venerdì 27 novembre 2015

Il silenzio del Carmelo, pegno di vittoria

In un momento di forte crisi e scandali, che hanno attinto pure l’ordine del Carmelo nell’Urbe, va ribadita quella che è la spiritualità carmelitana, fatta di silenzio, di preghiera e di clausura, tanto da far chiamare i carmelitani, che non hanno ceduto alle lusinghe della modernità e son rimasti fedeli alla regola originaria della riforma dei SS. Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, “alunni della morte” (cfr. qui).
Nella festa della Manifestazione della Beata Vergine Maria Immacolata della Medaglia Miracolosa, rilancio questo contributo tratto da Chiesa e postconcilio.












Il silenzio del Carmelo, pegno di vittoria

Tu che conosci colui che in questo istante sta peccando, colpisci me per lui, e così forte che possa pentirsi”. (Una monaca carmelitana, tratto dal radio-documentario Clausura di Sergio Zavoli, 1958)

Chi non crede alla preghiera non può considerarci che impostori o parassiti della società. Se lo dicessimo più francamente al mondo ci faremmo capire meglio”.
(I dialoghi delle carmelitane, George Bernanos)

In questi giorni di fragore e desolazione, le nostre anime non possono che essere intorbidite e soffocate dal livore mediatico e dalle propaggini di odio indiretto verso la Chiesa e la Fede cattolica. Dedurne i motivi è piuttosto facile: dove non abbiamo letto le accuse sommarie, le presunte condanne infallibili verso le crociate e verso il passato militante della cristianità? 
Dove non abbiamo letto, con sguardo perplesso, considerazioni storiche sull’evoluzione del ‘sentimento della violenza’ nel mondo cristiano, il quale con l’avvento dei Lumi – dal chiarore opaco – è stato ricondotto nei ranghi di una giusta morale? Abbiamo esitato, abbiamo provato vergogna, spesso per viltà non ci siamo saputi difendere. Molto più spesso, e cosa ancor più grave, non abbiamo avuto prìncipi e generali degni per poterci difendere. Esiste, tuttavia, nel cuore della Chiesa, anche durante questa tempesta devastatrice, un luogo di speranza, un esercito orante di intrepide anime senza paura. La sua storia ha origini lontane, così lontane da indurre a pensare che esso sia sempre esistito. È l’ordine dei fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo; l’intera famiglia carmelitana che con la grande riforma teresiana del 1500 si è imposto come uno dei pilastri portanti della Santa Chiesa.
Sul modello del profeta Elia – considerato dai suoi figli padre dell’ordine – ben presto i monaci eremiti si ritirarono nei primi secoli della cristianità sul monte Carmelo, in Palestina, per onorare in modo tutto particolare la Beata Vergine Maria. Nel 1251, il 16 luglio, la Regina degli Angeli concesse a coloro che già si degnavano dell’onore dell’appellativo di ‘fratelli della Beata Vergine’, un pegno di amore : lo scapolare, conosciuto anche come ‘abitino della Madonna’. Esso è costituito da due rettangoli in lana bruna uniti da due cordicelle; il suo nome che deriva dal latino scapula (“spalla”) ne indica le modalità di vestizione – sulle spalle appunto. Si tratta in effetti di una riduzione del grande scapolare portato dagli stessi frati. A questo semplice oggetto, la Santa Vergine ha annesso la promessa della salvezza eterna per coloro che ne saranno rivestiti al momento della morte. Da sempre per secoli e secoli la Cristianità, nell’espressione autorevole dei Sommi Pontefici, si è affidata a quest’arma potente al pari del Santo Rosario offerto dalla Madre del Cielo all’ordine domenicano[1].
Nonostante la fiorente diffusione e solidità dell’ordine, che nello scapolare aveva trovato un segno di protezione celeste e di elezione mariana, dopo lunghi secoli i frati eremiti furono costretti a spostarsi in Europa. Essi dovettero abbandonare la vita solitaria e la meditazione costante della legge divina a causa dell’invasione maomettana in Oriente. Giunsero, così, in Europa dove col passare del tempo e in seguito ai grandi sconvolgimenti storici che colpirono la Cristianità tra il Basso Medioevo e l’inizio dell’età moderna, i religiosi invocarono la necessità di mitigare la regola dell’ordine al fine di consacrarsi più efficacemente alla vita apostolica. Nel 1431, SS. papa Eugenio IV accordò all’ordine una revisione degli statuti (detta anche “regola mitigata”).
