – viene definita una elemento prepolitico e pre-giuridico,
essendo sottratta alla disponibilità dell’ordinamento giuridico».
Quanto sia stata
ponderata la scelta del verbo riconosce, appare
con grande chiarezza considerando le dichiarazioni di voto sull’art. 29 di La
Pira, Moro e Mortati.
- La Pira: «con
l’espressione società naturale si intende un ordinamento di diritto naturale
che esige una costituzione e una finalità secondo il tipo della organizzazione
familiare».
- Moro: «Dichiarando che
la famiglia è una società naturale si intende stabilire che la famiglia ha una
sua sfera di ordinamento autonomo nei confronti dello Stato, il quale, quando interviene,
si trova di fronte a una realtà che non può menomare né mutare».
- Mortati precisò il
carattere normativo della definizione di famiglia come società naturale,
dichiarando che «con essa si vuole, infatti, assegnare all’istituto familiare
una sua autonomia originaria, destinata a circoscrivere i poteri del futuro legislatore
in ordine alla sua regolamentazione».
Ebbene, il ddl Cirinnà travalica
in modo evidente la definizione di famiglia indicata dalla Costituzione. Di
fatto, il ddl Cirinnà introduce una nuova forma di famiglia, composta tra
persone dello stesso sesso. Anche se non si usa esplicitamente la definizione
di matrimonio gay, la reale natura
dell’istituto che viene a costituirsi è tale.
Il ddl Cirinnà bis si
compone di due Capi. Il primo dedicato alle unioni civili tra persone dello
stesso sesso. Il secondo, più genericamente, alle convivenze di fatto.
Una sua rapida analisi
consente di cogliere, per innovatività e incidenza, il “cuore pulsante” dell’iniziativa
parlamentare nel capo I. Il secondo, a ben vedere, altro non è se non una ricognizione
dell’attuale quadro dei diritti che, grazie ad una sorta di “ortopedia”
giurisprudenziale, sono stati progressivamente riconosciuti ai componenti di
convivenze di fatto (successione nelle locazioni; risarcimento danni; subentro
nelle assegnazioni di edilizia popolare; assistenza ospedaliera etc).
Per quanto, a causa di
un’ipocrisia linguistica, il termine matrimonio sia accuratamente evitato, il
capo I manifesta il preciso intento di edificare un vero e proprio matrimonio
omosessuale. Ciò si evidenzia a vari livelli:
Nascita del vincolo:
- l’unione civile si
costituisce mediante dichiarazione delle due persone dinanzi all’ufficiale
dello stato civile e alla presenza di due testimoni. L’unione è registrata nell’archivio
dello stato civile (art. 2 ddl);
- al netto di formalità
procedurali che potremmo definire “accessorie”, a ben vedere, il nucleo
essenziale della celebrazione del matrimonio è costituito proprio dalla
reciproche dichiarazioni dei nubendi di volersi prendere in marito e in moglie,
rese dinanzi all’ufficiale dello stato civile, alla presenza di due testimoni
(art. 107 c.c.).
Cause impeditive:
- non possono contrarre
un’unione civile le persone minorenni, in stato di interdizione legale, non
libere nello stato civile, legate da rapporti di parentela, affinità, adozione
e affiliazione, condannate per omicidio nei confronti del coniuge dell’altra
parte (art. 2 ddl);
- proprio tutte le
condizioni necessarie per contrarre matrimonio (artt. 84 ss. c.c.).
Diritti e doveri:
- con la costituzione
dell’unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli
stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall’unione civile deriva l’obbligo
reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione.
Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e
alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai
bisogni comuni (art. 3 ddl);
- cioè a dire gli stessi
diritti e doveri dei coniugi (artt. 143 e ss. c.c.).
Regime patrimoniale:
- sono applicabili alle
unioni in questione le disposizioni del codice civile relative al regime
patrimoniale legale dei coniugi (comunione legale/separazione dei beni).
Diritti successori:
- alle persone unite,
inoltre, vengono attribuiti i diritti in materia ereditaria propri dei coniugi
(art. 4 ddl).
Scioglimento del vincolo:
- lo scioglimento delle
unioni civili avviene secondo le forme proprie del divorzio “tradizionale”
(legge Fortuna-Baslini, l. 898/1970) e di quello “breve” (l. 55/2015).
