Un convegno sul
c.d. patto delle catacombe: un aspetto inedito e curioso del Concilio Vaticano
II. Il contributo è anche pubblicato su Chiesa e postconcilio.
Il “Patto delle
catacombe” e i “soliti noti” del concilio
di Mauro Faverzani
Con la Bolla Misericordiae Vultus,
con cui ha indetto l’imminente Giubileo straordinario, papa Francesco già aveva
detto di voler collegare tale evento ai 50 anni dalla conclusione del Concilio
Vaticano II.
Ma di quale volto del Concilio si
trattasse appare oggi, in qualche modo, più chiaro col riemergere del “Patto delle catacombe”,
per ricordare il quale il prossimo 14 novembre è stato promosso presso l’aula
magna della Pontificia Università Urbaniana un seminario, al quale è prevista
la partecipazione, tra gli altri, del card. João Braz de Aviz, Prefetto della
Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica,
dello storico Alberto Melloni, leader della cosiddetta “Scuola di Bologna”, ed
anche di quel Jon Sobrino, teologo gesuita, le cui opere nel 2007 furono
giudicate «errate» su punti essenziali dalla Congregazione per la
Dottrina della Fede. Il che non gli impedirà, però, il giorno prima, di
incontrarsi in Santa Marta per la S. Messa delle 7 col Sommo Pontefice, come
annunciato dal Sir, l’agenzia di
stampa ufficiale della Cei, da Radio Vaticana e dal
quotidiano Avvenire.
Ma in cosa consiste esattamente il “Patto delle catacombe”?
Il nome lo deve al luogo ove fu siglato, proprio 50 anni fa, il 16 novembre
1965, pochi giorni prima della chiusura del Concilio, ovvero nelle catacombe di
Santa Domitilla a Roma, tra le tombe di ben 100 mila cristiani dei primi
secoli. Al “Patto” aderirono 42 Vescovi conciliari di 15 Paesi,
tra cui i nomi di spicco dell’iperprogressismo ecclesiale, come il brasiliano
mons. Hélder Câmara, Arcivescovo di Olinda e Recife, e mons. Luigi Bettazzi,
allora Vescovo ausiliare di Bologna, oggi Vescovo emerito di Ivrea: anche lui,
il prossimo 14 novembre, prenderà peraltro parte al citato seminario di Roma.
Alle 42 adesioni iniziali al “Patto delle catacombe”,
ben presto si aggiunsero altri nomi, tra i quali quello dell’Arcivescovo di San
Salvador, mons. Oscar Romero, beatificato dal regnante Pontefice. Il brodo di
coltura, cui più o meno tutti facevan riferimento, era comunque quello
orbitante attorno al gruppo Église des pauvresfondato
dal prete-operaio Paul Gauthier e dalla monaca carmelitana, Madre Marie-Thérèse
Lescase, nonché quello della “Teologia della Liberazione”, condannata nel 1984
dalla Congregazione per la Dottrina della Fede con l’Istruzione Libertatis Nuntius, approvata da Giovanni Paolo II.
Ma i firmatari del “Patto”, decisi a
proseguire per la propria strada, si impegnarono ad essere una «Chiesa serva e povera»,
dichiarando di voler rinunciare a lussi, proprietà e conti in banca, potere e
privilegi, persino ai titoli: non più Eminenze, Eccellenze e Monsignori, solo
generici «Padri». Pronti a chiedere alle Nazioni del mondo di
adottare «strutture economiche e culturali» sempre più attente
alle esigenze delle «masse povere», per farle «uscire dalla loro miseria».
Da
tempo ferveva nel sottobosco ecclesiastico, infatti, una silenziosa, ma intensa
attività di “avvicinamento”. Una copia del “Patto
delle catacombe” fu, ad esempio, fatta recapitare a papa Francesco
nel giugno 2013 dal Nobel per la Pace, Adolfo Pérez Esquivel, accompagnato dal
Vicario episcopale per le popolazioni originarie della Diocesi di Formosa,
mons. Francisco Nazar. Ad indirizzargliela fu il Vescovo Pedro Casaldáliga,
sempre orbitante nell’ambito della “Teologia
della Liberazione”, a sua volta ammonito peraltro dalla Santa Sede
per l’aperto sostegno da lui dato al movimento sandinista nicaraguense.
Ora
si ritiene, dunque, che tutto sia pronto per tornare sotto i riflettori con un
fiorire di celebrazioni speciali, promosse da Ordini religiosi, gruppi e
prelati, tra i quali figura l’ormai immancabile card. Walter Kasper: ad
esempio, con la kermesse commemorativa del “Patto
delle catacombe”, voluta a Roma dall’11 al 17 novembre
dall’Istituto tedesco di Teologia e Politica di Monaco, in collaborazione col
gruppo Pro Konzil (un nome che non richiede traduzione:
rappresenta, in realtà, un cartello di sigle, tra le quali figurano università,
movimenti, Congregazioni, ma anche ultras ecclesiali come Wir
sind Kirche e poi Ag
Feminismus und Kirchen e.V. (“Femminismo e Chiesa”-NdR), Pax Christi tedesca
ed austriaca, la Karl Rahner Akademie di Colonia e molte altre ancora, tutte
di evidente impronta conciliarista ed iperprogressista).
Ancora:
dal 20 al 22 novembre è previsto un altro convegno del Movimento
per la riforma della Chiesa, altro nome che è tutto un programma,
mentre il 16 novembre si terrà una celebrazione liturgica nelle catacombe ove
tutto ebbe origine. Intanto, a Napoli, nello stesso giorno, questa volta presso
altre catacombe, quelle di San Gennaro dei Poveri, nel Rione Sanità, verrà
sottoscritto un altro “Patto”
definito nuovo, benché nella forma e nella sostanza ricalchi il precedente,
solo mutuando dal lessico di papa Francesco l’impegno a far propria «l’opzione degli “scarti” della società»,
ad «aprire le case, le chiese, i
conventi» agli immigrati, a riscrivere una gerarchia dei valori a
dir poco bizzarra: spazzati via i principi non negoziabili di Benedetto XVI,
eccoli rimpiazzati da «lavoro,
casa e terra», dalla lotta al «feticismo
del denaro», dalla «non-violenza
contro le enormi spese militari», dalla «conversione ecologica», dalla «mondialità, dall’inclusione, dal dialogo
ecumenico ed interreligioso». Alla firma di questo “Patto” è prevista la
partecipazione, tra gli altri, di Padre Alex Zanotelli, del Vescovo Raffaele
Nogaro, di don Luigi Ciotti, di don Virginio Colmegna e di altri ancora.
È
evidente come tutte queste iniziative, presentate come la nuova “avanguardia”
ecclesiastica, in realtà, di nuovo, non abbiano assolutamente alcunché: quelli
che vengono presentati sono i temi triti e ritriti del pauperismo, del
pacifismo, dell’ecologismo, dell’ecumenismo spinto, già sentiti prima, durante
e dopo il Concilio Vaticano II, ma a lungo eclissatisi, solo per il fatto di
non aver trovato terreno fertile ove attecchire, come han dimostrato le
numerose condanne, ammonizioni e correzioni disciplinari collezionate nel tempo
dalle loro idee (senza che ciò, peraltro, li abbia indotti a mutarle neppure di
una virgola). L’arrivo del Papa «venuto
dalla fine del mondo» e lo «spirito
del Sinodo» hanno convinto i portatori di queste idee ad uscire
dall’ombra ed a cercar di riciclarsi, nella convinzione di poter trovare,
questa volta, appoggio nella Chiesa di papa Francesco. Pregando che non sia
così.
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