Quando nel 1535 Térésa de Ahumada (la futura santa Teresa D’Avila) entra nel monastero della sua città, obbedisce, appunto, a questa regola. Dopo venti anni di vita monastica, sollecitata da grazie mistiche e vinta in una lunga battaglia interiore dalla volontà del Signore, la grande mistica spagnola, sostenuta da San Giovanni della Croce, opera finalmente l’imponente opera di riforma dell’ordine che ci donerà il Carmelo tale quale noi lo conosciamo oggi. Da allora, l’ordine non ha conosciuto crisi (se si eccettuano alcune deviazioni degli ultimi cinquant’anni), ma ha anzi moltiplicato il numero di anime sante offerte alla Chiesa: Teresa di Lisieux, le martiri carmelitane di Compiègne, Elisabetta della Trinità, Maria di Gesù Crocifisso, Edith Stein per citare solo alcuni nomi.
Al di là delle ricostruzioni storiche, sarà forse di più utile sostegno spirituale definire le finalità proprie del Carmelo. La gravità del momento storico sembra imporcelo e – quasi – suggerircelo, persi come siamo nel chiasso del mondo secolare e della tragicità degli eventi.
Il Carmelo (il cui significato in ebraico è ‘giardino di Dio’) è sostanzialmente l’ordine di Maria. Esso non potrebbe esistere senza la Sua materna protezione e possiamo dire – non senza audacia – che l’ordine trovi anzitutto in Lei la Sua fondatrice. Questa consustanzialità nella vita religiosa non si manifesta nella pratica devozionale (che di per sé è molto semplice e spoglia, piuttosto dissimile dall’amore liturgico tipico dell’ordine benedettino ad esempio), ma in un’attitudine diffusa e aleggiante nella vita di ogni membro dell’ordine. Maria è la più grande orante, la più coraggiosa penitente, la più profonda contemplativa, la più fine teologa: queste quattro finalità sono racchiuse nella vita del Carmelo. Esse devono essere perseguite e offerte per la Chiesa. I sacrifici e le orazioni dell’ordine trovano, infatti, nei sacerdoti e nel corpo apostolico (teologi, predicatori, pontefici) il proprio fine ultimo. I figli del Carmelo non fanno altro che perpetuare la Passione di Maria ai piedi della Croce : come la Santa Madre vide nel sangue e nell’acqua sgorgati dal costato di Nostro Signore Gesù Cristo, il senso e l’oggetto della Sua missione – ovvero la Chiesa, sposa mistica di Suo Figlio – accettandone la proposta di maternità divina, così ogni figlio e figlia del Carmelo rivive nella propria anima questa particolare forma di oblazione e donazione di tutte le facoltà personali.
La vita del Carmelo è semplice quale lo scapolare che ne contraddistingue i membri. La grande austerità richiesta dalla regola (il silenzio è obbligatorio ad eccezione di due ricreazioni quotidiane in cui è concesso parlare, il digiuno monastico – che prevede l’astinenza perpetua dalle carni – si protrae per otto mesi l’anno, le doppie grate e il velo nero – che simboleggiano la clausura nel ramo femminile – impongono il distacco dal mondo esterno) è vissuta nella gioia e nella semplicità di giornate sempre uguali che prefigurano l’ineffabile Eternità. Nel ramo femminile dell’ordine questo aspetto è sensibilmente evidente, pur nei limiti di ciò che è concesso di vedere al mondo al di qua delle grate. Nel grande giardino degli ordini religiosi, la fisionomia del Carmelo si staglia proprio per la sua semplicità, che è una caratteristica da sempre attribuitagli: esso richiama l’infinita e imperscrutabile semplicità di Dio nella Santissima Trinità.
L’unicità della vita al Carmelo risiede particolarmente nell’orazione. Le costituzioni prescrivono due ore al giorno di orazione silenziosa. Si tratta di un pio esercizio o, per usare le parole di Santa Teresa d’Avila, di un “dolce commercio dell’anima, con Colui dal quale si sa di essere amati” : l’orazione è, in effetti, una meditazione prolungata in cui l’anima si rivolge con la libertà propria dei cristiani al suo Creatore. Essa con la mortificazione dello spirito e con una pratica eroica dell’obbedienza (definita da San Giovanni della Croce “la penitenza della ragione”) definisce i tratti essenziali della vita carmelitana. Il suo scopo è non solo la santificazione personale, ma, soprattutto, la salvezza delle anime e la libertà della Chiesa. Per un solo dialogo d’amore, per il sospiro di una singola monaca, per la consolazione di un solo istante, il Divin Prigioniero trova riposo e pace nelle anime rinchiuse nel sacro giardino.