Come se non bastasse, ad
ulteriore riprova della malcelata volontà di piena assimilazione delle unioni
tra persone dello stesso sesso e matrimonio civile, assume carattere eloquente
la generale previsione secondo cui “Le
disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le
parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle
leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti
amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle
parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso” (art. 3, comma 4,
ddl).
Dunque un’equiparazione “a
tutto tondo”, con caratteri trasversali, comprendenti, ad esempio, le
prerogative connesse con lo status di coniuge previste nel diritto del lavoro
(congedi, permessi etc), nel diritto previdenziale (reversibilità), in materia
di assistenza sociale (sussidi; alloggi popolari).
L’unica remora che il
ddl sembra palesare riguarda la delicata materia delle adozioni di minori.
Infatti, dopo aver chiarito, in termini derogatori, che il precetto di generale
equiparazione (sic!) tra unione
civile e matrimonio non riguarda la legge n. 184/1983 sulle adozioni
(emblematicamente intitolata “Diritto del
minore ad una famiglia”), il ddl estende alle unioni tra persone dello
stesso sesso quella particolare modalità di adozione, prevista dalla citata
legge, comunemente conosciuta come Stepchild
Adoption (letteralmente “adozione del figliastro”), che consente l’adozione
da parte del coniuge (recte, partner
omosessuale) del minore figlio dell’altro coniuge (recte, partner omosessuale).
D’altra parte, anche le
la residua restrizione in materia di adozione non è destinata a durare molto: «Sarà
pressoché inevitabile – prevede l’avv. Amato – un intervento della Corte Costituzionale
volto ad eliminare tale restrizione, sulla base dell’assunto per cui «come
rilevato da recente giurisprudenza di legittimità, in assenza di certezze
scientifiche o dati di esperienza, costituisce mero pregiudizio la convinzione
che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in
una famiglia incentrata su una coppia omosessuale» (cfr. G.T. Parma, decr. 2.7.2013 confermato da Trib. Min. Bologna, decr. 31.10.2013).
Qual è il fondamento su
cui si basa questa “unione civile” tra persone dello stesso sesso? La risposta la desumiamo dal primo comma dell’art. 11 in tema di convivenza di fatto, che evidentemente è il substrato fattuale dell'unione civile: il reciproco legame affettivo.
L’auctoritas da cui promana la Legge non è un dato oggettivo naturale
ma è il sentire soggettivo. È proprio qui che si evidenzia la connessione tra
la questione del gender e quella del
ddl Cirinnà.
3. Presupposti filosofici
Alla luce del percorso
compiuto appaiono con una certa nitidezza i presupposti filosofici da cui
dipendono tanto la teoria del gender quanto
l’impeto legiferante del ddl Cirinnà. I presupposti filosofici sono quelli del
relativismo soggettivista, basato su due assiomi:
a) non esistono verità
oggettive sia di ordine teoretico sia di ordine etico.
b) è il soggetto che si
dà autonomamente delle sue verità teoretiche ed etiche, che lo Stato deve poi
riconoscere.
Nel corso della
modernità e della cosiddetta post-modernità, il relativismo si è diffuso in
modo capillare: il razionalismo illuminista (preparato dal filone razionalista
e neo-pagano dell’Umanesimo-Rinascimento), trovando il suo veicolo politico-militare
nella Rivoluzione francese, ha conquistato spazi sempre più nell’Europa
moderna, riuscendo a valicare i confini stessi del Tempio di Dio: «da qualche
fessura – disse Paolo VI nel IX anniversario della sua Incoronazione il 22
giugno 1972 – il fumo di Satana [cioè il fumo dell’errore, del relativismo, il
fumo di un pensiero non cristiano] è entrato nel Tempio di Dio».
Il “pensiero non-cristiano”
corrisponde a quella dittatura del
relativismo, di cui parlò l’allora cardinale Ratzinger nell’Omelia della
MPERP del 2005:
«Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni,
quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... Avere una fede chiara,
secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo.
Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento
di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si
va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come
definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».
Ecco il principio che è all’origine del Gender e del ddl del Cirinnà: l’io misura di tutte le cose. La Weltanschauung che
è all’origine di tutto ciò è la massima del vecchio Protagora: Omnium rerum
mensura homo.
Ma
qual è l’esito di un’impostazione del problema antropologico di questo genere?
La
radicale solitudine dell’uomo; radicale nel senso letterale: l’uomo si trova
senza radici, senza consapevolezza della propria origine, del proprio fine, del
senso del proprio cammino. Privato della domanda sulla Verità e sul Bene l’uomo
si ritrova in una strada di solitudine e tristezza.