Nel 1958, il giornalista Sergio Zavoli con il suo radio-documentario Clausura dà voce al Carmelo nei mezzi di comunicazione dell’epoca [2] (o è piuttosto il Carmelo a raggiungere, attraverso i misteri della Provvidenza divina, il mondo moderno). Per la prima volta gli ingombranti macchinari radiofonici valicano le mura di un monastero di clausura attraverso grate e ruote, mentre le religiose si occupano della registrazione e del commento delle consuetudini della vita monastica. Anche i frutti delle orazioni sono catturati dalla ripresa audio. La citazione in esergo a questo scritto ne è una prova. Essa riassume tutto lo spirito del Carmelo. Tra le chiacchiere mondane, tra il fracasso mediatico, tra l’inutilità degli sproloqui di politici e uomini dotti, il silenzio delle monache carmelitane brilla per eloquenza e nobiltà. Non vi è altra aspirazione per una monaca carmelitana se non di offrire se stessa a Dio per la salvezza del genere umano, sul modello di Cristo e della Sua Madre. Una preghiera silenziosa, che sboccia come un fiore all’interno di una vita tutta interiore, il vero giardino di Dio nelle nostre anime. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente (Lc, I, 49): nessuno potrà mai sondare in modo perfetto e profondo cosa ha operato il Creatore nell’anima della più amata fra tutte le creature, la Vergine Maria. Ciononostante, la Vergine ci indica una via regale di santità che sta nel nascondimento e nella lode costante del creatore. Per una carmelitana conformarsi a questa verità rivelataci dalle Scritture è la più santa e ammirabile delle ambizioni, poiché ha come modello la vita della Madre di Dio. Ciò ci permette altresì di capire quanto Dio si compiaccia, in ragione della Sua somma bontà, della preghiera silenziosa, della dichiarazione di amore spontanea, semplice e sincera di ciascuno di noi. La vita interiore intesa come unione perfetta nell’orazione costituisce la bellezza e la forza stessa del Carmelo. Nel racconto della sua vita, Santa Teresa D’Avila riporta che durante un dialogo col Signore, Egli disgustato dai disordini della società, dall’eresia e dalla tiepidezza degli uomini di Chiesa abbia detto: “Avrei distrutto il mondo, se non fosse per otto tue consorelle che sono sante”. A quali vette di carità e fede fossero arrivate queste otto prigioniere di Dio (spesso anche chiamate, a causa della reclusione, alunne della morte) non ci è dato sapere. Tuttavia, possiamo trarre da quest’episodio un grande insegnamento: Dio elargisce grazie con infinita generosità a coloro che – anche se pochi in numero – si affidano a lui con fiducia. Sostenuto dall’amore di Maria, il Carmelo e i suoi figli continuano la loro silenziosa battaglia e la loro esistenza è per noi pegno e sicurezza di vittoria in questa epoca infame, giacché Dio mai rifiuterà la preghiera di coloro che hanno compreso in profondità che tra le Sue più grandi consolazioni vi è quella di vedere la Sua Santa Madre amata, onorata e servita come fece Suo Figlio su questa terra.
Zelo zelatus sum pro Domino, Deo exercituum, quia dereliquerunt pactum tuum filii Israel, altaria tua destruxerunt et prophetas tuos occiderunt gladio; et derelictus sum ego solus, et quaerunt animam meam, ut auferant eam. (Liber Regum I, 19, 10-11)
“Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita” (motto dell’Ordine dei fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo)
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[1] Congiuntamente al ‘privilegio sabatino’ (la promessa della Vergine di liberare il sabato successivo alla morte chiunque portasse lo scapolare – le cui condizioni furono stabilite dai pontefici), lo scapolare è stato da sempre largamente consigliato dai papi. Lo scapolare e il privilegio sabatino non sono una prerogativa dei religiosi carmelitani. La Vergine stessa a Fatima ha suggerito e fortemente esortato i fedeli a questa particolare devozione, tra i cui frutti vi è quello di beneficare delle preghiere e dei sacrifici dell’intera famiglia carmelitana. Esiste inoltre un terz’ordine secolare carmelitano, in cui i laici si impegnano in una più intensa vita di orazione e di preghiera (che prevede ad esempio la recitazione del Piccolo Ufficio della Vergine). Per maggiori informazioni http://www.unavox.it/ScapolareDelCarmelo.htm.

[2] Due versioni del radio-documentario (del 1958 e del 1988) sono reperibili su Youtube : https://www.youtube.com/watch?v=jJSNp4Ax26Y, https://www.youtube.com/watch?v=_CWn05mQR8o.


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