Questo
naturalmente vale a livello di singoli e di comunità:
«Il
relativismo – ha scritto M. Pera in Senza radici (2004) – continua a
fare da specchio e da cassa di risonanza dell’attuale umor nero dell’Occidente.
Lo paralizza quando già è immobile e spaesato, lo rende inerme quando già è
arrendevole, lo rende perplesso quando già è poco incline ad accettare le
sfide» (p. 33).
4. L’Umanesimo
cristiano
Ogni relativismo va
(direi provvidenzialmente) ad infrangersi contro una cosa molto semplice: i
fatti. Il filosofo francese decostruttivista Jacques Derrida che si era
ingegnato nel sottoporre ad una critica decostruttivista delle grandi idee dell’Occidente
(l’integrazione, la democrazia, lo Stato) dovette dopo l’11 settembre 2001
scendere dalla sua torre di cristallo e, messo alle strette, appellarsi all’ONU,
come tanti. Perché non poté che arrendersi all’evidenza che c’è un fatto: la preferenza da parte delle persone di
vivere nella sicurezza, nella serenità piuttosto che nella paura.
E il punto contro cui
anche il relativismo religioso ed etico cozza è un fatto, il fatto cristiano,
il quale consiste «nella decisione della Verità trascendente – il Deus Trinitas – di comunicarsi in forma
gratuita, vivente e personale all’uomo» (Scola)
È
per chiamare a verificare questo fatto con sé, a paragonare questo fatto con il
proprio io, con quel desiderio indomito di verità, bontà, bellezza che è il
cuore dell’uomo, è per questo che la Chiesa si fa accanto all’uomo.
Si
fa accanto all’uomo per annunciargli la bellezza del suo essere uomo, capace di
amare secondo la verità della propria natura corporeo-spirituale.
L’annuncio
del fatto cristiano è dunque un vangelo per tutto l’uomo e per tutti gli uomini
e tale Vangelo consiste nella profonda armonia tra natura e grazia, nel
riconoscimento del fatto che la salvezza portata da Cristo è compimento dell’opera
della Creazione.
Dice
il testo del primo racconto biblico della Creazione (Gn 1,27): E Dio creò l’uomo a sua
immagine; / a immagine di Dio lo creò: / maschio e femmina li creò.
La
bellezza dell’immagine di Dio risplende nell’unione dell’uomo e della donna.
Di
qui i pilastri della dottrina cristiana sull’origine, sul senso e sul fine di
essere creature connotate sessualmente, secondo due polarità, quella maschile e
quella femminile, due polarità progettate l’una per l’altra:
«L’uomo e la donna sono creati, cioè sono voluti da Dio: in una perfetta uguaglianza, per un verso, in quanto
persone umane, e, per l’altro verso, nel loro rispettivo essere di maschio e
femmina. “Essere uomo”, “essere donna” è una realtà buona e voluta da Dio» (CCC
370).
«Creati insieme, l’uomo e la donna sono voluti
da Dio l’uno per l’altro» (CCC 371)
«L’uomo e la donna sono
fatti “l’uno per l’altro”: non già che Dio li abbia creati “a metà” ed “incompleti”;
li ha creati per una comunione di persone, nella quale ognuno può essere “aiuto”
per l’altro, perché sono ad un tempo uguali in quanto persone (osso dalle mie ossa) e complementari in
quanto maschio e femmina» (CCC 372).
Questo è l’Umanesimo cristiano!
«Possiamo parlare di umanesimo solamente
a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in lui i tratti del volto
autentico dell’uomo» ha detto il Papa il 10 novembre scorso a Firenze nel
Discorso di apertura del V Convegno nazionale della Chiesa italiana.
Abbiamo iniziato questo
percorso dalla domanda dei Cori della
Rocca di Eliot: Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa?
Perché la Chiesa è la Presenza di Cristo nel tempo e Cristo è vero Dio e vero Uomo, verità di Dio e verità dell’uomo. In lui l’uomo trova la via del compimento di sé, della sua autentica umanizzazione. Nel tempo e per l’eternità. Grazie.
Perché la Chiesa è la Presenza di Cristo nel tempo e Cristo è vero Dio e vero Uomo, verità di Dio e verità dell’uomo. In lui l’uomo trova la via del compimento di sé, della sua autentica umanizzazione. Nel tempo e per l’eternità. Grazie.
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